2020-09-19
Marche, la Meloni prova l’en plein
Fdi può far saltare una roccaforte rossa e incoronare il candidato che aveva imposto agli alleati. Nel Pd rischiano i pesaresi Matteo Ricci e Alessia Morani che hanno licenziato Luca Ceriscioli.Visti da Roma i voti delle Marche più che contarli si peseranno. È la regione più piccola, al pari della Liguria, dopo la Valle d'Aosta tra le sette chiamate alle urne, ma ha un valore politico molto rilevante. Può determinare gli equilibri nel centrodestra, l'implosione dell'alleanza di governo, oltre a provocare una notte da lunghi coltelli nel Pd che qui dopo un quarto di secolo d'ininterrotto dominio della Regione sente odore di sconfitta. Se a livello nazionale in ambasce per il voto è il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, nelle Marche la star televisiva del Pd, il sindaco di Pesaro e già vicesegretario nazionale, Matteo Ricci - passato da Bersani a Zingaretti via Renzi - rischia di bruciare la sua leadership. Non sta tranquilla neppure Alessia Morani, ora sottosegretario all'Economia per quella che potrebbe diventare la faida dei pesaresi. Il Pd in gravissima sofferenza di consensi a causa dell'inesistente ricostruzione post terremoto interamente gestita dal partito al governo, in Regione e con i suoi commissari straordinari, della sanità insufficiente e di una situazione economica severamente compromessa, ha licenziato per mano dei pesaresi Ricci e Morani il presidente, Luca Ceriscioli, non ricandidato. Si pensava all'opzione Sauro Longhi, ex rettore della Politecnica ben visto anche dai grillini e invece hanno puntato su un uomo di partito, il sindaco di Senigallia, Maurizio Mangialardi. Ma quando sono cominciati ad arrivare i primi sondaggi, il Pd ha cercato in tutti i modi un'alleanza dem-stellata. Oltre a Zingaretti ci si sono impegnati Beppe Grillo e soprattutto Giuseppe Conte in prima persona: il presidente del Consiglio è consapevole che nelle Marche rischia grosso e voleva un segno tangibile dell'accordo giallorosso anche in periferia. Con Mangialardi di mezzo i pentastellati non ne hanno voluto sapere (il loro gruppo consiliare si è anche spaccato) e sono in corsa con un grillino della prima ora, Gian Marco Mercorelli. Anche per loro queste elezioni sono esiziali: ebbero un boom nel 2018 diventando di gran lunga il primo partito con oltre il 35%. Ora temono la crisi di rigetto dell'alleanza giallorossa di governo a Roma. Una partita altrettanto importante si gioca nel centrodestra. Giorgia Meloni ha imposto, sfidando gli alleati, il suo deputato, Francesco Acquaroli, come candidato presidente. Le Marche sono la Regione dove Fratelli d'Italia può fare l'exploit maggiore. Acquaroli, che parte con larghi favori del pronostico, è un punto forte nella strategia di Giorgia Meloni per costruire il primato nel centrodestra. Se anche in Puglia dovesse vincere l'altro meloniano, Raffaele Fitto, si consoliderebbe un asse adriatico di Fratelli d'Italia. Matteo Salvini si è molto fatto vedere e la Lega ha spedito nelle Marche come commissario regionale l'onorevole Riccardo Augusto Marchetti, l'artefice della grande vittoria di Donatella Tesei, che un anno fa ha strappato l'Umbria alla sinistra dopo mezzo secolo di dominio incontrastato. La partita nelle Marche si gioca non tanto sul presidente, ma sulla forza delle singole liste e la Lega ne ha messa in campo una fortissima. Perché qui c'è anche un derby del centrodestra nelle contemporanee amministrative per l'elezione del sindaco in due capoluoghi: Macerata e Fermo. A Macerata tutti compatti sul candidato in quota Lega Sandro Parcaroli, a Fermo invece Paolo Calcinaro (uscente) corre con una serie di civiche di centrodestra, ma la Lega va da sola con Lorenzo Giacobbi. Perciò la competizione regionale che è proporzionale con un premio di maggioranza che assegna fino a 18 consiglieri su 30 alla coalizione del candidato vincente diventa decisiva negli equilibri del centrodestra. E c'è sempre il comma del fu potentissimo dc Arnaldo Forlani: quello che succede nelle Marche - qui ci fu il prologo di Tangentopoli - dopo succede a Roma.