2024-02-15
Marcello Pera: «I due errori mortali da evitare per fare un buon premierato»
Marcello Pera (Imagoeconomica)
Per il senatore di Fdi, «la riforma va difesa dalla polemica politica contingente. La Costituzione deve restare equilibrata».«Il suicidio dell’Occidente»: provoca ma descrive una realtà difficilmente negabile il titolo del convegno svoltosi nei giorni scorsi presso la biblioteca del Senato, che ha visto a confronto l’ex presidente di Palazzo Madama e attuale senatore di Fdi, Marcello Pera, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, e l’ex presidente della Cei, Angelo Bagnasco. Pera, filosofo e intellettuale liberale, ha indicato l’arma di questo suicidio in una laicità totalmente sganciata da un fondamento immutabile che, in ultima istanza, esige il religioso.Senatore, la politica pare invece indifferente al fatto religioso, relegato alla sfera personale. Ma le libertà e i diritti fondamentali possono essere giustificati senza ricorrere a Dio e alla religione?«Questo lo pensano i laici, ma poi, quando sono richiesti di definire che cos’è la laicità, non sanno dire se non cose del tipo: la laicità sono gli stessi princìpi e valori cristiani adottati come norme fondamentali purché nascondano la loro origine. Si legga il libro di Augusto Barbera, Laicità: il libro è bello e importante perché affronta onestamente e coraggiosamente il problema, ma alla fine non riesce a concludere se non dicendo che la laicità è la stessa liberaldemocrazia. Questo significa ben poco, perché a sua volta la liberaldemocrazia è definita come laica, cioè un assetto istituzionale che prescinde dalla religione».E non si può prescinderne?«E come si fa? Barbera dice, ad esempio, che la laicità è separazione del diritto o della politica dalla religione. Ma poi ammette che, sopra il diritto di Creonte, quello laico delle leggi positive, c’è il diritto di Antigone, quello religioso degli dèi. E poiché è il diritto degli dèi che giudica quello degli uomini, ecco che la laicità non basta a fondare il diritto. Lo traduco così dalla mitologia greca all’Europa: senza valori e princìpi cristiani non si costruisce e mantiene uno Stato ben ordinato come quello liberale europeo».Lei ebbe un rapporto di amicizia con papa Benedetto. Che cosa la colpì del suo pensiero?«Tantissime cose che mi hanno reso più ricco, e che tengo in privato. Ma siccome stiamo discutendo di Europa e laicità, vorrei ricordare un suo pensiero pubblico di tanti anni fa. Profetico. Disse: “Nella Chiesa, oggi, quanto più essa si concepisce soprattutto come istituzione che promuove il progresso sociale, tanto più inaridiscono in essa le vocazioni al servizio del prossimo: quelle forme di servizio ai vecchi, agli ammalati, ai bambini che godevano invece di così buona salute, quando lo sguardo era ancora essenzialmente rivolto verso Dio”. Ecco, in una frase sola, due concetti di drammatica attualità: la Chiesa che si riduce a promuovere il progresso sociale e sostituisce la salvezza con la giustizia; e il legame fra la crisi del cristianesimo e la degenerazione della pratica sociale».Oggi sembra non esserci nulla di più divisivo dei diritti, che dovrebbero essere principio di coesione, non di sopraffazione. Perché?«I diritti, questi nuovi dèi voraci dell’uomo moderno, si chiamano ancora fondamentali. Un tempo si capiva perché: perché, si diceva, sono doni di Dio, la conseguenza della dignità che Dio, creandoci a sua immagine, ci ha conferito. Ma oggi che Dio è scomparso, e l’albero abbattuto, da che cosa dipendono? Si dice: sono proprietà dell’uomo in quanto uomo. Ma chi o cosa è un uomo o chi deve essere considerato uomo lo facciamo dipendere dalla scienza, dalla tecnica, infine da una legge di un Parlamento o una sentenza di tribunale. Così i diritti prima innati e non disponibili ora sono costruiti e negoziabili. Quei diritti, poi, un tempo erano di tutta l’umanità, e per questo erano pochi, ora sono di ogni tipo di minoranze e sono una miriade incontrollabile. Perciò non valgono più nulla: anche i nuovi dèi cadono. Quando sono legioni, ed entrano in conflitto fra loro, la divinità si perde».C’è chi parla di una metamorfosi della Chiesa. Quale principale mutazione vede tra quella di Benedetto e quella di Francesco?«Nella dottrina. Seguendo, credo, il Vaticano secondo, papa Francesco sta aggiornando il cristianesimo a tal punto che, secondo me, non è più distinguibile da un generico umanesimo. Ne sono sconcertato. Nella concezione e predicazione di papa Francesco, c’è ancora il peccato originale? C’è la passione di Cristo che espia le nostre colpe? C’è la resurrezione? Oppure la misericordia di Dio prevale sul suo giudizio e, siccome Dio è buono, l’Inferno è vuoto?».Quanto pesa l’attuale «mondanizzazione» della Chiesa sul suicidio dell’Europa?«È più del termometro che segna la febbre: è la febbre che segna la malattia o un virus che provoca la febbre. Ricordi: se Dio è morto, tutto è concesso. Oggi quasi tutto è concesso: non basta per concludere che Dio è morto, certo è sufficiente per dire che non è messo tanto bene. Ricominciamo da lì: perché Dio vuol dire tante cose, Creatore, Padre, Legislatore, ma anche senso del limite, del peccato, dell’impossibile, dell’illecito. Se Dio va in vacanza, la scolaresca non ha più disciplina».Veniamo alla riforma del premierato. Quali criticità permangono a suo avviso?«Io sono tornato in Senato per quell’unico scopo: dare una mano a riformare la Costituzione per avere almeno governi stabili, condizione perché contino qualcosa. Il premierato è un modello della tradizione liberale, ma bisogna farlo bene. E, lo dico in sintesi, per farlo bene occorre evitare due errori mortali. In primo luogo, che non si introducano logiche politiche contingenti nella logica costituzionale. Ragionare in termini di cosa oggi faccia comodo a Giorgia o Elly è da miopi. In secondo luogo, occorre che non si pensi che la forza di una investitura supplisca alla forza delle istituzioni. Non è così. Quando hai vinto una competizione, anche con largo margine, non sei ancora a nulla se poi le istituzioni non sono ben congegnate ed equilibrate e non ti consentono di lavorare. Il premierato deve servire a questo».Pensa che si stiano evitando questi errori?«Diciamo che ci si prova. Ma per riuscirci ci vorrebbe anche un’opinione pubblica avvertita che faccia pressione. Per ora non la vedo. I giornali dedicano le prime dieci pagine alle scarpe di John Travolta e al frac del presentatore del festival di Sanremo. Siamo ai balocchi. Mi obiettano che il tema delle riforme “non tira”. Capisco perché, allora, tiriamo le cuoia».