2024-04-22
«La vita dei bimbi tagliata in due dalle separazioni in tribunale»
Nel riquadro, Marcella Parise (IStock)
La psicoterapeuta Marcella Parise: «I figli son sempre più strumento di vendetta tra ex. Mentre le toghe si sentono come Salomone: dividono a metà il loro tempo. In nome della bi-genitorialità».«Il lockdown ha spalancato per le giovani famiglie il sipario all’“epoca delle passioni tristi”, una tragedia in molti atti nella quale milioni di personaggi recitano a soggetto, come in un dramma di Pirandello, solo che di questa tragedia chissà quando vedremo la fine».L’«epoca delle passioni tristi» è un’espressione usata da Miguel Benasayag, filosofo e psicoanalista argentino, ripresa da Marcella Parise, psicoterapeuta veronese con esperienza ultratrentennale come psicologa e consulente tecnica di tribunale. «Nel mio lavoro di consulente in matrimoni che finiscono in frantumi coinvolgendo nel disastro dei sentimenti i figli, vedo solo una passiva quotidianità, vuota e senza futuro, dove adulti e giovani coppie sono concentrati su modelli di sopravvivenza emotiva ed economica. Sopravvissuti, ma perpetuamente naufraghi. Per loro non esiste il domani, solo l’oggi. Ed è un oggi triste». Sta disegnando un presente inquietante della famiglia. Non sta generalizzando troppo? E il futuro? «È una tendenza che si va allargando a macchia d’olio. Non esiste più la famiglia contenitore di affetti, regole ed emozioni. I genitori sono “amici” dei figli, non danno regole e aggrediscono chi dovrebbe insegnarle. Se poi si arriva alla separazione della coppia genitoriale, i figli diventano gli oggetti del contendere. Le soluzioni sono legate alla situazione economica dei genitori. Se uno dei due non ha mezzi, e generalmente è la madre, si rivolge ai servizi sociali per essere supportata nella separazione, in quanto bisognosa di una casa e di aiuti economici. L’intervento per loro è sempre svalutante e violento, i bambini vengono affidati ai servizi sociali e/o in casi peggiori alle case-famiglia. Quando la situazione economica dei due è buona, per l’affido dei figli ci si rivolge ai giudici. In questi casi la violenza verso i bambini è più sottile e talvolta anche peggiore. Il giudice quasi sempre nomina un consulente tecnico d’ufficio e le parti propri consulenti. È un lucroso modello che prevede incontri senza mediazioni, teatro di malesseri e di rivalse di coppia, dove talvolta vengono ascoltati e osservati anche bambini molto piccoli».Proviamo a tradurre: nelle separazioni il soggetto ricco della coppia ha le maggiori possibilità di avere in affido i figli rispetto al soggetto povero. È così?«Può essere perché chi ha più mezzi può attivare maggiori risorse di tutela. Quando i genitori benestanti si rivolgono al tribunale tramite i propri avvocati per l’affido dei figli, il trauma per i bambini è spesso più devastante perché vengono sottoposti a mille valutazioni da parte di psicologi o neuropsichiatri. Vengono tirate in ballo le scuole, i nonni, altri parenti... Per loro diventa una tortura. Ho visto bambini singhiozzare disperati a questi colloqui».Un percorso che richiama più Erode che Salomone, più la direttrice del collegio di Gian Burrasca che Maria Montessori.«Nei tribunali quella del bambino tagliato a metà è la tendenza di giudizio nell’affidamento condiviso. È l’applicazione della perfetta bi-genitorialità, della falsa attenzione per i bisogni del bambino». Perché ne è così convinta? «Mi sono occupata di coppie separate in Emilia-Romagna, padri e madri che, per una sorta di meccanismo di proprietà dei figli, hanno attivato la consulenza tecnica del tribunale, con conseguente richiesta di visite di esperti e controllo dei servizi sociali per chiarire la sofferenza psicologica di bambini e di adolescenti della quale si accusano l’un l’altra, senza capire che il disagio dei minori era colpa loro. Più che ai bambini pensano di vendicarsi sull’ex coniuge cercando di portargli via il figlio o la figlia». E il giudice? «Ormai nelle separazioni con figli, i giudici abbassano la mannaia per dividere il tempo dell’affido: metà tempo per ogni genitore, senza valutare la reale competenza di papà e mamma, l’età dei bambini, il tempo effettivo dedicato a loro, senza ricorrere a nonni, zii, babysitter. È una separazione che con una forzatura ideologica è stata definita “affidamento condiviso”. Ecco perché sostengo che i veri separati in queste vicende sono i bambini, salomonicamente tagliati a metà». Una metafora spinta, non crede? «Mica tanto. Non si tagliano i corpi, ma la psiche, l’anima, la percezione emotiva sì. Siamo passati da una famiglia patriarcale a una famiglia senza genitori, senza regole, senza modelli educativi». Volenti o nolenti è l’evoluzione della società. O no? «Molti di questi genitori, figli e nipoti della contestazione del 1968, non si sono evoluti. Sono diventati adulti rimanendo adolescenti che non vogliono crescere, né identificarsi nei valori e nelle regole dei propri genitori. Rimangono eterni ragazzi patetici, amici dei figli, ai quali non danno regole, non prevedono castighi, ridono delle loro prodezze, arrivano a insultare o aggredire gli insegnanti cattivi che si permettono di giudicare negativamente i loro meravigliosi e maleducati bambini». La famigliola felice del Mulino Bianco non è mai esistita. O sì? «La pubblicità che mostrava genitori e figli felici intorno a una tavola imbandita di ogni bendidio era un modello di riferimento ideologico obsoleto. Ma oggi la pubblicità non punta sulla famiglia né sulla donna, ma su papà single che lavano pavimenti, fanno la lavatrice, cucinano per i figli, giocano con loro. Non si capisce perché si vede sempre l’uomo in questi spot. Forse perché le mamme sono al lavoro? O sono papà separati? Vorrei sbagliare, ma credo che ci stiano preparando a un nuovo modello sociale di mono-genitore maschio. La pubblicità è da sempre un modello di manipolazione sociale per la scelta dei prodotti di consumo, ma da sempre esprime anche le tendenze sociali e i cambiamenti di una certa fase economica e sociale. Dunque, è in linea con una “scorretta” emancipazione femminile e con l’uomo nuovo. Niente più torte fatte a casa con il lievito Bertolini, niente più donne con il grembiule alle prese con la lavatrice, il fornello e i figli». Sta dicendo che le mamme stanno sparendo? «Per lo meno mi chiedo dove sono. L’argomento della genitorialità e degli affidi nelle separazioni mi porta spesso a fare la stessa domanda in tribunale: dove sono finite le mamme? Chi ha interesse a farle scomparire? Sto seguendo come consulente di parte la vicenda di una coppia che si è separata per incompatibilità caratteriale dopo una breve convivenza. Il caso coinvolge bambini molto piccoli. Vista la difficoltà ad accordarsi anche sulle scuole materne, private o pubbliche, oltre che sulle vacanze, e nella gestione del tempo dei piccolini, padre e madre attraverso i loro avvocati si sono rivolti al giudice tutelare il quale, anche se non obbligato, ha attivato i servizi sociali. A questo punto, con “l’affido ai servizi sociali” sono iniziate le procedure di valutazione delle competenze genitoriali, valutazioni che hanno bloccato ogni altra trattativa. Tra i genitori, i nonni e gli zii sono scoppiati rinfacci, accuse e rivalse. È stata attivata, sempre dal giudice, una consulenza tecnica con tanto di esperti del settore. Genitori e figli sono stati sottoposti per mesi a osservazioni, test, colloqui, visite domiciliari. Risultato? Si è esasperato tutto. Le storie di vita dei genitori sono state ascoltate in modo critico e anche i nonni sono stati messi in discussione».Com’è finita?«Dopo sei mesi, il risultato è stato una relazione del Consulente tecnico d’ufficio (Ctu) che sancisce i giorni alternati di affido e pernotto totalmente paritari, con scambi di casa decisi per legge. Ecco, questa è quella che chiamano perfetta bi-genitorialità, un risultato di cui il tribunale di Parma è orgoglioso. Io preferisco definirla “violenza istituzionale” su bambini indifesi, a favore di una legge che non riconosce i bisogni di stabilità e “accogliente quotidianità” dei bambini. Una legge che disconosce i ruoli materno e paterno, che invece differiscono sin dalla nascita, quando la donna partorisce e allatta».
Francesca Albanese (Ansa)
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