- Giù il Prodotto interno lordo: male investimenti, export e consumi interni. Senza un’inversione di rotta i margini per il governo saranno ancora più sottili. Aleggia lo spettro dei tagli lineari. Ed è in arrivo anche l’onda lunga della crisi nei Paesi del Nord.
- Il vicepresidente della Bce, Luis de Guindos, apre uno spiraglio in vista della riunione del 14 settembre.
Giù il Prodotto interno lordo: male investimenti, export e consumi interni. Senza un’inversione di rotta i margini per il governo saranno ancora più sottili. Aleggia lo spettro dei tagli lineari. Ed è in arrivo anche l’onda lunga della crisi nei Paesi del Nord.Il vicepresidente della Bce, Luis de Guindos, apre uno spiraglio in vista della riunione del 14 settembre. Lo speciale contiene due articoli.Settembre è tempo di numeri. L’Istat torna in pista e, purtroppo, aggiorna i dati sul Pil tricolore. Nel secondo trimestre di quest’anno il Prodotto interno lordo, corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato, è diminuito dello 0,4% rispetto al trimestre precedente ed è cresciuto dello 0,4% nei confronti dello stesso periodo del 2022. La precedente stima parlava di una flessione dello 0,3%. Un decimo di punto non è poco. Perché è sui dettagli che si gioca la prossima legge finanziaria. Nella Nadef datata fine ottobre 2022, il documento aggiornato di finanza pubblica, il governo Meloni imposta conti e deficit su una crescita stimata dello 0,6%. L’Istat aveva in precedenza fissato l’asticella un po’ più in alto allo 0,8. Mentre con le correzioni arrivate ieri è sceso allo 0,7%. Il Fondo monetario internazionale prima dell’estate aveva rilasciato una percentuale molto ottimistica: l’1,1%. Nell’ultimo Bollettino economico di Bankitalia, la crescita del Pil si collocherebbe all’1,3%, allo 0,9 nel 2024 e all’1,0 nel 2025. Guardando avanti, avvertiva a luglio Via Nazionale, il quadro macroeconomico «continua a essere caratterizzato da forte incertezza e i rischi per la crescita sono orientati al ribasso e legati in particolare all’evoluzione del conflitto in Ucraina e alla possibilità di un irrigidimento delle condizioni di finanziamento maggiore di quanto atteso».Insomma, il ministro Giancarlo Giorgetti si è tenuto prudente. Al momento non ci sarebbe alcun allarme. Questo scatterà se dovessimo scender sotto lo 0,6%. Per ogni decimo di punto, per capirsi, perdiamo 1,9 miliardi di euro di budget. Non sono pochi, se si pensa che il governo sta già studiando di limare le rivalutazioni degli assegni pensionistici (probabilmente quelli sopra i 2.000 euro lordi al mese) per racimolare più o meno la stessa cifra annuale. Purtroppo, però, le nubi all’orizzonte sono abbastanza scure. Gli investimenti fissi lordi nel secondo trimestre 2023 sono scesi dell’1,8%, l’export è in calo e a dare al momento la mazzata è il dato sui consumi interni. Anche qui il calo è dello 0,3%.Tradotto, sul piano nazionale l’apporto della spesa dei privati è stata nulla, mentre la spesa delle amministrazioni pubbliche ha registrato un segno negativo. A tenere a galla il valore dei consumi interni, permettendo di registrare «solo» un meno 0,3%, è stato il trend delle scorte. Le aziende che hanno potuto si sono concentrate sui magazzini, immaginando che la seconda parte dell’anno si potrà rilevare meno conveniente dal punto di vista dei trend dei costi. Quando la manovra sarà in cantiere avremo disponibile il dato definitivo del terzo trimestre e le stime dell’ultimo blocco del 2023. C’è dunque da aspettarsi che nella migliore delle previsioni la Nadef finisca con l’essere azzeccata. Il che toglierà le speranze di maggiore spesa. Nella peggiore, che si debba affilare il coltello dei tagli lineari ai ministeri. A luglio abbiamo registrato per la prima volta dopo sette mesi anche un calo degli occupati e la recessione tecnica dell’Olanda è segno che pure i Paesi del Nord non stanno molto bene. L’economia tedesca, d’altro canto, ha cominciato a rallentare già nel 2019. Quest’anno ha sperimentato una recessione tecnica. A incepparsi sono stati innanzitutto i consumi. Come ha spiegato l’ufficio di statistica Destatis, i consumi delle famiglie sono calati nei primi tre mesi del 2023 dell’1,2%. Colpita la spesa di cibo, abbigliamento e nuove automobili, settore che ha scontato anche la riduzione degli incentivi per i veicoli elettrici. Jorg Kramer, capo economista di Commerzbank, prevede che la Germania non uscirà dalla recessione nemmeno nella seconda metà dell'anno. «Purtroppo non si intravede alcun miglioramento fondamentale», ha detto ai quotidiani nazionali tedeschi, «Tutti gli indicatori anticipatori importanti nel settore manifatturiero stanno ora diminuendo». È chiaro che Germania, Olanda e Italia hanno problemi diversi ma uno è comune: si chiama inflazione e costo della vita. Le famiglie non riescono a stare al passo con i rincari e devono tagliare ciò che possono e ciò che non riescono a tagliare viene limitato il più possibile. La compressione della società tra i due poli, con l’assalto alla vecchia borghesia, porta a un problema di fondo: al di là delle discriminazioni sociali, una fascia di super ricchi non compenserà mai i consumi di milioni di persone. Eppure la Banca centrale europea prosegue imperterrita nella propria strategia di rialzo dei tassi. Pochi effetti contro l’inflazione, ma, in cambio, forte impoverimento di chi è indebitato. E all’orizzonte il filotto della recessione o per essere più precisi di una stagflazione. L’intervento del governo sugli extraprofitti (tecnicamente sarebbero extraricavi) bancari ha il grosso difetto (soprattutto se sarà una tassa piatta come appare oggi) di limitare gli impieghi che, al contrario, la stessa politica dovrebbe spingere e incentivare. Se la Bce non si deciderà a cambiare strada sarà molto importante sostenere le aziende per investimenti nel lungo termine per la crescita della produttività e quindi per alzare gli stipendi. Questo sarebbe il circolo virtuoso da innescare. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/manovra-pure-calo-del-pil-2664764211.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="sui-tassi-siamo-sul-rettilineo-finale-per-i-nuovi-rialzi-decisione-aperta" data-post-id="2664764211" data-published-at="1693599594" data-use-pagination="False"> «Sui tassi siamo sul rettilineo finale. Per i nuovi rialzi decisione aperta» È iniziato il conto alla rovescia in vista del prossimo appuntamento della Bce: il 14 settembre si terrà la riunione per decidere se approvare un ulteriore aumento dei tassi di interesse. Anche se finora la cura non ha funzionato, Francoforte sembrava decisa a tirare dritto nonostante l’inflazione non sia provocata da un’economia forte e da una domanda in aumento, ovvero da fattori interni, ma dalla crisi dell’energia, ovvero un fattore esterno. Ma ieri per la prima volta si è intravista una possibile schiarita dopo giorni di annunci che facevano presagire un’altra stretta. Giovedì, ad esempio, il presidente della Banca centrale austriaca Robert Holzmann aveva detto: «Non ho ancora preso una decisione perché non ho tutti i dati, ma non escluderei di poter optare per un aumento. Non siamo ancora al picco dei tassi. Potremmo decidere per un altro aumento o due». Parole simili erano state pronunciate, sempre nella stessa giornata, da Isabel Schnabel, membro del consiglio direttivo della Bce: «Non possiamo prevedere quale sarà il tasso massimo né per quanto tempo i tassi dovranno essere mantenuti a livelli restrittivi». Ieri sul tema però è intervenuto anche Luis de Guindos, vicepresidente della Banca centrale europea, che ha detto: «Sui tassi siamo al rettilineo finale», aggiungendo che ci sarebbe tempo per evitare un ulteriore rialzo perché nella riunione di settembre del consiglio Bce «la decisione è ancora aperta». Ha poi aggiunto: «Vedremo i dati» relativi a inflazione e Pil «e poi decideremo». Un abbassamento dei toni che però passa dalla difesa delle scelte compiute finora, visto che Luis de Guindos ha definito l’aumento dei tassi «una medicina amara ma necessaria. So che l’aumento dei tassi si riflette sui mutui e i prestiti ma è la forma in cui il Banco centrale» combatte l’inflazione «che è il male assoluto per la vita economica e sociale di un Paese». Secondo gli ultimi dati Eurostat, ad agosto l’inflazione annuale dell’area euro si è attestata al 5,3%, rimanendo stabile rispetto a luglio. Anche se resta lontana dall’obiettivo del 2% stabilito da Francoforte. I rialzi dei tassi sono iniziati nel luglio 2022 con nove aumenti consecutivi: sono arrivati a un livello tra il 3,75 e il 4,5%, il più alto da quando esiste la moneta unica. La possibilità di un cambio di rotta si trova anche nei verbali dell’ultima riunione della Bce, dove se da un lato si legge che «un ulteriore rialzo dei tassi a settembre sarebbe necessario se non vi fossero prove convincenti che l’effetto dell’inasprimento cumulativo sia abbastanza forte da far scendere il tasso core in modo coerente con un tempestivo ritorno dell’inflazione headline all’obiettivo del 2%», dall’altro si trova un passaggio molto più morbido: «D’altra parte, è stato sostenuto che è abbastanza probabile che le proiezioni di settembre dello staff della Bce rivedano il percorso dell’inflazione sufficientemente al ribasso verso il 2%, senza la necessità di un altro aumento dei tassi di interesse a settembre». Gli occhi sono puntati anche sulle decisioni della Federal reserve: finora gli Stati Uniti hanno seguito la strada della stretta monetaria proprio come l’Unione europea. Al simposio di Jackson Hole, il governatore Jerome Powell ha detto che non sono previsti cambi di rotta: «Abbiamo alzato i tassi in maniera significativa e, sebbene l’inflazione sia scesa rispetto al picco, uno sviluppo gradito, rimane troppo alta e pertanto rimaniamo intenzionati ad alzare ancora».
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Lo si trova nei semi oleosi e nelle noci, così come in salmone, tonno e acciughe. Però oggi molti tendono ad assumerne quantità eccessive.
Paolo Violini (Youtube)
Il nuovo direttore del laboratorio. Restauro dipinti e materiali lignei del Vaticano: «Opereremo sul “Giudizio universale” e sulla Loggia del Sanzio nel cortile di San Damaso. Quest’ultimo intervento durerà cinque anni».
Ansa
Il dossier del nucleare iraniano sta tornando al centro dell’attenzione. Sabato, Teheran ha dichiarato decadute tutte le restrizioni previste dall’accordo sull’energia atomica, che era stato firmato nel 2015.
Ecco #DimmiLaVerità del 20 ottobre 2025. Ospite l'esperto di geopolitica Daniele Ruvinetti. L'argomento del giorno è: "La trattativa Trump-Putin sull'Ucraina".