2025-03-22
Miracolo: i cancellatori della storia ora scoprono il valore del contesto
Il murales di Ventotene con il testo integrale del manifesto e il ritratto di Altiero Spinelli (Ansa)
Giornalisti, politici e intellettuali accusano la Meloni di aver citato il documento ignorando le circostanze in cui fu scritto. Ma è proprio quello che fa la sinistra quando censura opere del passato divenute problematiche.La parola d’ordine è «contestualizzare». Non potendo affermare che Giorgia Meloni abbia falsificato il manifesto di Ventotene, perché il testo è scaricabile ovunque, passaggi controversi compresi, l’ordine di scuderia è: la fascio-premier non l’ha inserito nel suo contesto. Secondo Roberto Saviano, la Meloni «sta mentendo perché decontestualizza le parole» (il passaggio dalla decontestualizzazione alla menzogna è del tutto gratuito, ma fa parte dello stile della casa). Ezio Mauro, su Repubblica, ci ha spiegato che «è dentro quella storia (cioè dentro l’antifascismo, la guerra e la speranza di un futuro di pace, ndr), ovviamente, che va letto il manifesto di Ventotene contro cui Meloni ha scatenato tutta la sua furia polemica anti-sinistra, dirottando un dibattito parlamentare e presentando Spinelli, Rossi e Colorni come maestri d’inganno pronti a contrabbandare un’idea autoritaria dietro il manto solenne della federazione europea: senza mai sentire nemmeno per un attimo l’obbligo di ricordare che scrivevano nel 1941 con il nazismo in pieno assalto all’Europa, e si trovavano al confino, consegnati su un’isola dalla repressione fascista, che voleva impedire la libera circolazione delle loro idee». Anche Antonio Carioti, sul Corriere della Sera, ha parlato di una «lettura smozzicata, con citazioni isolate dal contesto». Questa improvvisa voglia di ermeneutica della complessità suona però in malafede. Soprattutto in un’epoca come questa, dove è proprio la sinistra ad averci insegnato che non c’è contesto che tenga quando si tratta di cancellare il passato. In generale, questo tipo di critiche si scontrano con almeno tre obiezioni. La prima è banale: un documento o è attuale così com’è o è da contestualizzare. Delle due l’una. La contestualizzazione è già una presa di distanza: se il contenuto fosse autoevidente e perfettamente valido, non servirebbe alcuna spiegazione. Nel suo solito esercizio di ventriloquio, Marzio Breda, sul Corriere, si è impegnato a interpretare il silenzio del Quirinale (anche i silenzi hanno bisogno del contesto?) rispetto al fatto che la Meloni abbia «dissacrato in Parlamento il manifesto di Ventotene». Proprio così: «dissacrato». Ma il sacro è per definizione assoluto, non relativo. Quando il roveto ardente parlò a Mosé, disse «Io sono colui che sono», non «per ora le cose stanno così, se la situazione cambia ti aggiorno». Quindi si scelga: il manifesto o è sacro, o è profano. Se è sacro, va accettato tutto in blocco e chi lo venera deve renderne conto. Se è profano, si deve contestualizzare, ma si può anche criticare. Certo, si può sempre dire che è attuale lo spirito mentre la lettera è contingente. Ma è una scappatoia che apre più problemi di quanti non ne risolva: chi stabilisce, infatti, quale passaggio del manifesto incarna lo spirito immortale e quale la lettera contingente?Seconda obiezione: dopo che la Meloni ha gridato che il re è nudo, tutti fanno finta di averlo sempre saputo. Ma, fino a oggi, chi è che davvero ha contestualizzato quel testo? Certo, sul manifesto e i suoi autori esistono studi scientifici che danno conto della storia del testo e dei cambiamenti di prospettiva da parte dei suoi stessi estensori (si veda per esempio il saggio di Lucio Levi in calce all’edizione Mondadori). Ma, per lo più, il manifesto è stato sventolato in modo acritico come il libretto rosso di Mao, senza che nessuno si desse la pena di spiegare che ci fosse qualche passaggio controverso da contestualizzare. Non lo si dice nell’edizione scaricabile sul sito del Senato, dove l’allora presidente Pietro Grasso si limitava a spiegare che «è ancora oggi un testo di straordinaria, pulsante attualità». Non l’ha fatto Corrado Augias nell’edizione uscita pochi giorni fa in allegato con Repubblica, limitandosi a parlare di «uno scritto visionario al quale solo una forte carica ideale riesce a dare una certa remota concretezza», senza fare cenno a paragrafi bisognosi di esegesi critica. Loro ne hanno fatto un feticcio da prendere in toto e la Meloni dovrebbe compiere esercizi di filologia? Troppo comodo.La terza obiezione è di carattere più generale. Stupisce, infatti, che all’improvviso la sinistra scopra il valore del contesto. Noi oggi viviamo proprio nell’epoca della morte del contesto. E sul luogo del delitto ci sono le impronte digitali della sinistra. Viviamo in un’epoca in cui film e libri di un secolo fa vengono cassati utilizzando criteri tutti contemporanei, in cui comunicazioni private e confidenziali vengono giudicate come se fossero discorsi alla nazione del capo dello Stato. Oggi si azzerano le distanze di luogo e di tempo per immergerci in un eterno presente saturo di suscettibilità e vittimismo, si infliggono castighi retroattivi per pensieri, parole, opere e omissioni che avevano corso legale quando furono partoriti ma che risultano blasfemi per la sensibilità attuale. L’intero studio della storia è stato ridotto al giocattolo di un dipartimento di studi post coloniali o di un collettivo transfemminista. E poi, all’improvviso, dobbiamo far pace con l’idea che, certo, alcune espressioni oggi ci sembrano strane o inaccettabili, ma all’epoca funzionava così. Ci sentiamo in diritto di dare del razzista a Dumbo e di bruciare carriere per qualche barzelletta ruvida detta tra amici e finita in rete, ma di fronte ai pruriti autoritari di Spinelli, Rossi e Colorni dovremmo improvvisamente riacquistare facoltà critiche affinatissime, altrimenti i parlamentari dem frignano. La storia, singhiozzano, non si cancella. Proprio loro. Della serie: la faccia come il...
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