2024-06-07
Il bambino nato dalla mamma-nonna è il figlio della dittatura del desiderio
La storia della donna di Viareggio di 64 anni, che ha dato alla luce un piccolo, dimostra che la vita ormai è ridotta a un bene di consumo. I limiti della biologia e dell’età non possono piegarsi ai bisogni. La notizia è che una signora di Viareggio che si avvia a compiere 64 anni, Flavia Alvaro, ha partorito un bambino all’ospedale Versilia del Lido di Camaiore. Il piccino, nato con il cesareo, pare si trovi al reparto prematuri dopo un parto d’urgenza avvenuto lunedì scorso. Sembra stia bene, non per nulla il ginecologo che ha seguito la signora ha ritenuto opportuno posare con lei per una fotografia da diffondere ai giornali. In effetti l’evento è eccezionale, ma presto potrebbe non esserlo più. Anche l’Economist, a conclusione di una recente inchiesta sull’inverno demografico europeo e occidentale ha suggerito che l’unica via di uscita consista nell’affidarsi alla tecnologia, e non c’è dubbio che pure la riproduzione - come ormai l’intero comparto riguardante la salute in senso lato - sia destinata a diventare un redditizio business, sulla scia dell’utero in affitto. In buona sostanza questa è la via (tecnologica e commerciale) suggerita da Elon Musk, profeta della gestazione in conto terzi inspiegabilmente amato anche dai sedicenti conservatori italici. Viene da chiedersi se questo sia davvero il meglio che abbiamo da offrire da queste parti, perché se così fosse dovremmo realmente disperare per le sorti di questo Occidente per cui tanti impazziscono d’amore. Dispiace doversi esprimere sulle scelte di una madre a cui in fondo auguriamo soltanto felicità e benessere. Il fatto, però, è che casi come il suo dovrebbero produrre una inquietudine profonda e suggerire più di una meditazione. È difficile non vedere in questa maternità over sessanta lo stesso meccanismo che produce la sterilità di massa. La riproduzione ha da tempo smesso di essere una necessità di specie per legarsi esclusivamente al desiderio. Ciò significa che si dovrebbe tornare al tempo in cui i figli si facevano per caso o per spedirli presto al lavoro? Certamente no: potrebbe esistere una strada intermedia, cioè quella del dono, della gratuità amorevole. La necessità e il desiderio sono i poli opposti di uno spettro economico. Il dono, invece, l’apertura all’altro e al mistero della nascita sarebbero gesti sovversivi, spezzerebbero il meccanismo mortifero della perdita e del profitto. Ma non li prendiamo in considerazione. Assistiamo così, inerti, alla trasformazione della vita in un bene di consumo, che si può acquistare o rifiutare a piacimento. Si veicola l’idea che si possa sfruttare una madre per farle partorire un bambino che poi le sarà strappato in virtù di un contratto. Si pensa che si possano serenamente superare i limiti imposti dalla biologia e dall’età e fare nascere un pargolo che, quando sarà ventenne, si ritroverà (ce lo auguriamo per lui) una madre che difficilmente potrà tenere il passo di una energica giovinezza. Il figlio è oggetto di desiderio, bene scambiabile, lo si brama intensamente come si bramerebbe un bellissimo abito firmato. Si dice che i figli «desiderati» saranno sicuramente felici perché «voluti» e dunque amati. Ma è una ben strana concezione dell’amore quella di chi pensa prima di tutto a sé e solo dopo alla vita che si schiude. Secondo il medico che l’ha seguita, la donna toscana «ha voluto fortissimamente questo figlio». Tanto da aver provato per ben due volte la fecondazione assistita: la prima è finita con un aborto alla quattordicesima settimana. Per fortuna, il secondo giro non ha dato troppi problemi, ma il tema resta: fino a dove può spingersi il desiderio? Quali limiti possiamo superare per soddisfare i nostri bisogni?C’è poi un secondo aspetto di questa storia che merita d’essere affrontato, e non è per nulla secondario. Apprendiamo infatti che la signora di Viareggio ha partorito vicino a casa, ma ha svolto le pratiche per la fecondazione all’estero, per la precisione a Kiev. Se dobbiamo credere al suo dottore - e non esiste motivo per non farlo - ella «è volata in Ucraina per ben due volte», la seconda in piena guerra. Perché a Kiev? Facile: lì non esiste il limite dei 50 anni per la procreazione medicalmente assistita. D’altra parte, ormai è noto, l’Ucraina è una sorta di Eden della riproduzione artificiale e dell’utero in affitto. La macchina bio-economica non ha smesso di funzionare nemmeno durante il conflitto, anche perché ha sempre rappresentato un giro d’affari fondamentali per quella nazione poverissima e deturpata dalla corruzione. Suo malgrado, l’Ucraina è diventata luogo simbolico del consumo seriale di vita. Lì, in nome di potenti interessi, si mandano a morire migliaia di giovani. Sempre lì, per guadagno, si scambiano organi e vite. Siamo nel regno dei corpi disponibili, della carne in vendita per scopi diversi (talvolta è richiesto il decesso, talvolta la sopravvivenza). Sono forse questi i valori occidentali in nome dei quali si battaglia da anni? Sono queste le conquiste di civiltà che siamo insistentemente chiamati a difendere? Si fa sgorgare sangue per permettere agli occidentali stanchi di procacciarsi pupazzetti umani da coccolare? Approviamo massacri in nome della libertà, e poi della libertà ecco l’uso che facciamo.