
Nove anni dopo l'addio, il rientro al Milan come dirigente: «Con Barbara Berlusconi non è andata a buon fine, ora è tutto diverso». Sul ruolo: «Mercato, prima squadra, settore giovanile... Sarò in simbiosi con Leonardo, abbiamo lo stesso ambito d'intervento».«Presidente come siamo messi?». Sono le 16.32: Paolo Maldini arriva puntuale alla conferenza stampa del suo ritorno in rossonero da dirigente e si rivolge subito a Paolo Scaroni che lo aspetta al tavolo. Gli chiede dov'è che deve sedersi ma in verità lui sa già tutto. Sa che il suo posto è al centro, tra il direttore generale Leonardo e il presidente stesso. Sa che è il suo giorno, quello del suo ritorno a casa dopo nove anni, una casa che si chiama Milan e che non poteva avere altro nome. Conosce tutto e tutti. «Buongiorno». È un semplice saluto il suo, ma è abbastanza per capire che in realtà, Paolino, non se n'è mai andato. Basta guardarsi attorno: Casa Milan è piena di fotografie in cui Maldini solleva una coppa. Certo, di tempo ne è passato da quel 31 maggio 2009, la sua ultima partita in rossonero. Lui è emozionato, si vede. La voce gli trema, soprattutto quando arrivano le prime domande. Sa bene che il tempo delle chiacchiere è finito, e che adesso dovrà, anzi potrà, finalmente, dimostrare qualcosa anche da dirigente. Il suo linguaggio del corpo non mente: alla fine, dei tre, Paolino è il più sudato, complice il caldo infernale di questi tempi, ma in fondo è così che vanno le cose. Casa sua è il Diavolo. E lui qui dentro ci sta benissimo: «Bisognerà innanzitutto tenere tranquillo Gattuso perché lui non lo è mai, ancora non lo avete capito?». Eccolo qua, il suo primo compito come dirigente del Milan. La qualifica direttore sviluppo strategico dell'area sport suonava un po' troppo criptica. «Prima squadra, settore giovanile, mercato, rapporti con l'allenatore. Sarò in simbiosi con Leo, abbiamo lo stesso ambito d'intervento»: ecco svelato cosa farà Maldini. Già, Leo. La chiave di tutto è lui. Ci aveva già provato a prenderlo con sé quando era al Paris Saint-Germain. Ma i tempi non erano ancora maturi. Non potevano esserlo, Maldini si era ritirato dal calcio giocato pochi mesi prima. Adesso sì. Adesso, il momento, sembra quello giusto: «Siamo sempre rimasti in contatto in questi anni, mi ha sempre detto quello che pensava, diciamo che in 20 giorni ci siamo messi d'accordo. Il suo ruolo? Paolo sarà sempre con me, ci completeremo, sarà un po' come fare il buono e il cattivo». O il diavolo e l'acqua santa, per restare in tema. L'importanza del brasiliano per la scelta di Maldini di accettare, dopo tanti «no», un ruolo operativo nella società rossonera è quanto mai evidente. La loro, un'amicizia indissolubile. Proprio a San Siro, alla fine dell'ultima partita di Paolo con il Milan, quando un centinaio di tifosi contestò il capitano, le telecamere ripresero i due scambiarsi qualche parola, anche con una certa energia. Si pensò a delle tensioni, ma fu lo stesso Paolino a respingere ogni illazione: «Siamo talmente amici che quando l'abbiamo letto, ci siamo messi a ridere. Con i tifosi non devo ricucire. Mi amano».Maldini cerca spesso lo sguardo del brasiliano perché da lui avrà tanto da imparare. «Prenderemo insieme ogni decisione, confrontandoci costantemente con l'allenatore, la squadra e la società». A partire dalla scelta del nuovo capitano, per esempio. Via Bonucci, durato un solo anno, è tempo di trovarne un altro e chi meglio del grande Paolo, dall'alto delle sue 902 presenze in rossonero, può scovarlo? Lui però frena: «È prematuro, oggi è il mio primo giorno, voglio parlare prima con Rino, vedere e conoscere i giocatori, è difficile rispondere a questa domanda». Molto più facile è spiegare il motivo che lo ha spinto a dire sì a questo Milan: «Alla base di tutto c'è l'amore per questo club. Se c'è una scelta nel calcio per me è nel Milan o nella Nazionale. E poi l'amicizia verso Leo, come ho già detto, infine il progetto, serio, di questa società». Non voleva ruoli di facciata, Paolo Maldini. Lo ha sempre detto e lo ribadisce anche in conferenza. Con Barbara Berlusconi venne intavolato un discorso che si risolse in un nulla di fatto. Con la gestione precedente non si riuscì a inquadrare il giusto ruolo per lui. «Stavolta è diverso. La società è solida, e lo sarà, grazie a un progetto di medio e lungo termine, ecco: il primo obiettivo è questo». Non voleva ruoli di facciata ma Paolino, accettando questo ruolo, e con queste parole, diventa automaticamente garante del nuovo Milan targato Elliott, come spiega anche lo stesso Leonardo: «Quello che serve a questo nuovo corso è impegno e costanza, e io non conosco nessuno meglio di Paolo che riesca a interpretare questi due fattori. Occorre restare concentrati al 100% sui nostri obiettivi, e quello che dava lui, in campo e fuori, era unico: la sua storia parla da sé». Ha tanto da dimostrare Paolo Maldini come dirigente, praticamente tutto. Da giocatore ha vinto qualunque trofeo con il club a eccezione della coppa Uefa e non è un caso che proprio quest'anno gli si presenti l'occasione di vincerla da dietro la scrivania. «Abbiamo vinto cinque Champions League, io e Paolino. Lui cinque e io zero», anche Leo scherza, e aggiunge: «L'obiettivo è riuscire a fargli sollevare di nuovo qualche nuovo trofeo, ma non abbiamo fretta». Per adesso il Milan si gode il colpo dell'estate, non c'è Higuain che tenga: Maldini di nuovo in rossonero vale come Ronaldo alla Juve, osa qualcuno. Ci può anche stare. Anche in virtù di un altro «colpo» di mercato sempre a livello dirigenziale, che si lascia sfuggire Leo a fine conferenza: «Kakà è sempre stato il mio pupillo e lui ha manifestato la volontà di studiare da dirigente, penso che a settembre sarà qui con noi, a titolo gratuito, ovviamente». Paolino dirigente e Kakà stagista. Mica male. Già si guarda al futuro, ma l'obiettivo è il presente. E il presente porta i nomi di Leonardo, Gattuso e Maldini. Tre, come lo storico numero di maglia del capitano. «Non potevo desiderare compagni di viaggio migliori». No, Paolino non se n'è mai andato. La leggenda è tornata a casa.
Massimo Doris (Imagoeconomica)
Secondo la sinistra, Tajani sarebbe contrario alla tassa sulle banche perché Fininvest detiene il 30% del capitale della società. Ma Doris attacca: «Le critiche? Ridicole». Intanto l’utile netto cresce dell’8% nei primi nove mesi, si va verso un 2025 da record.
Nessun cortocircuito tra Forza Italia e Banca Mediolanum a proposito della tassa sugli extraprofitti. Massimo Doris, amministratore delegato del gruppo, coglie l’occasione dei conti al 30 settembre per fare chiarezza. «Le critiche sono ridicole», dice, parlando più ai mercati che alla politica. Seguendo l’esempio del padre Ennio si tiene lontano dal teatrino romano. Spiega: «L’anno scorso abbiamo pagato circa 740 milioni di dividendi complessivi, e Fininvest ha portato a casa quasi 240 milioni. Forza Italia terrebbe in piedi la polemica solo per evitare che la famiglia Berlusconi incassi qualche milione in meno? Ho qualche dubbio».
Giovanni Pitruzzella (Ansa)
Il giudice della Consulta Giovanni Pitruzzella: «Non c’è un popolo europeo: la politica democratica resta ancorata alla dimensione nazionale. L’Unione deve prendere sul serio i problemi urgenti, anche quando urtano il pensiero dominante».
Due anni fa il professor Giovanni Pitruzzella, già presidente dell’Autorià garante della concorrenza e del mercato e membro della Corte di giustizia dell’Unione europea, è stato designato giudice della Corte costituzionale dal presidente della Repubblica. Ha accettato questo lungo colloquio con La Verità a margine di una lezione tenuta al convegno annuale dell’Associazione italiana dei costituzionalisti, dal titolo «Il problema della democrazia europea».
Ansa
Maurizio Marrone, assessore alla casa della Regione Piemonte in quota Fdi, ricorda che esiste una legge a tutela degli italiani nei bandi. Ma Avs la vuole disapplicare.
In Italia non è possibile dare più case agli italiani. Non appena qualcuno prova a farlo, subito si scatena una opposizione feroce, politici, avvocati, attivisti e media si mobilitano gridando alla discriminazione. Decisamente emblematico quello che sta avvenendo in Piemonte in queste ore. Una donna algerina sposata con un italiano si è vista negare una casa popolare perché non ha un lavoro regolare. Supportata dall’Asgi, associazione di avvocati di area sorosiana sempre in prima fila nelle battaglie pro immigrazione, la donna si è rivolta al tribunale di Torino che la ha dato ragione disapplicando la legge e ridandole la casa. Ora la palla passa alla Corte costituzionale, che dovrà decidere sulla legittimità delle norme abitative piemontesi.
Henry Winkler (Getty Images)
In onda dal 9 novembre su History Channel, la serie condotta da Henry Winkler riscopre con ironia le stranezze e gli errori del passato: giochi pericolosi, pubblicità assurde e invenzioni folli che mostrano quanto poco, in fondo, l’uomo sia cambiato.
Il tono è lontano da quello accademico che, di norma, definisce il documentario. Non perché manchi una parte di divulgazione o il tentativo di informare chi stia seduto a guardare, ma perché Una storia pericolosa (in onda dalle 21.30 di domenica 9 novembre su History Channel, ai canali 118 e 409 di Sky) riesce a trovare una sua leggerezza: un'ironia sottile, che permetta di guardare al passato senza eccessivo spirito critico, solo con lo sguardo e il disincanto di chi, oggi, abbia consapevolezze che all'epoca non potevano esistere.






