2024-12-04
Il «pacifista» Majorino mena le mani. Spintoni in Regione con La Russa Jr
Il capo del Pd milanese aggredisce e strappa il microfono all’assessore lombardo, colpevole di aver ricordato alla sinistra le violenze anni Settanta. Un passo falso per l’uomo dei centri sociali che sogna Palazzo Marino.Si sentiva solo. Sorpassato a sinistra dai collettivi studenteschi della Statale, dalle baby gang del Corvetto sulle periferie, da Marco Cappato sui temi etici e da Beppe Sala sulle calze arcobaleno e le piste ciclabili, Pierfrancesco Majorino viveva le sue giornate in una sorta di limbo dell’inutilità, peraltro non toccando palla come capogruppo piddino in Consiglio regionale. Fino a ieri mattina, quando ha deciso di dare una svolta alla stagione da sbadiglio, facendo prevalere in aula la sua anima leonka. Ed è entrato in modalità katanga, formidabili quegli anni. Romano La Russa, assessore alla Sicurezza, stava intervenendo a difesa di sé stesso dopo una mozione di censura da parte delle opposizioni (passate intemperanze verbali), quando Majorino si è alzato dal proprio banco, si è precipitato al tavolo della giunta e, visibilmente innervosito, ha strappato il microfono al fratello del presidente del Senato. Ne è nato un parapiglia fra i due con spinte e toni sopra le righe, una rissa fermata sul nascere dall’intervento pacificatore degli addetti e di altri consiglieri. La seduta è stata sospesa per dieci minuti. A far entrare in ebollizione il leader del Pd milanese è stato un passaggio dell’intervento di La Russa: «Da parte nostra bisogna chiedere scusa non all’aula ma ai cittadini, perché stiamo sprecando questo tempo in cui dovremmo discutere di altre cose molto più importanti di un’inutile mozione di censura. Ritengo di non aver insultato nessuno, ho solo espresso le mie opinioni. Ho ricordato come la vostra matrice è quella che arriva dagli anni Settanta». Sulla frase Majorino è scattato come un furetto e La Russa ha rincarato la dose: «I tuoi antenati almeno avevano il coraggio di affrontare l’avversario a viso aperto. Tu saresti stato dietro ai tuoi amici, nascosto, a indicare quello cattivo perché non hai neanche il coraggio. Tu vai al Corvetto!». Sulle ultime sillabe la zuffa verbale era compiuta e il microfono ne ha fatto le spese.Fra La Russa e l’opposizione piddina c’è un conto aperto da tempo. Uno scontro verbale era avvenuto il 12 novembre per colpa di Bruxelles. Dopo il rapporto (lunare) della Commissione contro il razzismo e l’intolleranza del Consiglio d’Europa che accusò le forze dell’ordine italiane di «profilazione etnica», l’assessore alla Sicurezza della Lombardia apostrofò così le opposizioni: «Siete voi la fonte dell’informazione, per avere un po’ di notorietà. Quando vedete una divisa vi viene l’orticaria, fatevi curare. Vi possiamo indicare qualche medico». L’argomento è delicato perché Milano, punta di diamante del turbo-progressismo che tende a considerare la sicurezza un accessorio destrorso e non una necessità sociale, sta pagando anni di lassismo con l’aumento della violenza etnica e incendi da rivolta delle periferie. Non più tardi di una settimana fa la consigliera regionale piddina Carmela Rozza si è presentata al corteo per Ramy Elgaml al quartiere Corvetto ed è stata duramente contestata con l’accusa di «fare campagna elettorale». Uno smacco per i dem e in particolare per Majorino, da sempre in prima linea a difendere le ragioni dei centri sociali, suo storico bacino di voti nonostante lui sia espressione plastica della gauche al caviale della Milano Ztl. Nipote di un poeta editore, gioventù in Porta Romana, ex numero uno della Rete studentesca incline alle okkupazioni, fu assessore ai Servizi sociali nella giunta di Giuliano Pisapia. Ex avversario di Sala alle primarie del 2016 («perché è troppo di destra»), inventò lo slogan della «Milano senza muri», che ha visto arrivare 150.000 profughi in pochi anni, destinati alla schiavitù e al degrado. Durante il periodo d’oro all’Europarlamento sembrava imborghesito per via dello stipendio da 19.000 euro al mese e del matrimonio con Caterina Sarfatti, erede di una delle famiglia più note dell’alta borghesia meneghina, con villa principesca sul lago di Como. Nel periodo nero della pandemia si era distinto per il tentativo di spallata politica alla Regione governata dal centrodestra mentre la gente moriva in ospedale. Battuto nella corsa a Palazzo Pirelli da Attilio Fontana, era entrato in Consiglio regionale come in un parcheggio. Con un sogno: correre fra due anni per diventare sindaco di Milano. Una prospettiva che ha fatto dire a Riccardo De Corato, ex vicesindaco di Gabriele Albertini e Letizia Moratti: «È perfetto per trasformare la città in un grande campo profughi». Per Majorino la sceneggiata di ieri mattina non è un buon viatico verso Palazzo Marino, la capitale del made in Italy non perdona la mancanza di stile. Ma se l’alterco è stato triste, il seguito ha avuto lampi di comicità: il centrosinistra ha inoltrato una nota formale al presidente, Attilio Fontana, contro La Russa per la «inaccettabile reazione fisica nei confronti del consigliere Majorino». Praticamente il mondo al contrario, se il Pier non si fosse scagliato al tavolo della giunta non sarebbe successo niente. Infatti alla fine l’ufficio di presidenza ha censurato pure lui. L’aggressore che dà dell’aggressivo all’aggredito: una fotografia artistica della sinistra al tempo di Ilaria Salis.