2023-06-15
«Sui magistrati aveva ragione Silvio». La conversione dell’indagato D’Alema
Massimo D'Alema e Silvio Berlusconi (Ansa)
Sfruttando la morte di Berlusconi, il fido Tommaso Labate sul «Corriere» fa un assist a Baffino, che punge i giudici. Però non dice una parola sull’inchiesta colombiana, né sui suoi tanti processi finiti nel nulla.Non sappiamo se sia più colpa dei politici o dei giornalisti che li intervistano, ma il connubio tra le due categorie a volte è un cocktail indigesto. La coppia di cui vogliamo parlarvi oggi la vedremmo bene in una milonga, mentre balla guancia a guancia un tango appassionato. Ci riferiamo a Tommaso Labate e Massimo D’Alema. L’adagio «chi trova un amico trova un tesoro» in loro ha la sua plastica rappresentazione. Come in Maria Teresa Meli e Matteo Renzi. Essì, perché al Corriere della Sera amano il gioco delle coppie. Labate l’anno scorso scese in campo per salvare l’amico D’Alema dall’audio pubblicato dalla Verità, quello in cui il sedicente politico di sinistra discuteva di armi con un ex paramilitare di estrema destra accusato di aver ucciso sindacalisti del suo Paese, la Colombia. Un affare che avrebbe dovuto far guadagnare ai consulenti dei due gruppi di lavoro (quello italiano era guidato da Baffino) 80 milioni di euro. Parole inequivocabili che hanno portato alla contestazione da parte della Procura di Napoli nei confronti di D’Alema e di altri sette soggetti del reato di corruzione internazionale aggravata.Ma all’epoca il pompiere Labate aveva concesso mezza pagina all’ex capo del governo per una sorta di autoassoluzione, dove eravamo accusati di «barbarie».Dopo una ventina di giorni, non pago, D’Alema aveva rilasciato al fido Labate un’intervista ufficiale sulla vicenda, mentre La Verità continuava a macinare scoop. Qui qualche domanda compariva. Come questa: «Teme di essere indagato?». La risposta era netta: «E perché? Non ho fatto nulla di illecito o poco trasparente. Sono anzi tra quelli che hanno più interesse a fare chiarezza su tutti i punti oscuri di questa storia, come la registrazione illegale...».Dopo più di 15 mesi sono arrivate le perquisizioni e Labate è tornato dall’amico D’Alema. E lo ha inchiodato da par suo: «Presidente D’Alema, che cosa ha provato quando ha saputo della morte di Berlusconi?». Max, sorpreso da tanta aggressività, ha replicato: «Ho provato dispiacere. Berlusconi era un combattente. Un avversario, certo, ma un uomo capace anche di suscitare ammirazione e persino simpatia dal punto di vista umano». Labate, mai domo, si è rifatto sotto: «È d’accordo con il lutto nazionale?». E qui, D’Alema, quasi groggy per questa gragnuola di domande scomode, ha spiegato esausto: «È una decisione che corrisponde a un sentimento non di tutti, certo, ma di una parte importante degli italiani. Non credo che debba essere materia di polemiche». Quindi, sul giornale dell’ex discepolo di Berlusconi, Urbano Cairo, ha avuto il coraggio di aggiungere: il Cav «era riuscito a catalizzare il voto conservatore e a riempire il vuoto lasciato dalla caduta del Caf (Craxi, Andreotti, Forlani, ndr). Nel nome dell’anticomunismo ma anche presentandosi come “il nuovo” contro la vecchia politica dei partiti. Una miscela geniale di tradizione e innovazione».Con D’Alema ormai inchiodato al muro, il cronista ha lanciato l’assalto finale: «Secondo lei, Berlusconi ha avuto qualche ragione nel ritenersi perseguitato da alcuni giudici?». Silenzio. Gocce di sudore sulla fronte. Sospiri. Poi è arrivata la confessione: «Probabilmente sì». A cui è seguita la puntualizzazione: «Credo che Berlusconi abbia sollevato un problema reale declinandolo nel modo sbagliato. E cioè interpretandolo come se ci fosse il complotto dei magistrati di sinistra contro di lui». La verità, per D’Alema, è che c’è «uno squilibrio nei rapporti tra poteri dello Stato» e che le toghe sono stronze con tutti: «L’indebolimento del sistema dei partiti ha lasciato campo a una crescita del potere “politico” della magistratura, che si è arrogata il compito di fare qualcosa di più che perseguire i reati, come per esempio vigilare sull’etica pubblica e promuovere il ricambio della classe dirigente».Concetti simili D’Alema li aveva espressi lunedì nel salotto di Bruno Vespa. Ma si sa, repetita iuvant. Ovviamente a Labate, stordito dall’oratoria del suo Max, è rimasta in canna la domanda decisiva: «Scusi presidente, ma lei dice queste cose perché è indagato dalla Procura di Napoli?». E il nostro Pulitzer non ha nemmeno rammentato che, mentre Berlusconi gridava al complotto, il suo intervistato usciva indenne dalle inchieste. Per questo sopperiamo volentieri alle amnesie dell’esimio collega. Negli anni ’90 l’allora leader del Pds era stato accusato di finanziamento illecito dai pm baresi Alberto Maritati e Giuseppe Scelsi. Lui venne prescritto, altri politici finirono in manette con accuse di corruzione.Nel 1995 il giudice Concetta Russi scrisse: «Uno degli episodi di illecito finanziario, e cioè la corresponsione di un contributo di 20 milioni di lire in favore del Pci, ha trovato sostanziale conferma, pur nella diversità di alcuni elementi marginali, nella leale dichiarazione dell’onorevole D’Alema». Il finanziatore, il «re delle case di cura» Francesco Cavallari, dichiarò nel 2009 a Panorama: «Io consegnai personalmente a D’Alema 20 milioni in contanti in una busta bianca durante una cena a casa mia. Ma non finì lì. In altre due occasioni gli diedi due finanziamenti da 15 milioni che gli portai al Consiglio regionale. Successivamente gli feci avere altre due tranche sempre da 15: in tutto 80 milioni di lire». Cavallari spiegò anche perché sino a quel giorno si era parlato «solo» di 20 milioni: «Nell’agenda inizialmente annotai il nome “D’Alema” poi, vista la cresciuta confidenza, lo indicai come “Massimo”. Maritati non mi ha creduto». Cavallari aggiunse di aver detto al pm che D’Alema gli «era stato molto utile nei rapporti con la Cgil» e che dopo che erano «iniziate le dazioni di danaro» non era stato «più attaccato violentemente dal sindacato» e che «il rapporto» era «diventato più collaborativo e garbato». A Roma, D’Alema, dopo aver sottolineato «i progressi» nella concertazione, gli avrebbe raccomandato «un atteggiamento più dialogante nei confronti del sindacato». Un discorso che per gli avvocati di Cavallari prefigurava altri reati oltre al finanziamento illecito. Maritati fu di diverso avviso. Quattro anni dopo, il 30 giugno 1999, il magistrato viene eletto senatore e il 4 agosto è nominato sottosegretario all’Interno del primo governo D’Alema e confermato nel secondo.Sempre nel 1999 i bombardamenti della Nato in Kosovo con il supporto logistico dell’Italia provocano una marea di profughi. Il gabinetto D’Alema mette in piedi la missione Arcobaleno, per inviare aiuti. Ma emergono subito numerose anomalie e sospette ruberie, tanto che il pm barese Michele Emiliano inizia a investigare a spron battuto. Vengono iscritti sul registro degli indagati molti uomini vicini al premier, compreso l’ex sottosegretario alla protezione civile di quel governo Franco Barbieri.Nel 2003, all’improvviso, Emiliano lascia la magistratura per candidarsi con successo a sindaco di Bari, con la benedizione di D’Alema. Diventa poi segretario regionale del Pd (la stessa carica ricoperta negli anni Ottanta da Baffino) e, successivamente, presidente della Regione Puglia. L’iter giudiziario dell’inchiesta sulla Missione Arcobaleno subisce un «rallentamento» che dura anni, tra rinvii, sostituzioni e ricusazioni. Nel 2007, sette anni dopo gli arresti, vengono mandate a giudizio 19 delle 24 persone sotto inchiesta. Per quattro anni succede poco o niente. Nel febbraio del 2011 c’è un estremo tentativo di iniziare il processo, ma il 17 maggio 2012 la seconda sezione penale del tribunale di Bari dichiara il «non luogo a procedere per intervenuta prescrizione di tutti i reati».Passiamo a un’altra storia. Nel 2007 la gip di Milano Clementina Forleo ipotizza nei confronti di D’Alema il reato di concorso in aggiotaggio nell’ambito dell’inchiesta sulla scalata alla Banca nazionale del lavoro organizzata dalla Unipol di Giovanni Consorte. Il giudice chiede al Parlamento italiano la possibilità di utilizzare le trascrizioni delle intercettazioni telefoniche che riguardavano D’Alema, non indagato. La Forleo, nella sua ordinanza, definiva «consapevoli complici di un disegno criminoso» D’Alema e il senatore Nicola La Torre e li descriveva come «pronti e disponibili a fornire i loro apporti istituzionali in totale spregio dello stato di diritto». Alla fine il Parlamento europeo, di cui D’Alema faceva parte, decise di non autorizzare l’uso delle intercettazioni e di non revocare l’immunità del leader socialista, che restava così fuori dall’inchiesta. Contemporaneamente il procuratore generale della Cassazione avviò un procedimento disciplinare nei confronti della Forleo per aver usato nella propria ordinanza «accenti suggestivi e denigratori» in un «abnorme e non richiesto giudizio anticipato». Il Csm la assolse dall’accusa, ma la trasferì per incompatibilità ambientale a causa di alcune sue dichiarazioni televisive.Non è finita. Nel 2011 l’ex premier viene indagato a Roma per finanziamento illecito per cinque voli aerei che gli erano stati offerti in occasione di trasferte di lavoro dai titolari della Rotkopf aviation, Viscardo e Riccardo Paganelli, che davanti ai pm di Roma ammettono di aver pagato, per il rilascio a tempo di record di un certificato di operatore aereo, tangenti al consigliere dell’Enac (Ente nazionale per l’aviazione civile) Franco Pronzato e a Vincenzo Morichini, consulente e fundraiser di Italianieuropei, la fondazione di D’Alema, nonché vecchio armatore insieme con l’ex primo ministro della barca a vela Ikarus. Nel 2012 i Paganelli e Morichini patteggiano. Pronzato ottiene la prescrizione. Il gip archivia, invece, la posizione di D’Alema, su richiesta della Procura di Roma. Nelle motivazioni del provvedimento si sottolinea come l’allora presidente del Copasir avesse fornito, quando venne ascoltato dai magistrati, dichiarazioni «verosimili» e «credibili» in merito ai cinque passaggi aerei che aveva considerato un «atto di generosità» del suo amico Morichini. E che, venuto a conoscenza dei fatti, aveva risarcito. Per il giudice l’esponente Pd «non poteva avere la consapevolezza» che fossero stati pagati dalla società di Morichini. Dunque anche in questo caso i magistrati gli credettero.Nel 2015 la Procura di Napoli avviò un’inchiesta sugli affari della Cpl Concordia, i cui vertici avevano un solido legame con l’ex ministro degli Esteri. Dai bilanci emerse che la cooperativa aveva acquistato 2.200 bottiglie del prezioso vino di Baffino, 500 copie di un suo libro e inviato tre bonifici da 20.000 euro l’uno alla fondazione Italianieuropei. Ma i pm non riscontrarono reati in quelle strenne.Adesso è arrivato il Colombia-gate, D’Alema non è più parlamentare e, forse, ritiene che per salvarsi non ci sia miglior strada che reinventarsi «berlusconiano».
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.