Dopo le polemiche sulla liberalizzazione passa un emendamento che prende tempo: serve uno studio accurato sulle dighe strategiche in attesa della normativa europea (ci sarà?). È la strada giusta per bloccare gli stranieri.
Dopo le polemiche sulla liberalizzazione passa un emendamento che prende tempo: serve uno studio accurato sulle dighe strategiche in attesa della normativa europea (ci sarà?). È la strada giusta per bloccare gli stranieri.Per tutelare l’idroelettrico ed evitare che le dighe italiane vadano disperse con gare europee in cui sarebbero favoriti i big d’Oltralpe si è addirittura rischiato l’incidente tra maggioranza e governo. Tra le proposte avanzate al decreto Energia bis, all’esame nelle commissioni Ambiente e Attività produttive della Camera, una decina di giorni fa ne erano spuntati una mezza dozzina relativi appunto concessioni idroelettriche, dopo lo stop nella versione ufficiale del decreto Sovranità energetica. L’obiettivo era rendere possibile il rinnovo delle concessioni idroelettriche senza le gare. Si trattava di una serie di emendamenti - firmati da esponenti di Fdi, Fi, Lega, Noi moderati - che prevedono che, «pur salvaguardando condizioni economiche di mercato, le Regioni e le Province autonome» possano, «in alternativa a quanto previsto e fermo restando il passaggio in proprietà delle opere», «riassegnare direttamente al concessionario scaduto o uscente» le concessioni «per l’uso dei beni acquisiti alla proprietà pubblica, delle acque e della relativa forza idraulica». A fronte di tale opportunità, le Regioni sarebbero tenute a chiedere ai concessionari scaduti o uscenti di presentare una proposta tecnico-economica e finanziaria per ciascuna concessione o gruppo di concessioni da riassegnare. Di fronte a questo salvagente offerto dalla maggioranza a un settore strategico per il Paese e per la sicurezza nazionale (come due anni fa aveva sottolineato pure il Comitato parlamentare per la sicurezza), il ministro degli Affari europei, Raffaele Fitto esattamente una settimana fa ha scritto ai capigruppo una lettera. In base al documento anticipato da Public Policy, il titolare del dossier Pnrr avrebbe sottolineato che questi emendamenti (incluso l’identico di Italia viva a prima firma di Mauro del Barba) «contrastano con le previsioni del Pnrr ed espongono il Paese al rischio non solo di non ottenere il celere versamento della quinta rata del Pnrr (già richiesta nello scorso mese di dicembre), ma anche di subire il taglio della stessa per le ragioni di seguito indicate». Insomma, Fitto ha ribadito bianco su nero le pressioni fatte in occasione del decreto sulla sovranità energetica. Cediamo, potenzialmente, il controllo del nostro idroelettrico nei prossimi 30 anni per incassare un assegno del Pnrr. Ci sembra una aberrazione e ne abbiamo scritto ampiamente a partire dallo scorso ottobre. Sembra però che ieri in occasione dello scadere della presentazione degli emendamenti al Milleproroghe ne siano spuntati due destinati a salvare capra e cavoli. Ed evitare a Fitto l’eventuale scontro con Bruxelles che potrebbe precludere la strada verso l’incarico da commissario Ue. Il primo emendamento in sintesi prevede una proroga basandosi su dati (La Verità li ha sempre a dire il vero presi con le pinze) dell’emergenza siccità per far scattare una proroga e garantire nell’immediato ai due concessionari scaduti con il primo di gennaio di poter tornare operativi. L’altro emendamento è più ampio. Prevede la proroga di un anno per dare il tempo allo Stato di avviare uno studio sulle circa 4.500 dighe, valutare l’acquisizione degli asset più strategici e nel frattempo chiedere all’Ue di avviare normative valide per tutti i Paesi del Vecchio Continente. Una mossa semplice ma geniale, perché altri Paesi come Francia e Austria non accetterebbero mai un passo indietro. Sono infatti tra le due nazioni ad essere finite sotto infrazione dall’Ue per aver bocciato qualunque gara d’appalto sull’idroelettrico e poi vedersi riconoscere piena ragione dalla Corte europea. Per tutelare un asset strategico come l’idroelettrico, tutti i Paesi europei hanno previsto per gli operatori nazionali rinnovi delle concessioni senza procedure competitive, se non addirittura concessioni senza limiti temporali. Peraltro, nel settembre 2021, la Commissione europea ha archiviato (viste le sentenze sopra citate) le procedure di infrazione sulla concorrenza nelle concessioni idroelettriche. «È importante per l’Italia intervenire sul tema senza mettere in crisi il piano di investimenti del Pnrr», spiega alla Verità Roberto Zucconi, deputato di Fdi, che da subito si è battuto per la sovranità energetica, «ma al tempo stesso mettendo a terra uno schema che consente all’Italia di mantenere il controllo su una fonte energetiche così peculiare, rinnovabile e sicura. Sia da punto di vista ambientale che delle continuità fondamentale per le imprese». Insomma, si apre così un spiraglio per una trattativa che la legge concorrenza by Draghi aveva azzoppato. L’insistenza dell’Ue e l’accordo preso dal precedente governo sono per certi versi ancora oggi sospetti. Non possiamo ignorare che Bruxelles spinga sul mercato unico. Vale per il gas, il gas naturale liquido e forse per il greggio. Non può - anzi non deve -valere per l’idroelettrico. Per un semplice motivo: esistono le barriere infrastrutturali e i limiti orografici. Insomma, i bacini idroelettrici sono per definizione regionali. Ecco che la liberalizzazione spinta (quella che ancora scongiuriamo) diventerebbe l’alter ego del mercato comune Ue. Visto che non si può condividere l’idroelettrico, lo diamo in mano alle aziende straniere. Il tutto mentre Francia e Germania fanno ogni cosa per creare la propria bolla di tutela energetica. Ecco perché la battaglia è sacrosanta. La maggioranza tenga duro.
Zohran Mamdani (Ansa)
Nella religione musulmana, la «taqiyya» è una menzogna rivolta agli infedeli per conquistare il potere. Il neosindaco di New York ne ha fatto buon uso, associandosi al mondo Lgbt che, pur incompatibile col suo credo, mina dall’interno la società occidentale.
Le «promesse da marinaio» sono impegni che non vengono mantenuti. Il detto nasce dalle numerose promesse fatte da marinai ad altrettanto numerose donne: «Sì, certo, sei l’unica donna della mia vita; Sì, certo, ti sposo», salvo poi salire su una nave e sparire all’orizzonte. Ma anche promesse di infiniti Rosari, voti di castità, almeno di non bestemmiare, perlomeno non troppo, fatte durante uragani, tempeste e fortunali in cambio della salvezza, per essere subito dimenticate appena il mare si cheta. Anche le promesse elettorali fanno parte di questa categoria, per esempio le promesse con cui si diventa sindaco.
Ecco #DimmiLaVerità del 10 novembre 2025. Il deputato di Sud chiama Nord Francesco Gallo ci parla del progetto del Ponte sullo Stretto e di elezioni regionali.
Donald Trump (Ansa)
La Corte Suprema degli Stati Uniti si appresta a pronunciarsi sulla legittimità di una parte dei dazi, che sono stati imposti da Donald Trump: si tratterà di una decisione dalla portata storica.
Al centro del contenzioso sono finite le tariffe che il presidente americano ha comminato ai sensi dell’International Emergency Economic Powers Act (Ieepa). In tal senso, la questione riguarda i dazi imposti per il traffico di fentanyl e quelli che l’inquilino della Casa Bianca ha battezzato ad aprile come “reciproci”. È infatti contro queste tariffe che hanno fatto ricorso alcune aziende e una dozzina di Stati. E, finora, i tribunali di grado inferiore hanno dato torto alla Casa Bianca. I vari casi sono quindi stati accorpati dalla Corte Suprema che, a settembre, ha deciso di valutarli. E così, mercoledì scorso, i togati hanno ospitato il dibattimento sulla questione tra gli avvocati delle parti. Adesso, si attende la decisione finale, che non è tuttavia chiaro quando sarà emessa: solitamente, la Corte Suprema impiega dai tre ai sei mesi dal dibattimento per pronunciarsi. Non è tuttavia escluso che, vista la delicatezza e l’urgenza del dossier in esame, possa stavolta accelerare i tempi.






