2020-12-03
Maggioranza in panne su Ristori e manovra
Il treno di provvedimenti crea un ingorgo parlamentare, anche perché l'esecutivo è spaccato su tutto. Per cercare di risolvere lo stallo, la commissione Bilancio boccia 1.300 emendamenti. Giallo sul «fondo Conte», che fa temere ulteriori chiusure.Quattro lettere, una sola parola: caos. Il governo e la maggioranza sono in confusione totale rispetto alla manovra e agli altri provvedimenti economici (i cosiddetti decreti Ristori). Partiamo dalla legge di bilancio: il solo fatto che in commissione siano stati depositati 7.000 emendamenti (di cui quasi 3.000 della stessa maggioranza: oltre 1.000 dal M5s, più di 800 dal Pd, quasi 700 da Iv e poco meno di 200 da Leu) dà la misura di una coalizione ormai slabbrata, in cui il governo non riesce più a tenere a bada i partiti. E ieri - un po' come atto dovuto da parte della presidenza della commissione Bilancio, e un po' come escamotage per sciogliere nodi altrimenti insolubili - è arrivata la mannaia dell'inammissibilità preventiva di un numero enorme di emendamenti: ben 1.300 sono stati infatti dichiarati non ammissibili dal presidente Fabio Melilli (Pd) «per carenza o inidoneità di compensazione», cioè per mancanza di copertura.Uno dei parlamentari più autorevoli ed esperti, Massimo Garavaglia (Lega), legge la situazione con preoccupazione e lucidità, e delinea due scenari. Il primo è quello in cui la maggioranza insiste nel vicolo cieco in cui si è infilata: ma a questo punto - prevede Garavaglia - rischia di non riuscire nemmeno a chiudere efficacemente la discussione e le votazioni in commissione. Nelle ultime ore, i giallorossi sono riusciti perfino a litigare sugli emendamenti «segnalati», cioè su quelli che dovranno effettivamente essere messi al voto, e aver previsto votazioni ultracompresse in una sola settimana non aiuta certamente a distendere il clima. Per questa via, l'implosione della maggioranza è nelle cose, e perfino chiudere il lavoro in commissione dando mandato al relatore a riferire all'Aula rischia di diventare un'impresa. Senza dire che, in questo primo scenario, la famosa narrazione del dialogo con l'opposizione risulterebbe stracciata proprio dal governo. Il secondo scenario - invece -è quello in cui la maggioranza prende atto dei suoi errori, a partire dal clamoroso ritardo (un mese rispetto alla scadenza teorica del 20 ottobre) con cui la legge di bilancio è arrivata in Parlamento, e si decide a venire a patti con l'opposizione. Su questo, Garavaglia pone una questione generale e una più specifica. Quella generale, sintetizzata dalle proposte della Lega e del resto del centrodestra, è un necessario riequilibrio tra non garantiti e garantiti: occorrono cioè misure concrete per autonomi, imprese, partite Iva, lavoratori del privato. Quella più specifica ha a che fare con quello che Garavaglia chiama criticamente «fondo Conte», e cioè un curioso accantonamento di ben 3,6 miliardi (a cui si aggiungono gli stravaganti 800 milioni per non meglio precisate «esigenze parlamentari») che sembra prefigurare futuri interventi di ristoro. La richiesta di Garavaglia è lineare e di buon senso: «Usare subito queste risorse per un'immediata riduzione di tasse». Oltre alla sostanza, la maggioranza deve fare i conti anche con una enorme (e del tutto autoprocurata) questione di metodo, cioè un clamoroso ingorgo parlamentare. Accanto al treno della legge di bilancio, i macchinisti giallorossi hanno messo altri quattro treni (il decreto Ristori, il Ristori bis, il ter e il quater). Sono complessivamente cinque treni che intasano il Parlamento in modo quasi ingestibile. Tra l'altro, non è nemmeno immaginabile far convergere il contenuto dei decreti Ristori come emendamenti alla legge di bilancio: i ristori riguardano infatti il 2020, mentre la manovra riguarda per definizione il 2021. Morale, si creano due questioni gigantesche. Primo: un paio di anni fa, nell'unica esperienza di governo gialloblù, si gridò contro la «compressione parlamentare» eccessiva della discussione della legge di bilancio. Ma allora una giustificazione c'era, e cioè uno spossante confronto con Bruxelles che costrinse il governo a riscrivere la manovra a metà dicembre. Stavolta questa scusa non può essere accampata dai giallorossi. Secondo: la maggioranza già ipotizza altri futuri scostamenti di bilancio. Anzi, considerando i tempi lunghi prevedibili per il processo di vaccinazione (che potrebbe arrivare fino a tutta l'estate 2021 e oltre), se sciaguratamente il governo proseguisse fino ad allora con un regime di mezze chiusure economiche e di stop and go, sarebbe ipotizzabile una serie di altri decreti Ristori, con relativo scostamento. Peccato però che l'articolo 6 della legge 243 del 2012, quella sull'equilibrio di bilancio che impone l'autorizzazione parlamentare per gli sforamenti, parli esplicitamente di «eventi eccezionali» per giustificare gli scostamenti. Come si fa a parlare di eccezionalità quando tutto è ormai prevedibile da mesi (e per i prossimi mesi)? Sarebbe davvero anomalo trasformare un'eccezione in un metodo pressoché ordinario di gestione della finanza pubblica per un tempo indefinitamente lungo. Anche qui, come rispetto al tema della «compressione parlamentare», è fin troppo facile immaginare cosa sarebbe stato detto (anche in sedi istituzionali) se fosse stata una maggioranza diversa a rendersi protagonista di un simile pastrocchio.
Crollano le forniture di rame, mercato in deficit. Trump annuncia: l’India non comprerà più petrolio russo. Bruxelles mette i dazi sull’acciaio, Bruegel frena. Cina e India litigano per l’acqua del Tibet.
Elly Schlein (Imagoeconomica)