2022-05-12
Maggioranza divisa su armi e guerra in attesa che Draghi parli al Parlamento
Il 19 solo informativa, niente question time. Lorenzo Guerini: «Pronti 600 soldati e forniture». Giuseppe Conte: «Pace fatta con il premier? No».È stato trasformato da question time a informativa l’intervento del presidente del Consiglio, Mario Draghi, previsto per giovedì prossimo, 19 maggio, sulla questione Ucraina. Draghi parlerà alle 9 al Senato e alle 11.30 alla Camera. Non ci sarà nessun voto, come avviene in caso di comunicazioni del governo, ma al termine dell’intervento di Draghi ciascun gruppo parlamentare potrà intervenire su quanto detto dal premier. Il deputato di Alternativa, Raphael Raduzzi, dice a La Verità che il suo partito ha depositato una mozione alla Camera dei deputati: «Dobbiamo immediatamente fermare», ci spiega Raduzzi, «l’invio di ulteriori armi in Ucraina che alimenterebbero un’escalation del conflitto che ci porterebbe dritti alla terza guerra mondiale. Per questo abbiamo depositato una mozione che impegna il governo a promuovere e organizzare al più presto una conferenza di pace», aggiunge Raduzzi, «a non inviare altro materiale d’armamento letale in Ucraina e non appoggiare ulteriori ingressi nella Nato. Chiediamo», sottolinea Raduzzi, «che vengano calendarizzate le comunicazioni del presidente del Consiglio, in luogo della mera informativa, per poter presentare risoluzioni, unico strumento per impegnare il governo a prendere una posizione politica approvata dal parlamento». Quando le mozioni di Alternativa approderanno nelle aule parlamentari, vedremo quali forze politiche hanno davvero a cuore una de-escalation. Il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, intanto, dice chiaro e tondo che il parlamento non verrà più coinvolto in questa discussione: «Il parlamento è stato molto chiaro», afferma Guerini al Gr1, «l’invio di armi è finalizzato a consentire all’Ucraina di difendersi e di difendere la propria popolazione dall’aggressione russa». C’è da restare allibiti: Guerini continua a fare riferimento a un decreto legge varato dal governo 24 ore dopo l’inizio della guerra, quando Usa, Gb e i vertici Nato non avevano ancora neanche lontanamente accennato agli obiettivi esplicitati nelle settimane successive, ovvero indebolire la Russia e far cadere Vladimir Putin, come si è lasciato scappare lo scorso 26 marzo Joe Biden: «La colpa è solo di Putin. Per l’amor di Dio», ha detto il presidente Usa, poi goffamente corretto dalla stessa Casa Bianca, «quest’uomo non può rimanere al potere». Guerini con una invidiabile disinvoltura afferma che il mandato ricevuto dal parlamento non è cambiato, e poi però aggiunge: «Invieremo altri uomini ai confini e altre armi. Per quanto riguarda l’impegno sul fianco est», argomenta Guerini, «siamo già presenti in Lettonia e Romania. Si aggiungerà un ulteriore impegno insieme ai paesi alleati nel fianco sud-est: in Ungheria e Bulgaria». Saranno circa 600 i soldati italiani, dei reparti speciali, inviati nei due paesi dell’Est, mentre le forniture di armi continueranno a comprendere missili Stinger, mortai, mitragliatrici pesanti e leggere, dispositivi anticarro, ai quali si aggiungeranno droni e sistemi di intercettazione. Guerini ha già avuto il suo primo regalino da Washington: ieri il ministro della Difesa ha comunicato che l’Italia ha assunto il comando della missione Nato in Iraq.Tornando alle dichiarazioni politiche, interviene il coordinatore nazionale di Forza Italia, Antonio Tajani: «È giusto inviare armi», sottolinea Tajani, «ma queste armi non devono essere usate fuori dai confini dell’Ucraina». Ci mancherebbe pure che si iniziasse a bombardare Mosca con le nostre armi, verrebbe da dire. Molto più chiaro il leader della Lega, Matteo Salvini: «È fondamentale», sottolinea, «che Italia ed Europa riprendano un ruolo centrale, non a rimorchio di altri. Mai come ora un asse tra Roma, Parigi e Berlino sarebbe fondamentale per il cessate il fuoco». Randella il M5s Davide Casaleggio, leader dell’Associazione Rousseau: «Penso che sia un po’ schizofrenico quello che si sta facendo oggi nel M5s, si dice una cosa e si fa spesso il contrario. Il tema dell’invio delle armi all’Ucraina», attacca Casaleggio, «è un esempio di schizofrenia, perché c’è stato un passaggio in parlamento con l’accettazione di quanto faceva il governo e poi oggi si dice il contrario, questo non paga a lungo termine. Sul tema dell’Ucraina, non ho sentito molte voci su come arrivare alla pace, questo mi dispiace molto. Le condizioni per costruire la pace non passano per l’invio di armi», aggiunge Casaleggio, «e io personalmente sono sempre stato contrario a inviare armi in territori di guerra perché aiuta a creare una escalation militare». «Se l’obiettivo è sconfiggere la Russia», afferma il leader del M5s, Giuseppe Conte, a Porta a Porta, «potremmo coltivare una escalation militare senza limiti che per me sarebbe una prospettiva folle. Dalla postura che hanno assunto mi sembra che anche nel Pd ci sia una riflessione. Auspico fortemente che la Lega di Salvini o altre forze si uniranno a noi». Salvo poi ribadire in serata di volere Draghi in Parlamento «in quanto atto doveroso verso gli italiani». Ma, in attesa, alla domanda «pace fatta con il premier» la risposta è «no».
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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