
Famiglie immigrate in piazza: «I tribunali ci tolgono i minori e li mettono in nuclei di un'altra religione». Ma spesso le sentenze si basano su casi di violenze, a volte pesanti. E non è certo l'Italia a doversi adeguare.Mettendo insieme popoli, culture, religioni differenti e incompatibili fra loro, non si fa altro che moltiplicare le contraddizioni e le incomprensioni. La recente mobilitazione della comunità egiziana torinese ne è un esempio. Oggetto del contendere, il fatto che, nel capoluogo piemontese, ci siano stati almeno una trentina di allontanamenti di bambini da famiglie immigrate e altrettanti affidamenti a nuclei che «non hanno la nostra religione e nemmeno la nostra cultura», come ha spiegato Amir Younes, principale referente della comunità egiziana a Torino. Alla manifestazione di giovedì, davanti al palazzo Civico, erano presenti un centinaio di persone, per chiedere, pare di capire, una minore severità dei tribunali per i minori. E, nel caso in cui l'allontanamento dei bambini si confermi necessario, almeno che esso rispetti la continuità religiosa e culturale. Insomma, gli italiani con gli italiani e gli egiziani con gli egiziani, i cristiani con i cristiani e i musulmani con i musulmani. «È una questione religiosa, ma non solo», commenta Abdel Wahab Abdel Hamid, l'avvocato della famiglia di Ziad, un bimbo che sta aspettando di sapere se il tribunale lo darà in adozione dopo averlo allontanato dai suoi genitori, «è importante che i nostri bambini, anche nelle famiglie considerate più difficili, non perdano il legame con le loro origini» . Identità, origini, continuità, religione: è curioso che gli immigrati siano gli unici, oggi, in Italia, a poter usare questi termini con tanta naturalezza, laddove i loro migliori alleati italiani predicano invece la mescolanza, l'ibridazione, il melting pot. «Per un egiziano è difficile accettare che il proprio figlio venga cresciuto in una famiglia cristiana. Sono fatti come questo che aumentano l'odio e fanno male all'integrazione», dice ancora l'avvocato. Frasi che suonano ambigue, se non vagamente inquietanti. Ovviamente, come sempre avviene in questi casi, anche nelle famiglie italiane, entrano in ballo recriminazioni e versioni contrastanti su cui è difficile prendere posizione senza approfondire i fatti. Il legale di Ziad spiega che i genitori del bambino sono accusati di averlo abbandonato, «ma lo hanno perso di vista un'ora perché era sfuggito al controllo e si era allontanato». Merfat, una donna di 37 anni a cui hanno tolto cinque figli, protesta: «Tutto è cominciato perché una delle mie figlie ha detto a scuola che il padre l'aveva picchiata. Da allora non li vedo più. Ma mio marito non ha mai picchiato la bambina, l'ha rimproverata, magari è stato brusco, ma lo ha fatto per educarla, non per farle del male». Di sicuro il rapporto con la violenza, reale o anche solo simbolica, con l'educazione autoritaria, con l'autorità paterna è differente da una sponda all'altra del Mediterraneo. Il che favorisce ulteriormente le incomprensioni. Ma davvero lo Stato italiano deve farsi carico di questo scarto culturale e tollerare dagli stranieri cose che non consente ai propri cittadini? A proposito dell'educazione tradizionale, che non lesina qualche scapaccione, il rappresentante della comunità, Younes, chiosa: «Vorremmo poterlo spiegare ai giudici. Vorremmo che conoscessero meglio la nostra cultura». Ma forse sarebbe meglio se fossero loro a informarsi sulla nostra, di cultura: che l'ospite si adatti al contesto generale in cui va inserirsi sembra più logico rispetto al contrario, anche se quel che si vorrebbe raggiungere, par di capire, è che siano gli italiani a doversi integrare nella cultura degli stranieri e non viceversa.Giova anche ricordare che, se errori giudiziari sono sempre possibili, sia con gli italiani che con gli immigrati, spesso gli allontanamenti dei minori dalle famiglie sono ben motivati. E, quando si tratta di stranieri, non sempre l'educazione tradizionale che essi hanno in mente si basa solo su qualche schiaffone ogni tanto. Basti ricordare che, lo scorso novembre, proprio a Torino, proprio in una famiglia egiziana, si scoprì il caso di un padre che frustava i figli con il filo elettrico e li teneva legati alle sedie, obbligandoli a frequentare la scuola araba e portare il velo. Magari i trenta casi sollevati dalle famiglie che protestavano giovedì in piazza non saranno tutti così, ma bisogna tenere in conto che esiste anche questa realtà, fatta di abusi e violenze intollerabili. Marco Giusta, assessore alle Famiglie, ha aperto uno spiraglio: «Possiamo aprire un dialogo con il tribunale». Ma ha aggiunto che «i servizi sociali non intervengono per uno schiaffetto. Non sono molti, ma abbiamo casi di vere violenze domestiche». Qualche tempo fa, in Gran Bretagna, si pose il problema inverso: i figli di coppie inglesi erano stati affidati a famiglie musulmane osservanti. Ma si tratta dell'altra faccia di un'unica follia, quella della convivenza forzata. Chissà, del resto, se una famiglia italiana in Egitto nelle medesime condizioni avrebbe qualche chance di veder riconosciuto il proprio diritto alla «continuità culturale» nell'educazione dei bambini.
(Stellantis)
Nel 2026 il marchio tornerà a competere nella massima categoria rally, dopo oltre 30 anni di assenza, con la Ypsilon Rally2 HF. La storia dei trionfi del passato dalla Fulvia Coupé alla Stratos alla Delta.
L'articolo contiene un video e una gallery fotografica.
Lo ha annunciato uno dei protagonisti degli anni d'oro della casa di Chivasso, Miki Biasion, assieme al ceo Luca Napolitano e al direttore sportivo Eugenio Franzetti: la Lancia, assente dal 1992 dalla massima categoria rallystica, tornerà protagonista nel campionato Wrc con la Ypsilon Rally2 HF. La gara d'esordio sarà il mitico rally di Monte Carlo, in programma dal 22 al 26 gennaio 2026.
Lancia è stata per oltre quarant’anni sinonimo di vittoria nei mondiali di Rally. Un dominio quasi senza rivali, partito all’inizio degli anni Cinquanta e terminato con il ritiro dalle competizioni all’inizio degli anni Novanta.
Nel primo dopoguerra, la casa di Chivasso era presente praticamente in tutte le competizioni nelle diverse specialità: Formula 1, Targa Florio, Mille Miglia e Carrera. All’inizio degli anni ’50 la Lancia cominciò l’avventura nel circo dei Rally con l’Aurelia B20, che nel 1954 vinse il rally dell’Acropoli con il pilota francese Louis Chiron, successo replicato quattro anni più tardi a Monte Carlo, dove al volante dell’Aurelia trionfò l’ex pilota di formula 1 Gigi Villoresi.
I successi portarono alla costituzione della squadra corse dedicata ai rally, fondata da Cesare Fiorio nel 1960 e caratterizzata dalla sigla HF (High Fidelity, dove «Fidelity» stava alla fedeltà al marchio), il cui logo era un elefantino stilizzato. Alla fine degli anni ’60 iniziarono i grandi successi con la Fulvia Coupè HF guidata da Sandro Munari, che nel 1967 ottenne la prima vittoria al Tour de Corse. Nato ufficialmente nel 1970, il Mondiale rally vide da subito la Lancia come una delle marche protagoniste. Il trionfo arrivò sempre con la Fulvia 1.6 Coupé HF grazie al trio Munari-Lampinen-Ballestrieri nel Mondiale 1972.
L’anno successivo fu presentata la Lancia Stratos, pensata specificamente per i rallye, la prima non derivata da vetture di serie con la Lancia entrata nel gruppo Fiat, sotto il cui cofano posteriore ruggiva un motore 6 cilindri derivato da quello della Ferrari Dino. Dopo un esordio difficile, la nuova Lancia esplose, tanto da essere definita la «bestia da battere» dagli avversari. Vinse tre mondiali di fila nel 1974, 1975 e 1976 con Munari ancora protagonista assieme ai navigatori Mannucci e Maiga.
A cavallo tra i due decenni ’70 e ’80 la dirigenza sportiva Fiat decise per un momentaneo disimpegno di Lancia nei Rally, la cui vettura di punta del gruppo era all’epoca la 131 Abarth Rally.
Nel 1982 fu la volta di una vettura nuova con il marchio dell’elefantino, la 037, con la quale Lancia tornò a trionfare dopo il ritiro della casa madre Fiat dalle corse. Con Walter Röhrl e Markku Alèn la 037 vinse il Mondiale marche del 1983 contro le più potenti Audi Quattro a trazione integrale.
Ma la Lancia che in assoluto vinse di più fu la Delta, che esordì nel 1985 nella versione speciale S4 sovralimentata (S) a trazione integrale (4) pilotata dalle coppie Toivonen-Wilson e Alen-Kivimaki. Proprio durante quella stagione, la S4 fu protagonista di un drammatico incidente dove morì Henri Toivonen assieme al navigatore Sergio Cresto durante il Tour de Corse. Per una questione di giustizia sportiva il titolo piloti fu tolto alla Lancia alla fine della stagione a favore di Peugeot, che era stata accusata di aver modificato irregolarmente le sue 205 Gti.
L’anno successivo esordì la Delta HF 4WD, che non ebbe rivali con le nuove regole del gruppo A: fu un dominio assoluto anche per gli anni successivi, dove la Delta, poi diventata HF Integrale, conquistò 6 mondiali di fila dal 1987 al 1992 con Juha Kankkunen e Miki Biasion. Lancia si ritirò ufficialmente dal mondo dei rally nel 1991 L’ultimo mondiale fu vinto l’anno successivo dal Jolly Club, una scuderia privata appoggiata dalla casa di Chivasso.
Continua a leggereRiduci
Ansa
L’allarme nel nuovo rapporto di Aiuto alla Chiesa che soffre: repressione anche digitale.













