2024-06-01
Presa in Pakistan la madre di Saman: «Deve scontare l’ergastolo in Italia»
Nel riquadro la madre di Saman, Nazia Shaheen (Ansa)
La donna è stata individuata in un villaggio vicino al confine con il Kashmir: era latitante da oltre tre anni. Per i giudici di Reggio Emilia avrebbe materialmente ucciso la figlia. Partite le procedure per l’estradizione.Nazia Shaheen, la mamma di Saman Abbas, la diciottenne assassinata la notte tra il 30 aprile e l’1 maggio 2021 a Novellara, non è più un fantasma: è stata arrestata in Pakistan, dove si era rifugiata con suo marito Shabbar. La donna è stata condannata all’ergastolo dalla Corte d’assise di Reggio Emilia per l’omicidio della figlia. Stando alla ricostruzione dei giudici probabilmente è stata lei a strangolare Saman. Ma non per essersi opposta a un matrimonio forzato, come sosteneva invece la Procura, bensì perché voleva lasciare la famiglia per andare a vivere con il fidanzato. «Ciò che contava» per la famiglia della ragazza, è l’argomentazione delle toghe, «era dissuaderla dall’andare nuovamente via di casa e non l’uomo che sposasse». Sarebbe la fuga, insomma, la chiave del movente, un comportamento ritenuto «grave per la loro cultura». Il matrimonio forzato, invece, «nulla» aggiungerebbe «alla ricostruzione», hanno clamorosamente valutato i giudici. Nazia è latitante dal giorno dell’omicidio, partita in tutta fretta con il marito per Islamabaad. E mentre Shabbar dopo alcuni mesi è stato individuato, arrestato e poi estradato (e ha potuto partecipare al processo di Reggio Emilia), lei è riuscita a rimanere nell’ombra, probabilmente protetta da parenti che condividevano la decisione di togliere di mezzo quella ragazza che non rispettava i rigidi canoni culturali pakistani. Che in sentenza sono stati usati dai giudici per giustificare l’eliminazione di alcune circostanze aggravanti (motivi abietti o futili), che l’accusa chiedeva invece di affermare, specificando che «bisogna tener conto anche della cultura del reo e del suo contesto sociale di riferimento, del momento in cui si sono verificati i fatti, dei possibili fattori ambientali che possono aver determinato la condotta». Su Nazia pendeva un mandato di cattura internazionale. Il fermo è stato convalidato davanti alla Corte distrettuale di Islamabad e da ieri sono state avviate le procedure per l’estradizione in Italia. Prima della consegna nel carcere di Adyala, la donna è stata sottoposta a una visita medica. La prima udienza per l’estradizione è stata fissata per il 12 giugno. Il nascondiglio di Nazia era stato individuato nei giorni scorsi dalla polizia del Punjab, che tramite le relazioni diplomatiche tra i due Paesi ha subito avvertito le autorità italiane. La mamma di Saman è stata quindi arrestata giovedì notte in una località che non è stata precisata, tra i distretti di Jhelum e Gujrat, in esecuzione della «Red notice (un avviso emesso per informare le forze di polizia internazionali che una persona dovrà essere arrestata a causa di un provvedimento restrittivo della libertà personale, ndr)» emessa dalle autorità italiane. Probabilmente le motivazioni della sentenza della Corte d’assise di Reggio Emilia, depositate il 30 aprile scorso, e che contengono le argomentazioni con le quale i giudici hanno deciso di condannare all’ergastolo i genitori di Saman e a 14 anni di reclusione lo zio Danish Hasnain (i due cugini di Saman, che per la Procura avevano partecipato all’occultamento dei resti e che erano stati ripresi con badile e attrezzi da lavoro in piena notte, invece, sono stati assolti), hanno avuto un certo peso specifico nella ricerca della latitante. Secondo i giudici, i genitori della ragazza l’hanno «letteralmente accompagnata a morire». E non viene escluso, ricostruiscono i giudici d’Assise, che a ucciderla materialmente sia stata proprio la madre. Nazia avrebbe «partecipato attivamente ai momenti in cui si è decisa la sorte» della figlia e la «decisione di uccidere la giovane ragazza» sarebbe «stata concordata dai genitori nel corso delle telefonate con Danish Hasnain (lo zio, ndr)». Inoltre, si legge nella sentenza, «si può affermare con sconfortante certezza che gli imputati Shabbar Abbas e Nazia Shaheen abbiano letteralmente accompagnato la figlia a morire».«È giusto che paghi dopo essere stata condannata all’ergastolo per quello che è il più atroce dei crimini, l’omicidio della figlia», ha subito commentato l’avvocato Barbara Iannuccelli, legale del fidanzato di Saman, Saqib Ayub. «Dalle intercettazioni», sottolinea l’avvocato, «è emerso che chiamasse Saman “pazza” e viene dipinta come una donna fredda e calcolatrice. Nonostante la sentenza non sia definitiva perché pende l’appello, è chiaro che la sua posizione è quella di una donna il cui ruolo nell’omicidio della figlia è stato certificato in una decisione della Corte d’assise. A mio avviso, nel suo caso, tutto potrà essere più veloce». Per l’estradizione di Shabbar ci sono volute una quindicina di udienze. Ma si trattava di una vicenda unica, perché Italia e Pakistan non hanno trattati che regolano l’estradizione e quello di Shabbar è stato il primo caso in assoluto. Si è detto soddisfatto anche l’avvocato Riziero Angeletti, che era costituito parte civile nel procedimento per l’Unione delle comunità islamiche in Italia. Angeletti però sottolinea che il risultato «non appaga fino a quando la verità storica non emergerà rigogliosa dalla terra dell’omertà». Ovvero dal Pakistan. Poi si è complimentato con gli inquirenti e con «coloro che in un territorio ostile sono riusciti in questa impresa. Il percorso è ancora lungo e difficile». E ha concluso: «Spero di poter dare anche con il nostro piccolo contributo una voce diretta all’anima di Saman, tradita anche da quella che doveva essere la sua più intima complice». La mamma.
Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)
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