2018-12-13
Macron sbraca, Conte resiste. Quest’Europa è una barzelletta
Ci sono molti motivi per avercela con l'Europa, uno dei principali si chiama Pierre Moscovici. Il signore in questione è il commissario di Bruxelles per gli affari economici, un tizio che passa le proprie giornate a rilasciare dichiarazioni alle agenzie di stampa, impartendo lezioni a destra e a manca. Il problema è che, a dar retta al suo curriculum, non ha alcun titolo per insegnare agli altri, ma anzi dovrebbe egli stesso tornare sui banchi di scuola per imparare a rispettare le regole. Infatti, ogni volta che si è trovato dall'altra parte della barricata, ovvero non in cattedra, Moscovici non ne ha azzeccata una. (...) (...) In Francia, e anche in Europa, ancora si ricordano di quand'era ministro delle Finanze nei governi socialisti di Francois Hollande. Nonostante fossero già attivi vincoli. Già, perché alla fine Moscovici resta Moscovici, ovvero un perfetto prodotto dell'establishment francese, morbido dentro, cioè in patria, e duro all'esterno, cioè con gli altri. La prova l'ha fornita ieri, quando conoscendo la sua disponibilità nello sfornare dichiarazioni, un cronista gli ha chiesto se avesse intenzione di aprire una procedura d'infrazione contro il suo Paese dopo le concessioni di Emmanuel Macron ai gilet gialli. La mossa del presidente en retromarche rischia di costare una montagna di soldi e c'è già chi ha calcolato che l'anno prossimo la Francia toccherà un deficit vicino al 3,5 per cento, un punto e mezzo in più di quello che si vuol far digerire all'Italia. La regola imporrebbe che il duro Moscovici bacchettasse anche il suo Paese, minacciando lo stesso inflessibile rigore mostrato con l'Italia. Invece, al giornalista che gli ha chiesto che cosa avesse intenzione di fare, il commissario agli Affari economici ha risposto con lo sguardo stupito, come uno che si stesse chiedendo perché gli fosse stata rivolta una domanda tanto sciocca. Un po' come babbo Renzi quando è stato accostato a papà Di Maio, Moscovici ha respinto sdegnato il paragone. Mettere Italia e Francia sullo stesso piano, trattando i due deficit allo stesso modo? Ma quando mai. Il cuore del tenero Pierrot Moscovici non reggerebbe. E infatti il commissario ha fatto capire di non avere nessuna intenzione di fare il duro con la Francia. Le ragioni sono da barzelletta. La prima consiste nel fatto che al momento non ci sarebbero documenti ufficiali. Il che andrebbe bene se non fosse che lo stesso Moscovici ha iniziato a sparare sulle misure del governo di Giuseppe Conte prima ancora che fosse stata scritta una riga. Seguono poi le altre contestazioni, che riguardano il debito, la legge Fornero, la crescita, cioè quelle che secondo l'Europa sono le promesse mancate dell'Italia. Si dà però il caso che, in fatto di promesse mancate, non solo la Francia sia specialista, ma il top - sul mercato del lavoro e sulle tasse - si sia raggiunto ai tempi in cui Moscovici ronzava attorno al ministero delle Finanze. Certo, sappiamo tutti che la rigidità nell'applicazione delle regole europee è una grande messa in scena e quando c'è bisogno di salvare una banca tedesca o di impedire che un'azienda francese sia acquisita da investitori stranieri le norme sono fatte per essere aggirate, ma non c'era bisogno di dimostrarlo in maniera così plateale. Che l'Europa sia un'Unione di Paesi che tendono a fregarsi fra loro era noto, ma istituire il commissario agli Affari propri non era il caso. Ciò detto, con queste carte truccate, il 2,04 ottenuto dal governo italiano nella trattativa con Bruxelles non è un successo (né economico né politico), ma con giocatori che barano finisce per sembrarlo.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
Continua a leggereRiduci