
Fayez Al Serraj ha proclamato lo stato di emergenza a Tripoli per gli scontri tra milizie. Ma l'instabilità è solo la conseguenza delle manovre francesi di ieri e di oggi.Ormai in Libia è caos. Dopo i quasi cinquanta morti dei giorni scorsi, e dopo l'episodio dell'altro ieri, con un colpo di mortaio che ha sfiorato la sede dell'Ambasciata italiana, quella di ieri è stata una giornata campale.Mentre scriviamo, Fayez Al Serraj, che presiede il Consiglio presidenziale, ha appena proclamato lo stato d'emergenza in una Tripoli sotto assedio, con combattimenti sempre più violenti intorno alla capitale. Procede infatti a ritmi accelerati l'avanzata della cosiddetta Settima Brigata, la milizia guidata da Abdel Rahim Al Kani. In un teatro confuso e fragile, nessuno può sapere se la Settima Brigata voglia solo tirare la corda e acquisire più peso tra le fazioni in lotta, o se si possa davvero giungere a una crisi fatale per l'esecutivo di unità nazionale guidato da Serraj. Certo, siamo dinanzi a una polveriera pronta a esplodere: un governo sempre più instabile, l'acuirsi delle tensioni tra Tripoli, Misurata e Tobruk, più il ruolo sinistramente giocato da Isis e Fratelli Musulmani.Per capire bene la situazione occorre considerare il ruolo di Washington, Roma e Parigi. Cominciamo dagli Usa. Il 30 luglio scorso, Donald Trump, incontrando il primo ministro italiano Giuseppe Conte alla Casa Bianca, aveva annunciato la formalizzazione di uno sforzo comune per la sicurezza del Mediterraneo, riconoscendo a chiare lettere la leadership italiana anche per ciò che riguarda Libia e Nord Africa, un duro colpo d'immagine per la grandeur francese. Ciò che preoccupa Washington, in particolare, è che il pantano libico sia un perfetto brodo di coltura per la riorganizzazione e l'espansione di cellule del terrorismo islamista. Nonostante l'investitura americana, però, Roma (non pochi si sono posti domande sulle timidezze della Farnesina e del ministro Enzo Moavero anche in questa vicenda) non è sembrata sempre particolarmente ed efficacemente attiva in queste settimane (è stata organizzata una conferenza a Sciacca per novembre prossimo: quando però sul campo potrebbero già essersi verificati fatti compiuti), mentre il presidente francese Emmanuel Macron ha scelto la Libia come uno dei principali dossier del suo attacco all'Italia. Si ricorderà che la Francia è sempre stata vicina al principale antagonista di Serraj, il generale Khalifa Haftar, e che la scorsa primavera Macron aveva organizzato una conferenza a Parigi ipotizzando elezioni in Libia per il 10 dicembre prossimo.La notizia è che, da alcuni giorni, l'attivismo di Macron si è fatto sempre più avventuristico e pericoloso. Avventuristico, perché insistere per elezioni in Libia a scadenze così ravvicinate è a dir poco un azzardo. Ma c'è anche un elemento di ormai aperto pericolo per l'Italia: abbiamo detto del colpo di mortaio dell'altro giorno, ma va ricordata anche la clamorosa fake news comparsa su Africa Intelligence (dietro cui non pochi hanno visto la manina dei servizi francesi) secondo cui l'Italia avrebbe presto sostituito il proprio ambasciatore. Strategia francese fin troppo chiara, dunque: creare confusione nel campo italiano, destabilizzare il governo Serraj, tirare la volata a Haftar, imporre elezioni-lampo, ripetere (in forme meno cruente rispetto a quanto accadde con Muhammar Gheddafi) l'operazione di rovesciamento di un governo già compiuta nel 2011.Oltre al danno, per l'Italia ci sarebbe anche la beffa: è ovvio che chi governerà la Libia la prossima primavera potrà anche gestire il «rubinetto» dell'immigrazione e degli sbarchi verso le nostre coste. Con tutte le conseguenze che ciascuno può immaginare.
Emanuele Orsini (Ansa)
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