2024-05-07
Macron in ginocchio per ingraziarsi Pechino
Xi Jinping, Emmanuel Macron e Ursula Von der Leyen (Ansa)
Visita in pompa magna, alla presenza anche di Ursula Von der Leyen, del presidente cinese a Parigi. «Impegno a non vendere armi alla Russia». La Francia rafforza i rapporti col Dragone e rischia di diventare il ventre molle d’Europa soprattutto nella Difesa. Xi vuole rafforzare i legami con i due Paesi dell’Est, parte della Via della seta. Lo speciale contiene due articoli. Emmanuel Macron continua a rafforzare i legami con Pechino. Ieri, il presidente francese ha ricevuto all’Eliseo il leader cinese Xi Jinping insieme con il capo della Commissione europea, Ursula von der Leyen. «Il futuro del nostro continente dipenderà molto chiaramente anche dalla nostra capacità di continuare a sviluppare le relazioni con la Cina in modo equilibrato», ha detto Macron, definendo come «assolutamente decisivo» il «coordinamento» con la Repubblica popolare sulle crisi in Ucraina e Medio Oriente. «La situazione internazionale richiede chiaramente questo dialogo euro-cinese più che mai», ha proseguito l’inquilino dell’Eliseo.Quest’ultimo ha anche detto di voler sollevare «in tutta amicizia e fiducia» delle «preoccupazioni, per cercare di superarle», esprimendosi contro «una logica di disaccoppiamento che sarebbe dannosa» sul piano economico e invocando «regole eque per tutti». Macron e la Von der Leyen hanno anche chiesto a Xi di esercitare «tutta la sua influenza sulla Russia» per arrivare a fermare l’invasione dell’Ucraina. I due hanno inoltre esortato il leader cinese ad attuare «maggiori sforzi per limitare la consegna alla Russia di equipaggiamenti duali che finiscono sul campo di battaglia». «La Cina e l’Ue devono rimanere partner, perseguire il dialogo e la cooperazione, approfondire la comunicazione strategica, rafforzare la fiducia reciproca e impegnarsi nel coordinamento strategico», ha detto, dal canto suo, il presidente cinese, a cui è stata anche riservata una cerimonia d’onore in pompa magna all’Hôtel national des Invalides. In serata, Macron ha parlato di «impegni» cinesi ad «astenersi dal vendere armi» alla Russia e ha detto che Xi avrebbe sostenuto la sua idea di una tregua per tutti i conflitti in corso durante le prossime Olimpiadi di Parigi. Secondo Le Figaro, il capo dell’Eliseo avrebbe aggiunto di non volere un «cambio di regime a Mosca», mentre France Info ha riportato che sono stati siglati 18 accordi in vari campi, tra cui aeronautica e agricoltura.Insomma, Macron sta tirando dritto nel rafforzare i legami con il Dragone. Ad aprile 2023, si era recato in Cina e aveva esortato gli europei a non essere «seguaci» degli Usa, lasciandosi anche andare a dichiarazioni controverse su Taiwan. Inoltre, lo scorso febbraio aveva ricevuto a Parigi il ministro degli Esteri cinese Wang Yi. Quello stesso Wang Yi che, ad aprile, si era poi incontrato a Pechino con l’omologo francese Stéphane Séjourné. Non solo. A fine marzo, Macron si era anche recato in Brasile, dove aveva partecipato al varo di un sottomarino realizzato con tecnologia francese, promettendo al presidente Luiz Inácio Lula da Silva che Parigi avrebbe aiutato Brasilia a sviluppare sottomarini a propulsione nucleare. Non solo il Brasile fa parte dei Brics insieme con Pechino, ma anche che, l’anno scorso, proprio Lula si era recato in Cina, rafforzando notevolmente i rapporti con il Dragone.Questo poi non significa che tra Parigi e Pechino sia tutto rose e fiori. Negli scorsi mesi, i francesi avevano spinto Bruxelles, sul piano commerciale, a un approccio severo nei confronti delle auto elettriche cinesi: una linea, quella d’Oltralpe, che aveva irritato Berlino. Inoltre, ieri il ministro dell’Economia francese, Bruno Le Maire, ha detto che un «partenariato economico solido ed equilibrato» tra Parigi e Pechino è ancora «lontano». Eppure è chiaro come Macron si stia avvicinando sempre di più al Dragone. Una situazione, questa, che offre alcuni allarmanti spunti di riflessione.Innanzitutto, la Francia rischia di rivelarsi il ventre molle dell’Ue in riferimento alla crescente capacità di penetrazione economica (e politica) cinese. Un elemento tanto più inquietante alla luce del fatto che, soprattutto in vista della prossima Commissione Ue, Macron sta cercando di ritagliarsi il ruolo di punto di riferimento nel settore della Difesa europea. Il problema è che, con la sua grandeur, l’inquilino dell’Eliseo, nonostante si sia recentemente riscoperto falco antirusso, sta indebolendo la Nato e le relazioni transatlantiche: un elemento, questo, che a Xi - e probabilmente allo stesso Vladimir Putin - non può non far piacere. Mettere la Difesa europea nelle mani di un leader così legato a Pechino potrebbe, insomma, rivelarsi un grosso rischio per la sicurezza dell’Ue, che si ritroverebbe più lontana da Washington e più vulnerabile alle infiltrazioni cinesi. In secondo luogo, emerge nuovamente il velleitarismo diplomatico del presidente francese. Sono due anni che Bruxelles e l’amministrazione Biden stanno chiedendo alla Cina di intervenire su Mosca per porre fine alla crisi ucraina: una richiesta che si è risolta in un buco nell’acqua. Non solo l’invasione russa prosegue, ma Pechino non l’ha neppure condannata. Anzi, ha addirittura consolidato i propri legami economici con la Russia. D’altronde, si sono sempre registrati seri dubbi sul fatto che il Dragone voglia realmente vedere conclusa la guerra in Ucraina.Un terzo fattore da tener presente è che, dopo la sua tappa francese, Xi si recherà in visita in Serbia e in Ungheria. Il che rappresenta un cortocircuito per i sostenitori nostrani di Macron, che si ostinano a considerare quest’ultimo una sorta di paladino dell’Occidente e della liberaldemocrazia, accusando al contempo Viktor Orbán di legami con regimi autoritari. E invece, a quanto pare, sembra proprio che Macron non sia alla fine così distante dall’odiato premier ungherese. Ricordiamo d’altronde che proprio Macron è il presidente francese che, nel 2020 (e cioè quattro anni dopo l’uccisione di Giulio Regeni), ha conferito la Legione d’onore al leader egiziano Abdel Fattah al-Sisi. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/macron-in-ginocchio-ingraziarsi-pechino-2668183233.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="prossime-tappe-serbia-e-ungheria-investimenti-su-treni-acciaio-e-auto" data-post-id="2668183233" data-published-at="1715069889" data-use-pagination="False"> Prossime tappe Serbia e Ungheria. Investimenti su treni, acciaio e auto La visita del presidente cinese Xi Jinping in Europa è ricca di temi. Dopo gli incontri a Parigi con il presidente francese Emmanuel Macron e il presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, Xi si recherà in Ungheria e poi in Serbia, dove avrà colloqui con i rispettivi leader. La visita del leader cinese mette in luce le divisioni interne all’Europa, sia in tema di commercio sia di Difesa. Non è certo un caso che il tour di Xi in Europa tocchi le due capitali dell’Est europeo dove è più marcata l’avversione al sistema di relazioni internazionali di stampo americano. La posizione della Commissione europea sui temi del commercio con la Cina, rappresentata nei colloqui di Parigi dalla Von der Leyen, è complicata dalle divergenze tra Francia e Germania. Berlino infatti teme che un esito punitivo dell’indagine di Bruxelles sugli aiuti di Stato cinesi alla propria industria dell’auto elettrica possa ritorcersi contro le case tedesche come Bmw, Mercedes e Porsche, che stanno investendo moltissimo sul mercato cinese. Il settore dell’auto tedesca teme ritorsioni che sarebbero esiziali per un comparto vitale per la Germania. Ma sono soprattutto le visite in Ungheria e Serbia ad avere una valenza strategica per Pechino. Dal punto di vista commerciale l’Ungheria rappresenta una testa di ponte cinese all’interno dell’Unione europea. La casa automobilistica cinese Byd sta già costruendo un impianto per veicoli elettrici, mentre l’altra grande azienda cinese del settore, Catl, ha in progetto di costruire uno stabilimento per la produzione di batterie per veicoli elettrici a Debrecen, un investimento da 7 miliardi di euro. Nell’incontro di questi giorni Viktor Orbán punta a strappare ai cinesi un patto per un nuovo stabilimento industriale, sempre nel settore dell’auto elettrica, questa volta con la Great wall motor. L’accordo sarebbe già cosa fatta e si attende soltanto l’annuncio. Sul tavolo vi sarebbe però anche qualcosa di molto delicato, ovvero una cooperazione su temi legati alla sicurezza, come l’antiterrorismo e la lotta ai crimini transnazionali. Il tutto, secondo i cinesi, sarebbe da inquadrare all’interno degli accordi sulla Belt & road initiative, che l’Ungheria e la Serbia hanno sottoscritto a suo tempo. Difficile poi non notare la coincidenza della data di arrivo in Serbia di Xi, corrispondente a quella del bombardamento americano su Belgrado nel 1999 che causò tre vittime all’ambasciata cinese in Serbia. Del resto, fu proprio quell’evento ad avvicinare i due Paesi. Il presidente serbo Aleksandar Vucić, in vista dell’arrivo di Xi Jinping, ha detto che la Cina è una «amica ferrea» della Serbia. Sulla questione di Taiwan, il presidente serbo ha affermato di sostenere il principio di una sola Cina e appoggia quest’ultima «nella salvaguardia della sovranità e dell’integrità territoriale». Parole che a Washington non piaceranno. Tra Belgrado e Budapest è in costruzione un nuovo collegamento ferroviario con la collaborazione di Pechino, un affare da 9 miliardi di euro che fa parte di una linea di sbocco delle merci in arrivo nel porto del Pireo in Grecia, già controllato da tempo da una società cinese. Circa due anni fa vi fu la consegna alla Serbia di un sofisticato sistema missilistico antiaereo da parte della Cina. Inoltre, in Serbia nel 2016 è stata creata Hbis group Serbia iron & steel, come parte del gruppo cinese Hbis group, uno dei maggiori produttori mondiali di acciaio. L’acciaieria di Smederevo occupa 5.000 dipendenti e produce 2,2 milioni di tonnellate di acciaio all’anno. Nell’incontro con Xi, mentre Belgrado è addobbata con bandiere rosse per le strade, Vucić punta a strappare investimenti cinesi per aprire una fabbrica di treni per l’alta velocità. La Serbia non fa parte dell’Unione europea ma ha chiesto di potervi aderire. L’allargamento a Est dell’Unione, insomma, rischia di aumentare le divisioni anziché sanarle.
Antonella Bundu (Imagoeconomica)
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