
Dopo la resa del presidente Emmanuel Macron, parametro al 3,5%: Parigi è la vera malata dell'area euro, ma Bruxelles si concentra sui nostri «zerovirgola». Occhi chiusi anche sugli aiuti di Stato di Angela Merkel alle banche. Altro che En marche, come si chiama il movimento da lui fondato. Da quando è diventato presidente della Repubblica, la carriera di Emmanuel Macron è tutta in retro marche. Prima che alzasse bandiera bianca, arrendendosi senza condizioni ai manifestanti che indossano i gilet gialli, l'inquilino dell'Eliseo aveva già il gradimento sotto i tacchi, perché la maggioranza dei francesi gli aveva voltato le spalle. Tuttavia, dopo le concessioni fatte alla marea di contestatori, è probabile che per l'ottavo capo della quinta Repubblica, il consenso fra gli elettori sia sceso a livelli mai visti, al punto che qualcuno già si interroga se sia in grado di rimanere in sella per altri tre anni e mezzo. A un anno e mezzo dall'inizio del suo mandato, Monsieur le Président è infatti arrivato là dove i suoi peggiori predecessori erano giunti nell'ora in cui si apprestavano a mollare la poltrona. Ma Nicolas Sarkozy e François Hollande almeno erano stati travolti dagli scandali oppure dalle storielle di letto, mentre Macron pare crollare solo sotto i colpi della sua incapacità a svolgere il ruolo per cui è stato eletto. Non solo gli scappano i ministri ed egli stesso si infila in pasticci poco chiari come l'affare Benalla, dal nome della sua guardia del corpo, ma a essere in discussione è la sua preparazione come uomo di Stato. «Macron è capace di guidare un Paese complesso come la Francia?», si interrogano i francesi e io stesso ne ho ascoltati alcuni. Il sospetto è che il giovane e ricco presidente sia solo il risultato di un'abile operazione di marketing politico, ma che dietro non ci sia nulla. Anzi, dietro l'apparente sicurezza che lo ha trasformato in un leader arrogante poco incline ad ascoltare i collaboratori, secondo alcuni c'è pure una tenuta nervosa molto labile. Tanto che Walter Munchau, editorialista del Financial Times, ha apertamente parlato di esaurimento nervoso. Insomma, l'uomo che insieme alla Cancelliera Angela Merkel ha in mano, oltre ai destini del suo Paese, anche quelli dell'Europa, tanto da impartire lezioni all'Italia, non reggerebbe lo stress. La pressione psicologica di dover governare e decidere, in poco tempo lo avrebbe prostrato a tal punto da costringerlo a un periodo di riposo. Qualche lettore a questo punto potrebbe pensare che io sia interessato ai problemi psicologici o nevrotici del presidente francese. Ma non è così. Se ho cercato di tratteggiare il profilo politico e personale di Macron è solo per evidenziare un aspetto: ovvero che la Francia sta messa peggio dell'Italia. Già, perché se noi abbiamo vissuto e ancora viviamo una situazione politica non facile, unita a un problema serio di equilibrio di bilancio e debito pubblico, i nostri cugini non hanno motivo di stappare bottiglie di champagne. La debolezza dell'inquilino dell'Eliseo, infatti, ha prodotto risultati a dire poco catastrofici. Partito lancia in resta per rimettere in riga i francesi, riducendo le tasse ai ricchi e aumentandole alla platea più ampia dei ceti medio bassi, Macron l'altro ieri ha dovuto rimangiarsi tutto, concedendo più di quanto fosse legittimo immaginarsi ai rivoltosi che da settimane assaltano Parigi. Al di là del suo destino politico, che appare segnato (per uno che in Brasile appena 15 giorni fa aveva mostrato il pugno di ferro, la resa è disastrosa in termini d'immagine), ciò che conta è che cosa accadrà all'economia francese e più in generale a quella europea. Già, perché mentre in Italia gli occhi sono tutti concentrati sul nostro deficit, che Bruxelles non vuole che superi il 2 per cento, a Parigi si veleggia allegramente oltre il 3. Anzi, dopo i regali di Macron per rabbonire la piazza, il deficit potrebbe arrivare addirittura al 3,5 per cento, ossia quasi il doppio di quello che l'Ue vuole imporre al governo Conte. Certo, noi abbiamo un debito pubblico elevato, che ha raggiunto il 130 per cento del Pil, ma i nostri cugini stanno a un passo dal 100 per cento e come è noto - perché è quanto accaduto in Italia - se non si tengono sotto controllo le spese si fa alla svelta a peggiorare i parametri. Non solo. Fino a ieri l'Europa ripeteva come un dogma il tetto del 3 per cento di deficit e ora, per non mandare a gambe all'aria Macron prima del tempo, è probabile che accetti di chiudere non un occhio, ma tutti e due. Esattamente come sta chiudendo le palpebre per non vedere i pasticci della Germania, che per salvare la Deutsche Bank sta varando una maxi fusione con la Commerzbank, ovviamente con l'aiuto dello Stato. È vero, i tedeschi sono ricchi (anche grazie al surplus commerciale fuori regola) e con i loro soldi possono fare ciò che vogliono. Ma se i francesi possono sforare e i crucchi barare sugli aiuti di Stato, la Ue che cosa ci sta a fare? Solo a fare le pulci all'Italia? Noi siamo europei, mica fessi.
2025-11-27
Immigrazione: «I Paesi Ue vogliono collaborare a prescindere dall'estrazione politica»
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(Totaleu)
Lo ha dichiarato Sara Kelany, (Fratelli d'Italia) membro del Parlamento e capo del dipartimento italiano per l'immigrazione a margine dell'evento Europe and migration: The Italian Approach Transcending Ideologies al Parlamento europeo di Strasburgo.
Friedrich Merz, Manfred Weber e Ursula von der Leyen (Ansa)
Bordata alla triade Londra-Parigi-Berlino. Il capo del Ppe ce l’ha con Friedrich Merz. E lo mette contro Ursula von der Leyen.
Davanti alle telecamere si stringono la mano. Ma dietro le quinte, se ci sono da spartirsi quote di potere reale, si guardano in cagnesco. Stiamo parlando di Manfred Weber, Ursula von der Leyen e Friedrich Merz: tutti figli della stessa casa madre, quella Cdu che per decenni è stata la potente «balena bianca» teutonica, ma che Angela Merkel ha lasciato letteralmente in macerie. Macerie su cui i conservatori tedeschi vorrebbero iniziare a ricostruire. Eppure il tridente, a quanto pare, non gioca per la stessa squadra.
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Putiferio per le soffiate su una chiamata in cui il mediatore Usa, atteso al Cremlino, dava consigli a Mosca. Il «Guardian» evoca lo zampino di Cia o servizi ucraini, che ad Abu Dhabi hanno visto gli 007 dello zar.
Le manovre diplomatiche per far concludere la crisi ucraina potrebbero trovarsi davanti a uno scoglio. Uno dei principali negoziatori americani, Steve Witkoff, è infatti finito nella bufera, dopo che Bloomberg News ha pubblicato la trascrizione di una telefonata da lui avuta con il consigliere di Vladimir Putin, Yuri Ushakov, lo scorso 14 ottobre. Dal testo è emerso che l’inviato americano ha dato all’interlocutore dei consigli su come lo zar avrebbe dovuto affrontare il colloquio telefonico con Donald Trump, che si sarebbe tenuto due giorni dopo.
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La consulenza super partes parla chiaro: il profilo genetico è compatibile con la linea paterna di Andrea Sempio. Un dato che restringe il cerchio, mette sotto pressione la difesa e apre un nuovo capitolo nell’indagine sul delitto Poggi.






