2024-07-12
Macron inchioda il premier ai Giochi e prova a bruciare il Fronte popolare
Emmanuel Macron (Getty Images)
Il leader transalpino mantiene lo stallo con la scusa delle Olimpiadi, grazie alla sponda del capo del Senato. Mentre il blocco rosso e i sindacati alzano i toni. Intanto l’incendio a Rouen ricorda il disastro di Notre Dame.Bloomberg suona l’allarme per la Francia: inevitabili tagli lacrime e sangue. E il «Financial Times» rincara la dose. Nel frattempo scatta la fuga delle grandi ricchezze verso l’estero.Lo speciale contiene due articoli.Dopo aver sciolto l’Assemblea nazionale quasi come un bambino capriccioso che aveva perso le elezioni europee, ora Emmanuel Macron ritarda il conferimento dell’incarico al futuro primo ministro. Un premier che sarà quasi certamente l’espressione di una maggioranza raffazzonata che, probabilmente, tirerà a campare fino al prossimo scioglimento dell’Assemblea nazionale, che qualcuno prevede già per l’inizio o la fine dell’estate 2025. Rimasto a corto di argomenti, Macron si è rivolto ai suoi concittadini con una lettera priva di contenuti, pubblicata dai quotidiani regionali. Nel frattempo l’inquilino dell’Eliseo sembrerebbe intenzionato a sfruttare la scusa delle Olimpiadi per mantenere in carica artificialmente il governo di Gabriel Attal.Va detto che, dopo le legislative del 2022, Macron aveva impiegato più di 20 giorni per nominare Elisabeth Borne come primo ministro. Inoltre, ci sono altri pezzi da novanta francesi che sposano l’idea di avere un nuovo esecutivo solo dopo i Giochi. Ieri, ad esempio, il presidente del Senato, Gérard Larcher, ha confermato di aver incontrato Macron martedì sera e di aver consigliato di temporeggiare per «superare l’importante periodo dei Giochi olimpici e paralimpici». Larcher vorrebbe che solo «a inizio settembre» si avvii «una fase conseguente alle elezioni». Comunque sia, anche Larcher si è detto convinto che «Emmanuel Macron abbia fatto un errore» sciogliendo la Camera bassa.Ma se i vertici istituzionali preferiscono l’immobilismo, tra i partiti c’è chi vuole andare di fretta. La sinistra francese non deve ancora aver capito di non avere vinto le elezioni e che il 73% dei transalpini non vuole un governo formato solo dal Nouveau front populaire (Nfp). Così i compagni d’Oltralpe fanno pressioni sull’Eliseo perché nomini uno di loro a Palazzo Matignon. Tra quelli che ieri hanno fatto discorsi di sovietica memoria, per ottenere un premier di sinistra ci sono le leader di due sindacati e alcuni esponenti dei partiti del Nfp. Ad aprire le danze ci ha pensato Sophie Binet, segretario generale del sindacato Cgt, ospite del canale d’informazione Lci. La leader sindacale ha dettodi avere l’impressione di «avere Luigi XVI che si barrica a Versailles». Quasi con candore, Binet ha invitato la gente a manifestare il 18 luglio, per mettere l’Assemblea nazionale nientemeno che «sotto sorveglianza». I ferrovieri della Cgt sono invece arrivati a prevedere presidi davanti alle prefetture e vicino all’Assemblea nazionale per «esigere» la creazione di un esecutivo formato dal Nfp. Anche un’altra sindacalista francese è convinta che le legislative siano state vinte dalla gauche. La leader della Cfdt, Marylise Léon, ha dichiarato su France Inter che «bisogna costruire alleanze o compromessi», soprattutto con l’Nfp. Per Léon «è più pericoloso il blocco del Paese invece che il programma dell’Nfp». Gli imprenditori sono invece inquieti per il clima di incertezza che spaventa gli investitori. Patrick Martin, presidente del Medef, la Confindustria francese, ha detto che sull’economia transalpina pende una «spada di Damocle». «Un appesantimento della fiscalità [...] l’aumento brutale dello Smic (salario minimo legale, ndr) oltre alla rinuncia alla riforma delle pensioni o a quella del mercato del lavoro», nonché «un blocco dei prezzi» avrebbero per Martin «degli inevitabili effetti recessivi che getterebbero la Francia in una crisi economica profonda e duratura».A sinistra il leader del Nuovo partito anticapitalista, Philippe Poutou, ha annunciato «una mobilitazione unitaria, delle manifestazioni, degli scioperi» per ottenere un governo di sinistra che conduca politiche di sinistra. Anche il numero uno del Partito comunista, Fabien Roussel, ha detto che Macron «deve lasciarci governare». Per l’ex capolista di estrema sinistra alle europee, Marion Aubry, la nomina di un premier che sia espressione dell’Nfp è «una questione di ore». A destra c’è chi scalpita per sostenere un governo con i macronisti, come il presidente della regione Hauts-de-France, Xavier Bertrand, e chi invece chiude la porta ad alleanze. È il caso di Laurent Wauquiez e del presidente del Senato, Gérard Larcher.Per Macron, la situazione politica si mette male, ma anche in altri ambiti non sembra aver fortuna. Mentre ieri si apprendeva che la guglia della cattedrale di Rouen era in fiamme, la Commissione nazionale del patrimonio ha votato all’unanimità contro il progetto di vetrate «contemporanee» per la nuova Notre Dame, fortemente volute da Macron. Un suo fedelissimo della prima ora, Gilles Le Gendre, invece ha dichiarato: «La macronia è finita».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/macron-francia-crisi-2668734504.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="alla-francia-servono-15-miliardi" data-post-id="2668734504" data-published-at="1720779632" data-use-pagination="False"> «Alla Francia servono 15 miliardi» Fuoco incrociato ieri sulla Francia. Emmanuel Macron è riuscito nell’invidiabile impresa di gettare il Paese nella più totale incertezza sul proprio futuro e, dopo i primi giorni di ingiustificata euforia, il panico si sta facendo largo tra gli investitori, nel mondo delle imprese e negli ambienti della Commissione. Dopo lo scampato pericolo per aver evitato la coabitazione al governo con lo schieramento guidato da Marine Le Pen e Jordan Bardella, è cominciato il fuoco di fila sui grandi media internazionali che stanno realizzando che Macron ha gettato i transalpini dalla padella nella brace. Gli attori scesi in campo ieri sono di primo piano e i palcoscenici su cui si sono esibiti (Financial Times e Bloomberg) sono troppo importanti per non credere che si tratti di un’azione orchestrata appositamente per mettere in guardia Jean-Luc Mélenchon e compagni vari assortiti e invitarli a riporre i sogni nel cassetto. La migliore sintesi è quella dell’economista Shahin Vallée, già consulente di Macron, che lapidariamente ha concluso che «la Francia deve scegliere quale crisi avere, quella sul fronte interno o sul fronte europeo». Puntuale come una bomba a orologeria, Bloomberg ha rilanciato i numeri dell’aggiustamento di bilancio che sarà richiesto alla Francia dal 2025 in conseguenza dell’applicazione del Patto di Stabilità riformato. Almeno 15 miliardi, pari allo 0,55% del Pil su un orizzonte temporale di sette anni. Roba arcinota che però ora viene presentata come le colonne d’Ercole da cui il governo francese - posto che ce ne sia uno e quale che sia - dovrà passare entro settembre. È stato il ministro dell’Economia, Bruno Le Maire, in persona a tracciare ieri il solco del suo successore. Un taglio dello 0,8% del Pil nel 2024, del 1,2% nel 2025 e dello 0,7% nei due anni successivi. Obiettivi a cui bisogna attenersi in modo «rigoroso». Tagli di spesa (pensioni, sussidi di disoccupazione, eccetera) oppure ci saranno aumenti di tasse. Altrimenti la Francia sarà esposta alla «dura reazione dei mercati». Nel solo 2025 sono necessari 25 miliardi di tagli di spesa, di cui 15 già eseguiti, ha aggiunto Le Maire. Nelle stesse ore gli ha fatto eco il governatore della Banque de France, François Villeroy de Galhau, insolitamente loquace, ripreso dal Financial Times. Ha avvertito che lo choc per l’incertezza politica ha paralizzato il mondo delle imprese. Investimenti e assunzioni rinviati o cancellati nel timore di aumenti delle tasse. Non sono mancate bordate contro il reddito minimo - di cui il Nuovo fronte popolare (Nfp) chiede l’aumento - che minerebbe la competitività delle piccole imprese e contro ipotesi di aumento delle tasse. Il tutto condito dal solito malizioso accenno allo spread. Che però questa volta è quello di Parigi e non quello di Roma, rispetto a Berlino. Sempre sul quotidiano londinese hanno avuto spazio le preoccupazioni di Bruxelles per lo stallo creatosi. Perché è vero che Macron è il presidente della Repubblica, ma i ministri che siedono nel Consiglio Ue (nelle varie configurazioni tematiche) saranno molto deboli politicamente e, in combinazione con la debolezza tedesca, si rischia la paralisi totale sui principali dossier. È toccato a Bloomberg chiudere la manovra a tenaglia, paventando la fuga delle grandi ricchezze personali dalla Francia verso destinazioni alternative come Svizzera, Lussemburgo, Singapore, Dubai e Italia (sì, avete letto bene). L’allarme che arriva dai gestori delle grandi ricchezze personali è netto. Chi può muovere i propri capitali, per proteggerli da tassazione di natura patrimoniale o per evitare l’aumento della tassa di successione (per citare alcune idee del Nfp) lo farà e non aspetterà certo di trovarsi con le spalle al muro, ma si muoverà in anticipo. Per il momento, fa sapere Patrick Martin il capo della Medef (Confindustria francese), c’è molto spavento e si è fermato tutto in attesa di capire cosa accadrà. Un gestore (se ne trova sempre uno pronto al bisogno) di grandi patrimoni privati ha riassunto in poche parole il pessimismo dei propri clienti: «Avevamo un clima di fiducia e stabilità e in pochi giorni è stato spazzato via tutto, senza avere nemmeno visibilità sugli sviluppi futuri». «Dopo di me, il diluvio» disse il re di Francia Luigi XV. Pare che Macron voglia imitarlo.
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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