2025-06-11
Ma vescovi e Caritas fanno orecchie da mercante
Monsignor Perego (Imagoeconomica)
Monsignor Perego (Migrantes) accusa gli elettori di «involuzione nazionalista». «Avvenire» non vuole ammettere che il segnale inviato dai cittadini è inequivocabile. Esponendo la Chiesa a una figuraccia.A giudicare dalle prime reazioni, sembra che la lezione non solo non vogliano impararla, ma nemmeno l’abbiano ascoltata. Il referendum è fallito, e il quesito sul dimezzamento dei tempi necessari a ottenere la cittadinanza è fallito doppiamente: persino una parte degli elettori di sinistra ha votato no. Ma la Conferenza episcopale italiana, la fondazione Migrantes, la Caritas e la fetta di mondo cattolico di provata fede immigrazionista ignora il messaggio. Anzi, se la prende con coloro che (...) hanno scelto il no. Subito dopo il voto monsignor Giancarlo Perego, presidente della fondazione Cei Migrantes, ha commentato con Adnkronos il risultato, esibendo il disappunto delle grandi occasioni: «Le nostre città, le nostre imprese, le nostre aziende agricole avranno sempre meno persone immigrate che le ameranno, perché si sono sentiti lasciati fuori dalla città: solo lavoratori e non cittadini. È un segnale negativo di un Paese nei confronti degli immigrati che, in questo modo, non ameranno il nostro Paese», ha detto il monsignore che ormai parla come un uomo di Confindustria e si preoccupa non delle anime ma di chi raccoglierà i pomodori nei campi. Non pago, Perego si è mostrato risentito perché «questa bocciatura nei confronti di un aspetto della legge della cittadinanza sta a indicare un’ulteriore involuzione nazionalista del Paese». Capito? Se gli italiani votano senza obbedire alle disposizioni del monsignore, egli si arrabbia e se la prende con loro, li accusa di essersi involuti, di degradare nel nazionalismo. È più o meno la stessa posizione espressa ieri in prima pagina da Avvenire, che ha affidato il commento sul referendum a Danilo Paolini. Per il quotidiano dei vescovi, «non è riuscita a convincere l’informazione sulla proposta di dimezzare i tempi per la cittadinanza di stranieri adulti, maggiorenni e già in possesso di tutti gli altri requisiti di legge per diventare italiani: i no espressi da chi è andato a votare, più numerosi che per gli altri quesiti, testimoniano una paura e un’ostilità che preoccupano, alimentate non di rado da fantasmi agitati per propaganda. Ma un Paese che voglia confrontarsi serenamente su temi concreti», insiste Paolini, «avrebbe bisogno di un Parlamento che torni a essere luogo di autentico confronto e di decisioni anche condivise. Sarebbe possibile, come ha dimostrato l’occasione mancata l’anno scorso alla Camera sullo ius scholae. Sarebbe onorevole, molto di più che puntare in primo luogo all’affondamento dell’avversario. E potrebbe essere la molla per restituire anche ai cittadini la voglia di partecipare».In realtà, i cittadini in qualche modo - anche non recandosi alle urne - questa volta hanno partecipato. E hanno detto che di norme più lasche sull’immigrazione non ne vogliono sapere. Ma a quanto pare per i prelati e i loro portavoce gli italiani o votano come si deve (a sinistra) o sono dei poveretti vittime della propaganda e resi inetti dalle paure più irrazionali. Sarà per questo che Avvenire non trova di meglio, per commentare l’esito del voto, che intervistare Riccardo Magi (non certo uno molto affine agli ambienti cattolici) per fargli dire che tutto è andato male per colpa della censura governativa. Per la serie: viaggi ai confini della realtà. Viene da chiedersi, poi, se fra gli ottenebrati dalla propaganda vi sia anche il Segretario di Stato del Vaticano, il cardinale Pietro Parolin, il quale qualche giorno fa ha dichiarato che non sarebbe andato alle urne. «Da tanto tempo ormai non vado più a votare. Da quando sono in Vaticano non ho più occasione di andare su», ha detto. Non ci risulta che Parolin sia stupido né che sia uno abituato a dare poco peso alle parole. Dunque non deve essergli sfuggito che le sue frasi avrebbero marcato una distanza piuttosto netta dalle posizioni del Pd. In soldoni, Parolin non ha parlato a vuoto: ha fatto capire che esistono linee diverse dentro la Chiesa. E forse, specie alla luce del disastroso esito referendario (disastroso per la Cei), sarebbe ora di prenderne atto. In questi anni, anche grazie alla presenza di Francesco, la parte più immigrazionista e multiculturalista ha preso il sopravvento, nei luoghi di potere e soprattutto a livello mediatico. I vescovi hanno fatto politica, scagliandosi per lo più contro questo o quel politico sovranista. Sembrava quasi che l’apertura delle frontiere fosse il principale obiettivo degli ecclesiastici. Forse, però, i vertici della Chiesa avrebbero dovuto parlare meno e ascoltare di più: avrebbero compreso che le esigenze del popolo sono differenti e avrebbero capito che non tutti si oppongono alla migrazione di massa perché sono razzisti o resi stupidi dal terrore. Anzi, i più hanno ragionevoli argomenti a sostegno della loro contrarietà. Purtroppo, ancora adesso certi prelati insistono a battere il sentiero percorso durante il pontificato di Francesco. Giusto ieri Corrado Lorefice, arcivescovo di Palermo e vescovo delegato per le Migrazioni della Conferenza episcopale siciliana (Cesi), discettava dell’importanza dell’accoglienza in favore di camera. Il risultato referendario, però, pone sul tavolo alcune questioni particolarmente rilevanti e non più aggirabili. Intanto, come si diceva, è evidente che nel mondo cattolico esistano più linee di pensiero sulla vicende migratoria. Soprattutto, però, è chiaro che la Cei e gli altri sponsor dell’invasione abbiano subito una grandissima batosta e abbiano esposto la Chiesa a una figuraccia politica non indifferente. In ultimo, i vescovi - nonostante tutti gli sguaiati tentativi che compiono per «stare al passo con i tempi» - hanno dimostrato di essere ben distanti dal loro gregge, di non coglierne gli umori. Ieri Avvenire scriveva che i «seggi disertati» lasciano «domande aperte». A ben vedere, a queste domande è stata data una risposta molto chiara. Resta da capire se i vescovi vorranno ascoltarla o si tureranno le orecchie.
Jose Mourinho (Getty Images)