
Un libro raccoglie i saggi che evidenziano i legami biologici tra genitori e figli in gravidanza. Perfino l'olfatto si modifica. Altro che quanto sostenuto da Monica Cirinnà, secondo cui padre e madre in molti casi sono stereotipi.Ricordate quei bei dibattiti rivelatori di qualche tempo fa, quando l'Italia si divideva sulle unioni civili? «Un padre e una madre sono solo uno stereotipo?», chiese perplesso uno spettatore a una conferenza di Monica Cirinnà. «Sì, in molti casi sì», rispose la senatrice dem. E in tv, a Costanza Miriano che chiedeva dove fosse la mamma dei bambini ottenuti tramite utero in affitto da una coppia gay, uno dei due omosessuali rispose: «La madre non c'è, la madre è un concetto antropologico». Facendo un giro in rete, si trovano decine di articoli che hanno per titolo «L'istinto materno non esiste», anche se l'algoritmo di Google, birichino, ce ne presenta, con la stessa ricerca, altrettanti che affermano l'esatto contrario. Si noterà che, in genere, i primi sono scritti da attiviste femministe, i secondi riportano studi scientifici.E, a proposito di scienza, un bel po' di carne al fuoco sull'argomento la mette un libro scritto a più mani appena uscito per i tipi di Raffaello Cortina Editore. Si tratta di Basi biologiche della funzione genitoriale, firmato da Paola Venuti, Alessandra Simonelli e Paola Rigo, docenti delle università di Trento-Rovereto e Padova. Il ritmo dei saggi raccolti nel volume è serrato, il tono è accademico, nulla viene concesso alla spettacolarizzazione divulgativa, come spesso accade quando la scienza vuole attirare il grande pubblico. I contenuti, tuttavia, pesano come macigni. Scopriamo, infatti, (anche se erano conclusioni già note agli scienziati ed empiricamente chiare a tutti gli altri, prima delle ultime follie ideologiche) che la gravidanza e il parto modificano la struttura cerebrale e ormonale della donna, predisponendola a diventare madre. Per esempio, leggiamo, «l'ossitocina è un ormone che viene rilasciato, soprattutto durante il parto, dalla stimolazione generata dalle contrazioni uterine e dall'allattamento. La sua azione sembra esplicitarsi anche a livello delle strutture che guidano i comportamenti di approccio ed evitamento», cioè, in pratica la risposta agli stimoli esterni. In particolare, parto e allattamento stimolano la produzione di ossitocina ed è stato osservato che «i livelli di questo ormone, nelle madri che allattano al seno o che hanno avuto un parto vaginale, rispetto alle madri che non allattano al seno o che hanno avuto un parto cesareo, sono associati a una maggiore attivazione proprio in quelle regioni che promuovono risposte empatiche».Ossitocina: dove ne abbiamo già sentito parlare? Ma certo, è l'ormone che, come ha rivelato La Verità nei giorni scorsi, alcuni scienziati nazionali e internazionali vorrebbero somministrarci per farci diventare più accoglienti. Meccanismo interessante: quando tale sostanza regola un'empatia naturale, necessaria alla vita, se ne nega la funzione (l'istinto materno non esiste, dice il pensiero dominante), ma in compenso la si vorrebbe usare per contribuire a creare dal nulla un sentimento contronatura, come quello di bonaria acquiescenza verso l'invasione.Resta il fatto che la scienza testimonia in modo chiaro una «predisposizione biologica che si manifesta a seguito dell'esperienza della gravidanza, orientata a facilitare nella neomamma l'interazione (incluso l'approccio) verso l'altro e, in particolare, verso il proprio bambino».Tra gravidanza, parto e cura del bambino esiste quindi una continuità naturale chiara, checché ne pensino i fan dell'utero in affitto. I meccanismi in questione, infatti, entrano in azione prima che si sviluppi un qualsivoglia rapporto «sociale» col bambino. Nella neomamma cambia addirittura la struttura del cervello. È la cosiddetta «plasticità corticale», che si riscontra per almeno i primi due anni dopo il parto. Ma, in particolar modo, cambiamenti sul volume della materia grigia «abbastanza estesi» si registrano tra il primo e il terzo-quarto mese dal parto. Parliamo di un «aumento del volume della materia grigia in regioni cerebrali che sono fondamentali nella motivazione materna, nel regolare i comportamenti di cura e nel promuovere il piacere di stare col bambino, tra cui l'ipotalamo bilaterale, l'amigdala, il globus pallidus e aree del mesencefalo». Anche nel padre, nello stesso periodo, il cervello cambia, spostando risorse, per così dire, dalle aree legate a comportamenti autoreferenziali a quelle del comportamento sociale. Questi dati, spiegano le autrici del saggio, «potrebbero suggerire che la riorganizzazione strutturale in regioni cerebrali diverse nella madre e nel padre potrebbe verosimilmente riflettere la specificità legata ai diversi ruoli di madre e di padre, nel primo periodo post partum, in funzione della cura del bambino». Come, come? Diversi ruoli tra madre e padre determinati biologicamente? La cosa si fa ancora più interessante.Sempre nel volume in oggetto, leggiamo che «nella madre, la risposta dell'amigdala a segnali emotivi infantili, sia positivi che negativi, è modulata dalla rilevanza del proprio bambino in contrasto con gli altri bambini». Non si tratta, insomma, di una generica risposta dell'adulto verso qualsiasi bambino, pure anche quella innata, ma di un legame che si instaura tra una mamma e il suo bambino. Che è il suo, non uno qualsiasi. Diversi studi, citati nel testo, evidenziano che, per esempio, attraverso l'odore le madri sono in grado di distinguere il proprio bambino. Il quale, ben presto, sviluppa a sua volta una preferenza per l'odore materno, maturato addirittura in fase prenatale, attraverso il liquido amniotico. «È possibile che, tra la gravidanza e il periodo postnatale, le donne sviluppino un profilo olfattivo che favorirebbe, da parte del neonato, l'identificazione della propria madre rispetto ad altri individui», leggiamo. Chiamatelo, se volete, odore di concetto antropologico.
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