2019-03-21
M5s nei guai a Roma: «Mister legalità» in cella per mazzette sul nuovo stadio
Marcello De Vito, presidente del Consiglio comunale, accusato di aver preso soldi da Luca Parnasi. Luigi Di Maio: «Espulsione immediata».Nelle intercettazioni il politico e il suo sodale si rallegrano: «Non si verifica più che governiamo Paese e capitale». Poi le cautele sui soldi ricevuti: «Adesso non toccarli».Lo speciale contiene due articoli.Uno schema corruttivo fisso, un «format» lo chiama il gip Maria Paola Tomaselli. Che consentiva a imprenditori e uomini d'affari di comprare il potere di influenza politica del presidente del Consiglio comunale di Roma capitale, Marcello De Vito (M5s), attraverso consulenze fittizie al suo «procuratore», l'avvocato Camillo Mezzacapo. Da ieri, sono entrambi in carcere nell'ambito di uno stralcio dell'inchiesta madre sul nuovo stadio della Roma che, nel giugno scorso, ha portato all'arresto del costruttore Luca Parnasi. Oggi di nuovo indagato, ma a piede libero, insieme agli imprenditori Pierluigi e Claudio Toti e all'immobiliarista Giuseppe Statuto, e a un nutrito gruppo di figure minori (Virginia Vecchiarelli, Paola Comito e Sara Scarpari). Per l'architetto Fortunato Pititto, legato a Statuto, e per il commerciante Gianluca Bardelli, titolare di una concessionaria d'auto, sono stati disposti invece i domiciliari. Le accuse a vario titolo sono di corruzione e traffico di influenze illecite.Tre sono le operazioni finite al centro delle investigazioni dei pm per le quali si sarebbe speso De Vito, il big pentastellato più votato alle ultime amministrative. La prima è la costruzione, nella zona dell'ex Fiera di Roma, di un campo di basket e di un polo per la musica (di interesse di Parnasi). Struttura che avrebbe visto la luce superando i limiti dei «44.000 metri cubi» posti «dalla delibera Berdini» (ex assessore della giunta Raggi, ndr). La seconda è «l'approvazione del progetto di riqualificazione degli ex Mercati Generali di Roma Ostiense» per la quale si stava adoperando la società Lamaro Appalti (gruppo Toti). Mentre la terza è la realizzazione di un hotel nell'ex stazione Trastevere ad opera dell'imprenditore Statuto (recentemente arrestato, peraltro, per bancarotta fraudolenta). Il gip Tomaselli parla apertamente di «asservimento della funzione esercitata agli interessi» dei privati che, di volta in volta, chiedono a De Vito un interessamento. Secondo gli inquirenti, la moneta di scambio erano sostanziosi incarichi professionali di facciata al di lui «socio» Mezzacapo (95.000 da Parnasi; 110.000 dal gruppo Toti; e 24.000 dalla holding Statuto che però ne aveva promessi altri 180.000) che venivano giustificati con false fatture e «dirottati» sui conti della cognata di Mezzacapo (l'avvocato Vecchiarelli) e su quelli di due società: la Ellevi srl e la Mdl srl. La prima, amministrata da Paola Comito, madre di Mezzacapo. La seconda, invece, da Sara Scarpari, segretaria dello studio legale. La società è stata definita dagli inquirenti la «cassaforte» di De Vito e Mezzacapo per la raccolta delle tangenti (sul conto ad oggi ci sono 61.000 euro). A saldare la ricostruzione accusatoria sono state le intercettazioni telefoniche e ambientali e il racconto dello stesso Parnasi durante gli interrogatori dopo il suo arresto. Agli atti dell'inchiesta ci sono i nomi di altri politici grillini (il capogruppo Paolo Ferrara e l'assessore Daniele Frongia, il capo di gabinetto dell'assessore Montuori, Gabriella Raggi) su cui il presidente del parlamentino della capitale (chiamato l'«amico potente» nelle intercettazioni) avrebbe dovuto esercitare la propria influenza per chiudere positivamente le pratiche per le quali erano state allungate le mazzette.È sul rapporto con Luca Parnasi però che il gip si sofferma con maggiore attenzione nell'ordinanza. Per giustificare i pagamenti allo studio Mezzacapo, il costruttore avrebbe individuato quattro incarichi professionali: il «perfezionamento di una transazione tra Acea ed Ecogena» per un vecchio contenzioso commerciale; un accordo transattivo (non formalizzato, però) tra il suo gruppo Parsitalia e Roma Capitale da 10 milioni di euro; la promessa di un incarico legale per la definizione di una causa tra Parsitalia e Banca delle Marche; e lo spostamento della sede di Acea (ieri perquisita dai carabinieri) presso il Business Park del nuovo stadio della Roma.De Vito è il secondo presidente del consiglio comunale di Roma, dopo Mirko Coratti (Pd) per Mafia Capitale, che finisce in manette. Nel 2013, a soli 38 anni aveva vinto le Comunarie e sfidato nella corsa a sindaco l'uscente Gianni Alemanno e Ignazio Marino, arrivando terzo con il 12 per cento. Nel 2016 aveva però ceduto la candidatura a Virginia Raggi raccogliendo, comunque, il record di 6.500 preferenze. Grillino della prima ora dell'ala ultra ortodossa, De Vito è stato cacciato dal Movimento da Luigi Di Maio appena un'ora dopo il trasferimento in cella: «Mi assumo io la responsabilità di questa decisione, come capo politico. Anche solo essere arrivati a questo, essersi presumibilmente avvicinati a certe dinamiche, per un eletto del Movimento, è inaccettabile». Una mossa che però non è servita a stemperare l'assedio. Hanno chiesto le dimissioni del sindaco Raggi i consiglieri comunali del Pd e quelli della Lega («Brutto colpo, M5s tragga le conseguenze») e di Fdi . La diretta interessata però prova a resistere: «Nessuno sconto a chi ha sbagliato». La difficoltà politica in Campidoglio è sempre più palpabile considerate anche le difese imbarazzate e contraddittorie del ministro Toninelli («De Vito si è messo a ragionare con un certo sistema, ma lo abbiamo cacciato in 5 minuti») e della senatrice Paola Nugnes, vicinissima al presidente della Camera Roberto Fico che fa la garantista («esiste la presunzione d'innocenza per tutti»). Intanto, sui social del politico è una pioggia di insulti soprattutto per quella vecchia fotografia che lo ritrae con un cesto di arance da consegnare in galera ai consiglieri del Pd sfiorati dall'indagine su Buzzi e Carminati. De Vito, sostituito alla guida dell'Aula dal collega Enrico Stefàno e primo grillino della storia a finire in manette per corruzione, sarà interrogato questa mattina a Regina Coeli.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/m5s-nei-guai-a-roma-mister-legalita-in-cella-per-mazzette-sul-nuovo-stadio-2632293966.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="congiunzione-astrale-irripetibile-ci-facciamo-il-prepensionamento" data-post-id="2632293966" data-published-at="1756905345" data-use-pagination="False"> «Congiunzione astrale irripetibile. Ci facciamo il prepensionamento» La conversazione dello scorso 4 febbraio, si legge nell'ordinanza di custodia cautelare del gip Maria Paola Tomaselli, è il paradigma della «collaborazione» tra l'avvocato Camillo Mezzacapo e Marcello De Vito, la seconda carica più alta del Campidoglio. «Fra molti anni a venire ne parleremo davanti un piatto… ma non credo si ripianificherà», dice Mezzacapo, «cioè, difficilmente si riverifica una congiunzione astrale dove oggi ristai al governo di Roma (…) e ristai al governo del Paese». Poi il fine del sodalizio viene divulgato in maniera esplicita: «Noi Marcè dobbiamo sfruttarla sta cosa secondo me». Già perché come tutti sanno il tempo fugge, dunque: «Ci rimangono due anni» conclude Mezzacapo. Il quale subito dopo chiama Gianluca Bardelli (commerciante d'auto finito agli arresti domiciliari) e gli riferisce della precedente discussione. «Qui noi abbiamo proprio un anno buono, gli ho proprio detto guarda c'è una… adesso c'è una congiunzione astrale (…). È la cometa di Halley (un fenomeno che avviene ogni 76 anni ndr) allora», prosegue il legale, «adesso hai un anno, se adesso non facciamo un cazzo in un anno però allora voglio dire mettiamoci il cappelletto da pesca, io conosco un paio di fiumetti». L'obiettivo ultimo è presto detto: «Ci mettiamo tranquilli con una sigarettella, un sigarozzo là, con la canna e ci raccontiamo le storie e ci facciamo un prepensionamento dignitoso». Per l'accusa Luca Parnasi - il costruttore dal quale è nata tutta l'inchiesta, esplosa nel giugno 2018 - aggancia il presidente dell'assemblea capitolina perché «promette ed affida diverse remunerative consulenze all'avvocato Mezzacapo» che opera «quale espressione dello stesso De Vito». Infatti quest'ultimo «assicura che lui provvederà a parlare dell'operazione (progetto relativo all'ex Fiera di Roma, ndr) con il capogruppo in consiglio comunale Paolo Ferrara, così da avere dalla loro parte la maggioranza consiliare». Da un incontro a tre - Parnasi, De Vito e Mezzacapo - emerge a detta dell'imprenditore edile «il solito schema che conosciamo». La solita tradizione romana: la tangente che apre e manda avanti i cantieri dell'edilizia. Come ha confermato lo stesso Parnasi nel corso degli interrogatori. Tra le carte non poteva mancare il nome del nuovo segretario del Pd, Nicola Zingaretti. «Cioè noi abbiamo un presidente di Regione», si legge in un'intercettazione tra Luca Parnasi e Claudio Toti, «che è un cacasotto terrificante!». Insomma un giudizio, senza dubbio, tranchant. Uno dei dialoghi più interessanti tra Mezzacapo e De Vito riguarda la ridistribuzione del denaro della presunta attività illecita. Il legale parla dei conti della Mdl: «60 e rotti sarebbero nostri… ci sarebbero i 10 di capitale… che è questo qui, gli iniziali… però voglio dire». A questo punto De Vito esorta il sodale: «Va beh, ma distribuiamoceli questi». Invito respinto al mittente da Mezzacapo: «Adesso non mi far toccare niente». Il motivo? «L'opportunità», si legge nell'ordinanza di custodia cautelare, «di non generare flussi di denaro durante il mandato elettorale di De Vito». Nonostante tutte le precauzione usate, ci sono anche gli immancabili commenti sull'utilizzo dei cellulari. «Il telefono», afferma Mezzacapo, riferendosi all'architetto Pititto, «gli ho detto di non usarlo». Sconsolato Bardellli, alias «l'amico Fritz», commenta laconicamente: «Ma tu pensa te». Mezzacapo è loquace anche dopo l'arresto di Luca Parnasi, avvenuto lo scorso 13 giugno. E sempre a Pititto dice con chi ha stretto rapporti: «Io mi interfaccio con Raggi… che è quella che è stata contattata che già seguiva queste cose». Si riferisce a Gabriella Raggi, capo segreteria dell'assessore Luca Montuori. Donna che ha «rischiato il pensionamento». «Per fortuna», prosegue Mezzacapo, «l'hanno adesso prorogata e quindi sta ancora li». Infine l'immancabile malcelata vanteria. «(…)Ho pure persone diciamo… adesso senza che facciamo», spiega Mezzacapo, «i nomi, tanto poi li sa Giuseppe, pure i politici che ci seguono sta cosa». Ma soprattutto: «C'è interesse a farlo».