Permessi a chi applicherà norme di sicurezza, su cui però regna il caos. Nessuna risposta a bar e trattorie: martedì i membri di Mio alzeranno simbolicamente le serrande per poi consegnare le chiavi ai sindaci.
Permessi a chi applicherà norme di sicurezza, su cui però regna il caos. Nessuna risposta a bar e trattorie: martedì i membri di Mio alzeranno simbolicamente le serrande per poi consegnare le chiavi ai sindaci.Per qualcuno che dal 27 aprile potrebbe tornare a lavorare ci sono 75.000 ristoranti che chiudono definitivamente. Con una protesta clamorosa. La fase «forse» 2 è stata sussurrata ieri dal gruppo di esperti guidato da Vittorio Colao che l'ha messa nero su slide in un rapporto di cinque pagine e l'ha spedita a Giuseppe Conte. I se e i ma sono tali che conviene prendere il responso dei «saggi» con le molle. A conti fatti potrebbero essere tra i 2,5 e i 2,8 milioni gli italiani che dal 27 aprile al 4 maggio tornano a lavorare e a produrre.Pare che Colao abbia fatto notare al presidente del Consiglio che la prudenza deve essere massima, ma che ogni settimana di fermo ci costa mezzo punto di Pil. E dunque è possibile che ripartano i cantieri, le fabbriche legate all'automotive, il tessile, anche perché già molti si sono portati avanti con il lavoro. Le condizioni che Colao ha individuato per dare il via libera sono che a lavorare vada solo chi è addetto alla produzione diretta: impiegati e over 65 restano o in smart working o a casa. È necessario riscrivere il protocollo firmato con i sindacati sulla sicurezza. Poi però ci sono altre due condizioni che sembrano di difficile soluzione: il distanziamento sui mezzi pubblici e la fornitura di mascherine e di presidi di protezione individuale. Solo chi ha tutto in regola - mascherine, accordo con i sindacati e spazi in fabbrica sufficienti - può riaccendere i motori. Ma a conti fatti servono almeno 7 milioni di mascherine al giorno. Domenico Arcuri, l'altro super commissario, può trovarne al massimo 4 milioni. E c'è una seconda domanda: chi paga? Si pensa d'imporre un prezzo politico, massimo 90 centesimi. Ma a ogni lavoratore ne servono almeno due al giorno e al mese diventa una tassa di 40 euro. Pagano le aziende? Ma il prezzo imposto è possibile? Il gruppo dei ministri - tra i quali Paola De Micheli (Pd), l'annunciatrice di queste novità - che ha compulsato l'oracolo di Colao si è rintanato dietro la mascherina. Così più che fase 2 è ancora «fase forse». Chi invece non aspetta più e chiude sono i ristoranti italiani ormai allo stremo. Si parla di un universo mal contato di 250.000 imprese che fatturano qualcosa meno di 85 miliardi e sono il terminale di altre filiere ormai in ginocchio: pesca, latte, vino. Hanno chiesto la cassa integrazione per quasi 600.000 dipendenti, di cui la metà donne, ma per ora non è arrivata. Così come non sono arrivati i soldi alle imprese né le linee guida per una possibile (ma quando?) riapertura. Perciò è sorta spontaneamente un'associazione di disobbedienza civile. Si chiama Mio (Movimento imprese ospitalità) e mette insieme 75.000 ristoranti di tutta Italia. Il 28 aprile hanno deciso una clamorosa protesta. Insieme anche ai gestori di altri esercizi pubblici al grido di «Risorgiamo Italia» alle nove di sera accenderanno da Aosta a Lampedusa le insegne dei loro locali, li riapriranno simbolicamente. Il giorno dopo consegneranno ai sindaci le chiavi dei loro esercizi e abbandoneranno le imprese. Significa che circa un terzo di tutto il comparto cosiddetto horeca sarà chiuso. La Fipe (Federazione dei pubblici esercizi di Confcommercio) stima che se anche il via libera alla riapertura di bar e ristoranti arriverà come si dice il 16 maggio circa metà delle imprese non riaprirà e andranno in fumo 50 miliardi di fatturato diretto con un effetto domino di 120 miliardi. Peraltro anche i ristoratori del «Buon Ricordo» dopo innumerevoli e inascoltati appelli al governo hanno dato un ultimatum: o ci danno risposte al manifesto degli 8 punti che abbiamo sottoscritto con 34.000 operatori e i voucher per potere affrontare la ripartenza o non riapriamo.Il manifesto della ristorazione sostanzialmente chiede: la cancellazione delle imposte nazionali e locali; il credito per le utenze; la proroga della cassa integrazione (peraltro non ancora erogata); la sospensione dei leasing e dei muti; un credito d'imposta del 60% sugli affitti in modo da non subire gli sfratti; l'estensione dell'asporto che solo alcune regioni sono disposte a concedere; e indennizzi a fondo perduto per il periodo di chiusura. Intanto chi può cerca di resistere con le consegne a domicilio o con i dining bond: pagate ora la cena che consumerete quando possibile. Ma sono tutti palliativi anche perché i ristoratori non hanno alcuna certezza. Non sanno se dovranno montare i pannelli di plexiglas, se dovranno e come sanificare i locali, quanti coperti potranno gestire. Con le misure di distanziamento perderanno due terzi dei «posti» e non hanno più i numeri per gestire con profitto le loro «botteghe». Così il 28 aprile accenderanno per l'ultima volta le loro insegne e spegneranno per sempre i fornelli.
Gattuso e la Nazionale lasciano San SIro al termine del match perso per 4-1 contro la Norvegia (Ansa)
Necessarie misure serie: una quota per gli extracomunitari e almeno cinque azzurri in campo di norma. L’ennesimo Mondiale è a rischio, Gravina si prenda la responsabilità. E i settori giovanili vanno ripensati.
Questo non è un pezzo nostalgico anzi è un pezzo che guarda al futuro perché mi sono semplicemente rotto le scatole di una Nazionale scialba, viziata e perdente. E - chiedo scusa a Gattuso perché adesso tocca a lui fare da parafulmine - mi innervosiscono quelle dichiarazioni stupidamente ottimiste del tipo: «Bisogna ripartire dai primi 45 minuti», perché durante il primo tempo la Norvegia era in modalità «turismo»; quando si è svegliata ci ha preso a pallonate.
(Arma dei Carabinieri)
I Carabinieri del Comando Provinciale di Vicenza hanno portato a termine l'operazione «Marshall». Arrestati 20 cittadini di nazionalità nigeriana gravemente indiziati di appartenere a un gruppo criminale transnazionale dedito al traffico di cocaina ed eroina.
L’organizzazione era strutturata per assicurare un costante approvvigionamento e una capillare distribuzione della droga nelle principali piazze di spaccio del capoluogo e della provincia, oltre che in Veneto e Lombardia. Il canale di rifornimento, rimasto invariato per l’intero periodo dell’indagine, si trovava in Olanda, mentre la gestione dei contatti e degli accordi per l’invio della droga in Italia era affidata al capo dell'organizzazione, individuato nel corso dell’attività investigativa. L’importazione della droga dai Paesi Bassi verso l’Italia avveniva attraverso corrieri ovulatori (o “body packer”) i quali, previa ingestione degli ovuli contenenti lo stupefacente, raggiungevano il territorio nazionale passando dalla Francia e attraversando la frontiera di Ventimiglia a bordo di treni passeggeri.
Lo schema operativo si ripeteva con regolarità, secondo una cadenza settimanale: ogni corriere trasportava circa 1 chilogrammo di droga (cocaina o eroina), suddiviso in ovuli termosaldati del peso di circa 11 grammi ciascuno. Su ogni ovulo era impressa, con pennarello, una sigla identificativa dell’acquirente finale, elemento che ha permesso di tracciare la rete di distribuzione locale. Tutti i soggetti interessati dal provvedimento cautelare risultano coinvolti, a vario titolo, nella redistribuzione dello stupefacente destinato alle piazze di spaccio cittadine.
Dopo due anni di indagini, i Carabinieri sono stati in grado di ricostruire tutta la filiera del traffico di stupefacenti: dal fornitore olandese al promotore che in Italia coordinava la distribuzione alla rete di corrieri che trasportavano la droga in ovuli fino ai distributori locali incaricati dello spaccio al dettaglio.
Nel corso delle indagini è stato inoltre possibile decodificare il linguaggio in codice utilizzato dagli indagati nelle loro comunicazioni: il termine «Top» era riferito alla cocaina, «Spa» all’eroina, «Pantaloncino»alle dosi da 5grammi, mentre «Fogli di caramelle» si riferiva al contante. Il sequestro di quaderni contabili ha documentato incassi giornalieri e movimentazioni di denaro riconducibili a un importante giro d’affari, con pagamenti effettuati tramite bonifici internazionali verso conti correnti nigeriani per importi di decine di migliaia di euro.
Il Gip del Tribunale di Venezia ha disposto la custodia cautelare in carcere per tutti i venti indagati, evidenziando la «pericolosa professionalità» del gruppo e il concreto rischio di fuga, considerati anche i numerosi precedenti specifici a carico di alcuni appartenenti all’organizzazione.
L’esecuzione dei provvedimenti restrittivi e delle perquisizioni è stata condotta con il concorso di Carabinieri di rinforzo provenienti da tutti i Comandi Provinciali del Veneto, con il supporto dei Reparti Mobili e Speciali dell’Arma, delle Unità Cinofile Antidroga e del Nucleo Elicotteri Carabinieri, che hanno garantito la copertura aerea durante le operazioni.
L’Operazione «Marshall» rappresenta un importante risultato dell’attività di contrasto al narcotraffico internazionale e alle organizzazioni criminali transnazionali, confermando l’impegno costante dell’Arma dei Carabinieri nel presidio del territorio e nella tutela della collettività.
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Gli operai di Prato protestavano per le condizioni di lavoro nel distretto del fast fashion.
La donna cinese, che sta lì davanti ai capannoni con i capi, a un certo punto urla preoccupata: «Quella no, quella è polizia!». Troppo tardi. L’agente della Digos in borghese è stata scaraventata a terra da una squadretta di padroncini cinesi del Consorzio Euroingro di Prato, impegnata in una spedizione punitiva ai danni di un gruppo operai pakistani che stanno manifestando pacificamente contro le condizioni di lavoro da semi-schiavitù. Due i poliziotti feriti. In serata, la Procura di Prato ferma tre cittadini cinesi, accusati di resistenza a pubblico cinese e lesioni, ma le indagini sono ancora in corso e la polizia sta identificando uno a uno tutti i partecipanti al blitz.
Sul cartello c'è scritto: «Per il futuro dei nostri bambini» (Getty)
Il colosso tedesco manderà a casa 35.000 lavoratori entro il 2035. Stellantis chiede pietà a Ursula von der Leyen. Salta la gigafactory di Termoli?
La politica green di Bruxelles continua a mietere vittime nell’industria dell’auto. In attesa del piano sul settore che sarà presentato dalla Commissione europea, il prossimo 10 dicembre, si allunga il bollettino dei caduti sotto i colpi della crisi. Da questo appuntamento non ci si attende uno stravolgimento delle scadenze per l’elettrificazione dell’industria dell’automotive, con la data ultima del 2035 ancora segnata sul calendario di Bruxelles e considerata incontestabile, ma alcuni aggiustamenti.






