2018-11-20
L’ultima congiura degli eurobolliti, Macron e Merkel ci tagliano i fondi
I due leader vogliono vincolare i trasferimenti europei a parametri finanziari impossibili: una scusa per commissariarci. Con che faccia, se il presidente ha il Paese contro e la cancelliera i mesi contati? L'inquilino dell'Eliseo è al minimo di consensi, tre francesi su quattro non vedono l'ora che se ne vada. Angela non ne ha azzeccata una dal 2016.Lui in crisi (di sondaggi, e forse anche di nervi), lei già con una data di scadenza stampata addosso: eppure Emmanuel Macron e Angela Merkel sembrano comportarsi come se fossero ancora depositari di un potere di vita e di morte sull'Ue. L'inquilino dell'Eliseo è al minimo di consensi, tre francesi su quattro non vedono l'ora che se ne vada (appena 18 mesi dopo il suo insediamento), e non c'è categoria che lo supporti (o lo sopporti): non i dipendenti pubblici, non gli automobilisti (protagonisti di un weekend di mobilitazione, con più di 300.000 persone in strada), per paradosso nemmeno le élite che avevano fecondato in vitro la sua leadership e ora lo vedono in balia degli eventi. La cancelliera tedesca, a sua volta, non ne ha azzeccata una dal 2016: la malagestione dell'emergenza siriana e la clamorosa sottovalutazione dell'ondata migratoria, lo scandalo Volkswagen, il tentativo di umiliare il Regno Unito nella trattativa su Brexit, le elezioni politiche andate così così e quelle recenti in Baviera e in Assia andate malissimo, fino all'annuncio della sua ormai prossima uscita di scena. Che in Germania, per capirci, non avverrà con modalità «renziane», cioè restando pervicacemente sulla scena, ma molto probabilmente porterà la Merkel a gettare la spugna anche prima del previsto. Ciononostante, almeno sul palcoscenico, i due proseguono la loro recita sul «motore francotedesco». Scena uno: domenica, Macron ha parlato al Bundestag, ha ripercorso la storia europea come un'epopea esclusivamente francese e tedesca (riducendo tutti gli altri a comparse), ha enfaticamente annunciato che «costruire la sovranità europea è oggi nostra responsabilità», e ha concluso affermando che «serve un'Ue più forte per evitare che il mondo scivoli nel caos». Non serve Sigmund Freud per capire che il caos è dentro di lui, eppure lui lo «sposta» fuori, lo proietta altrove, nel tentativo di esorcizzarlo e proporsi ancora come «soluzione». Scena due: Francia e Germania tentano il colpaccio sugli investimenti e sul relativo fondo europeo, provando a subordinare l'accesso dei Paesi membri al rispetto di una griglia di regole a maglie strettissime (debito pubblico al 60% del Pil, pareggio strutturale di bilancio), cioè condizioni letteralmente impossibili per molti, Italia in testa. In altre parole, l'anticamera di un commissariamento: non sei in regola? Ti piacerebbe lo stesso ottenere questi fondi? E allora devi accettare il pilota automatico che ti sarà imposto da Parigi-Berlino, attraverso i «prestanome» di Bruxelles. E per sovrammercato, a coordinare l'operazione sarebbe l'Eurogruppo, cioè un organismo informale sprovvisto di reali poteri: ulteriore prova di decisioni - a quel punto - tutte politiche, ultradiscrezionali, non trasparenti. Scena tre: soprattutto Parigi (su questo Berlino ha cercato di dare un colpetto di freno) insiste per un progetto di difesa comune Ue incautamente descritta da Macron in funzione alternativa e autonoma rispetto alla Nato, come se Washington fosse non il primo degli alleati ma un estraneo da cui guardarsi. Prevedibile la reazione di Donald Trump, ma anche quella della stampa anglosassone (Wall Street Journal in testa) che ha descritto il progetto come una tigre di carta. Macron si è infatti «dimenticato» di chiarire chi dovrebbe pagare il conto: a meno di ritenere che gli altri 25 membri Ue siano da considerare solo alla stregua di finanziatori (e reclute) di un esercito a guida francotedesca. In questo quadro, la stessa polemica tra la Commissione Ue e il governo italiano sulla nostra manovra potrebbe sfuggire di mano a Macron-Merkel. Il lettone Valdis Dombrovskis, vicepresidente della Commissione, ha escluso che l'Eurogruppo in programma ieri se ne sia occupato, e ha rinviato l'avvio della resa dei conti a domani, quando Bruxelles darà le sue «opinioni» sulle bozze delle leggi di bilancio dei Paesi membri. Ma poniamo che l'Italia tenga il punto: tutta una serie di Stati membri dell'Ue constaterebbero che è possibile dire no a Parigi-Berlino-Bruxelles, o almeno negoziare a schiena dritta. E scoprirebbero che il re è nudo, o comunque meno vestito di quanto pensi di essere. Perfino la cronaca giudiziaria gioca contro Francia e Germania. Ieri due ulteriori tegole: sul lato francese, l'arresto per evasione fiscale (in Giappone) di Carlos Ghosn, il top manager che guida il gruppo Renault-Nissan (l'alleanza include pure il marchio Mitsubishi); su quello tedesco, Bloomberg ha diffuso la notizia secondo cui (in base alle rivelazioni del whistleblower Howard Wilkinson) ci potrebbe essere un coinvolgimento anche di Deutsche Bank nello scandalo Danske Bank, una storiaccia che ha investito la banca danese per un presunto mega riciclaggio da 200 miliardi di euro. Va detto per correttezza che i guai di Renault sono certi, mentre quelli della banca tedesca sono tutti da dimostrare, quindi sarebbe prematuro fare equiparazioni. Ma anche quella di ieri non è stata una giornata serena né in Francia né in Germania.
A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)