2020-04-19
Luigi XVI il «re temporeggiatore» che non capì la presa della Bastiglia
La presa della Bastiglia (Jean-Pierre Houël - Bibliothèque nationale de France)
La tragica inerzia del monarca francese, incapace di reagire mentre Parigi veniva messa a ferro e fuoco dai rivoluzionari. Una lezione del passato che vale per ogni governante: l'indecisione si paga sempre cara.«Rien». «Niente». È questa l'unica, secca parola annotata da Luigi XVI, sovrano di Francia, sul suo diario la sera del 14 luglio 1789. Ovvero, la data della presa della Bastiglia. Si riferisce al fatto che in quella giornata epocale il monarca non è andato a caccia, non ha preso alcuna selvaggina. Egli, infatti, è solito riportare sul quaderno le prodezze venatorie, oppure gli insuccessi; nonché i giorni in cui non si è potuto dedicare all'attività prediletta. E così, mentre l'etichetta non subisce alcun mutamento e tutto si svolge come al solito - nonostante l'arrivo di messaggi e staffette concitate da Parigi - il 14 luglio il monarca se ne va a letto presto e cade subito addormentato. A tarda sera, però, il duca de Liancourt lo sveglia per avvisarlo di quanto è accaduto. «Ma è una rivolta?» chiede sorpreso Luigi. «No, sire, è una rivoluzione!». Quando apprende i particolari e il massacro perpetrato dal popolo, il re inorridisce, tuttavia non corre ai ripari, non opta per una linea di condotta precisa. Fuggire o restare, sbaragliare i rivoltosi con l'esercito o intavolare una trattativa, dividere i tre ordini riuniti per gli Stati generali o addirittura scioglierli… Molte sono le opzioni possibili, però Luigi XVI tentenna, non decide, opta prima per una linea, poi per l'altra, dà istruzioni contraddittorie, cerca di compiacere tutti, non vuole versare il sangue del popolo - facendone scorrere quindi molto altro - non prende misure estreme quando è il momento, e il tempo passa, inesorabile…Gli eventi vanno veloci, troppo veloci, ma lui non è in grado di capire che la tempestività, in quei momenti, è tutto. Sembrano passati secoli dalla convocazione degli Stati generali - nobili, clero e Terzo stato - e poi dall'arrivo dei deputati, che avevano sfilato il 5 maggio a Versailles… Eppure, la celebre affermazione di Honoré-Gabriel Riqueti, meglio noto come Mirabeau, avrebbe dovuto risvegliare l'apatico monarca… «Guerra! Guerra ai privilegiati e ai privilegi, ecco la mia divisa!», aveva esclamato il celebre politico. Per non parlare della seduta del 23 giugno, nella quale il re aveva vanamente tentato di separare gli ordini e far sgombrare la sala. Il Terzo stato si era rifiutato. «La Nazione riunita non può ricevere ordini!» aveva esclamato Jean-Silvain Bailly. Mirabeau, per parte sua, aveva dichiarato al marchese di Dreux-Brézé: «Andate a dire a quelli che vi mandano che noi siamo qui per volontà del popolo e che non ne usciremo che in forza delle baionette!». Venuto a conoscenza di queste repliche, invece di far pesare il proprio potere, il troppo fatalista Luigi XVI aveva allora esclamato: «Vogliono restare? Ebbene, che restino!». Non aveva compreso il drammatico senso di ciò che stava accadendo, e cioè che lo stato monarchico «edificato attorno all'onnipotenza dell'autorità reale di fronte alla società dei corpi e degli ordini» (per dirla con Jean-Christian Petitfils) stava andando in frantumi. La piramide su cui si fondava l'Ancièn Regime, si cui si reggeva l'assolutismo - anche se la parola sarebbe stata coniata solo nel 1797, «postuma» - crollava a pezzi. Poco dopo, il Terzo stato si era autoproclamato Assemblea nazionale - il re perdeva così buona parte della sua sovranità - e la nozione di «lesa nazione» aveva in un certo senso preso il posto di quella di «lesa maestà».Di tutto quello che stava avvenendo e che sarebbe avvenuto, però, né il monarca, né sua moglie, né la corte o i ministri hanno avuto sentore, se non a sprazzi e in rari casi… Che l'air du temps fosse cambiata già da un po', tuttavia, si doveva fiutare, annusare, presagire: il celebre «scandalo della collana», nel quale la vera imputata, l'accusata dall'opinione pubblica - benché del tutto innocente - era stata Maria Antonietta, avrebbe dovuto strappare il velo dell'incoscienza, della noncuranza, della svagata certezza che tutto sarebbe rimasto com'era, immutabile. E invece non era accaduto.D'altra parte, non ha torto il poeta novecentesco Maurice Maeterlinck quando, nel suo libro Saggezza e Destino, dichiara: «È troppo facile comprendere quello che si sarebbe dovuto fare in un momento in cui si sa già tutto quello che è avvenuto». Ė vero, è troppo agevole parlare «dopo», ex post; strologare su strategie e diktat, trinciare giudizi, dire «bisognava fare così»… Sulle prime, nessuno ha capito ciò che andava preparandosi; neppure i più spietati rivoluzionari dell'avvenire, come Robespierre, Danton, Saint-Just e gli altri. Ma la mancanza di energia propulsiva, l'inerzia, la passività di Luigi XVI - che non è un tiranno, né tanto meno un sanguinario, bensì un brav'uomo posto dal Fato dinanzi a un compito troppo grande per lui - hanno qualcosa di desolante. In questo «non voler vedere», «non voler capire», «non saper afferrare l'attimo» sta la grande responsabilità storica del Borbone, e ancor più di sua moglie Maria Antonietta, che è assai più determinata, coraggiosa e forse intelligente di lui. I sovrani non decidono e, quando lo fanno - basti pensare alla fallita e disastrosa fuga di Varenne del giugno 1791 - scelgono un modo approssimativo, pasticcione, superficiale. Optano per una via di mezzo che non risolve nulla. Il re si è fatto trascinare da Versailles a Parigi con moglie e i figli - «Vi riportiamo il fornaio, la fornaia e il garzoncello», gridava la populace - ha accettato di calzare il berretto frigio, non ha saputo trovare gli appoggi giusti, non è stato capace di combattere né motivare i suoi uomini, ha lasciato massacrare i soldati svizzeri per dimenticanza…In seguito, nel febbraio 1792, mentre la famiglia reale è ancora prigioniera alle Tuileries - ma già si prepara per loro la cupa prigione del Tempio, e in lontananza si staglia il patibolo - lo sventurato Luigi dirà ad Axel Fersen: «Lo so, mi accusano di debolezza e di irresolutezza, ma nessuno si è mai trovato nella mia posizione. Lo so che mi sono fatto sfuggire il momento giusto, era il 14 luglio; allora bisogna andarsene, e io lo volevo, ma come fare quando Monsieur (il fratello minore del re, nda) mi pregava di non partire, e il maresciallo de Broglie, che aveva il comando, mi rispondeva: “Certo, possiamo andare a Metz, ma cosa faremo lì, una volta arrivati?". Ho mancato l'attimo e da allora non l'ho più ritrovato. Sono stato abbandonato da tutti».È vero, ma dopotutto il re di Francia, il discendente di san Luigi, è lui. La sua responsabilità sta precisamente nel non essersi assunto responsabilità, se non quando era troppo tardi e in modo approssimativo. La filosofa tedesca Hannah Arendt, e poi il coreano Byung-Chul Han, dichiareranno che «il verbo della storia è l'agire», poiché esso è «il potere di porre un initium», «cominciare qualcosa di nuovo». Benché scegliere di non agire possa, a volte, essere il segno di una strategia, un premeditato temporeggiare; troppo spesso è solo passività, incapacità di ergersi sopra le cose, impossibilità di trovare un filo conduttore, lasciando che siano gli eventi a decidere.Come scrive il grande biografo Stefan Zweig nella biografia su Maria Antonietta, narrando il periodo pre-rivoluzionario: «Ignari e annoiati, se ne stanno tutti ad attendere la grande fiumana del tempo; vi immergono le mani con smania curiosa, per raccogliere dal fondo alcune pietruzze lucenti, giocano ridendo come bimbi, sentono il misterioso elemento fluire fra le dita, ma nessuno avverte il salire sempre più rapido della marea, e quando finalmente si rendono conto del pericolo, la fuga è già vana, il gioco è perduto e la vita sciupata».
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L'evento organizzato dal quotidiano La Verità per fare il punto sulle prospettive della transizione energetica. Sul palco con il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin, il ministro dell'Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, il presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana, il presidente di Ascopiave Nicola Cecconato, il direttore Ingegneria e realizzazione di Progetto Terna Maria Rosaria Guarniere, l'Head of Esg Stakeholders & Just Transition Enel Maria Cristina Papetti, il Group Head of Soutainability Business Integration Generali Leonardo Meoli, il Project Engineering Director Barilla Nicola Perizzolo, il Group Quality & Soutainability Director BF Spa Marzia Ravanelli, il direttore generale di Renexia Riccardo Toto e il presidente di Generalfinance, Boconi University Professor of Corporate Finance Maurizio Dallocchio.
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È stato pubblicato sul portale governativo InPA il quarto Maxi Avviso ASMEL, aperto da oggi fino al 30 settembre. L’iniziativa, promossa dall’Associazione per la Sussidiarietà e la Modernizzazione degli Enti Locali (ASMEL), punta a creare e aggiornare le liste di 37 profili professionali, rivolti a laureati, diplomati e operai specializzati. Potranno candidarsi tutti gli interessati accedendo al sito www.asmelab.it.
I 4.678 Comuni soci ASMEL potranno attingere a queste graduatorie per le proprie assunzioni. La procedura, introdotta nel 2021 con il Decreto Reclutamento e subito adottata dagli enti ASMEL, ha già permesso l’assunzione di 1.000 figure professionali, con altre 500 selezioni attualmente in corso. I candidati affrontano una selezione nazionale online: chi supera le prove viene inserito negli Elenchi Idonei, da cui i Comuni possono attingere in qualsiasi momento attraverso procedure snelle, i cosiddetti interpelli.
Un aspetto centrale è la territorialità. Gli iscritti possono scegliere di lavorare nei Comuni del proprio territorio, coniugando esigenze professionali e familiari. Per gli enti locali questo significa personale radicato, motivato e capace di rafforzare il rapporto tra amministrazione e comunità.
Il segretario generale di ASMEL, Francesco Pinto, sottolinea i vantaggi della procedura: «L’esperienza maturata dimostra che questa modalità assicura ai Comuni soci un processo selettivo della durata di sole quattro settimane, grazie a una digitalizzazione sempre più spinta. Inoltre, consente ai funzionari comunali di lavorare vicino alle proprie comunità, garantendo continuità, fidelizzazione e servizi migliori. I dati confermano che chi viene assunto tramite ASMEL ha un tasso di dimissioni significativamente più basso rispetto ai concorsi tradizionali, a dimostrazione di una maggiore stabilità e soddisfazione».
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