2024-02-13
L’Ue domani tenta il blitz sulle piattaforme
Il trilogo vuole votare la direttiva dei socialisti sugli addetti della gig economy, fra cui i rider. Tassisti e Ncc in rivolta. L’Italia, all’inizio non ostile, ora valuta la marcia indietro: le norme legano le mani agli Stati. Oggi alla Luiss evento sulla mobilità.Come era prevedibile, la direttiva Ue sui lavoratori delle piattaforme digitali, «resuscitata» e sbandierata come una grande vittoria dei diritti civili dalla sinistra europea, sta suscitando una levata di scudi da parte di alcune organizzazioni interessate dal provvedimento. A far sentire la propria voce, ieri, sono stati i tassisti, ma non solo i sindacati italiani di categoria, l’accanirsi contro le ragioni dei quali è ormai diventato lo sport preferito dei media mainstream. Stiamo parlando delle associazioni che tutelano gli interessi e i diritti dei lavoratori a livello continentale, che hanno diffuso una nota in cui manifestano tutta la loro contrarietà sia nel merito che rispetto al metodo con cui la direttiva è stata portata avanti sinora. «Chiediamo», ha sottolineato Taxis 4 smart mobility, «che venga mantenuta una chiara distinzione tra taxi e piattaforme esclusivamente digitali», poiché «i taxi sono altamente regolamentati e garantiscono la mobilità per tutti in ogni momento. Di conseguenza, un approccio unico per tutti rischia di eliminare le chiamate stradali e la disponibilità di taxi in luoghi chiave, come gli ospedali». Anche gli Ncc italiani, con una nota di Anitrav, hanno espresso le loro perplessità e hanno esortato il governo a spendersi per far tornare le istituzioni Ue sui propri passi. A questo punto è opportuno fare un passo indietro, per la precisione a venerdì scorso, quando il Parlamento europeo ha raggiunto un accordo provvisorio con il Consiglio Ue sul testo di una direttiva che è stata «venduta» come rivolta ai lavoratori della cosiddetta gig economy e in particolare ai rider per un miglioramento delle condizioni, ma in realtà investe potenzialmente decine di milioni di lavoratori dei settori più disparati, tra cui quelli già regolamentati nei singoli Stati. Come spesso accade per le leggi concepite a Bruxelles, l’approccio è stato quello di preparare un testo monstre che alla fine, lungi dall’intervenire in maniera pragmatica e incisiva sui casi che necessitano effettivamente di maggiori tuteli, è diventato una irreggimentazione di massa che, se approvata, andrebbe a interessare anche comparti che hanno poco a che fare con la suddetta gig economy e, in seconda battuta, godono di regolamentazioni nazionali avanzate e frutto di una lunga storia di contrattazione. L’elemento da non sottovalutare, dunque, è che anche in questo caso si registra il tentativo - come denunciato dagli stessi tassisti - di calare dall’alto una normativa per togliere sovranità agli organismi preposti e ai corpi intermedi degli Stati membri. Il testo prevede infatti che debba essere considerato lavoratore dipendente chi, nella sua attività quotidiana, soddisfa alcuni requisiti tra cui supervisione del lavoro e assegnazione dei compiti. Quindi si interverrebbe su regole in molti casi già presenti, come quelle sulla retribuzione, orario di lavoro, contrattazione collettiva e via dicendo. Le proteste degli eurotassisti e il fatto che questa direttiva - lo testimonia anche il modo in cui è stata commentata dai leader delle opposizioni italiane - sta diventando una bandiera del Pse e della «triade» che l’ha messa a punto (il commissario Ue al Lavoro, il lussemburghese Nicolas Schmit, il ministro del Lavoro spagnolo Yolanda Díaz e l’eurodeputata dem Elisabetta Gualmini) come un arma da brandire contro le forze di centrodestra, stanno inducendo il nostro governo, che aveva dato un via libera di massima all’accordo una settimana fa, a riconsiderare la propria posizione. Un timing quanto meno sospetto, dato l’appressarsi delle europee e di elezioni nazionali, nelle quali alcuni dei promotori della legge sono candidati. Non è un caso che, una volta annunciato l’accordo, il segretario del Pd Elly Schlein si sia affrettata a diramare una nota in cui ha parlato di «ulteriore passo che servirà ad aumentare le tutele per oltre 30 milioni di lavoratori della gig economy», applicando lo schema di comunicazione usato per la questione salario minimo per attaccare il governo Meloni. A ciò si aggiunge anche il fatto che è in corso un vero e proprio «blitz di San Valentino», perché dopo l’accordo tra l’Europarlamento e il Consiglio Ue dello scorso otto febbraio, già domani ci potrebbe essere il voto del trilogo (il tavolo negoziale tra Eurocamera, Consiglio e Commissione), che invierebbe il testo dritto a Strasburgo per l’approvazione definitiva in plenaria. Secondo le indiscrezioni, legate verosimilmente alle posizioni che stanno maturando in seno ai vari Stati, il voto potrebbe slittare al 16 febbraio. Sul fronte dei trasporti, le risposte da dare agli addetti ai lavori come i tassisti (italiani ed europei) e non solo saranno oggi al centro degli Stati generali della mobilità, in corso da stamani alla Luiss a Roma. Un evento, come spiegano i promotori, che ha l’ambizione di raccogliere proposte su come migliorare il trasporto pubblico locale. A chiudere i lavori, che saranno presieduti dal direttore di Luiss policy observatory, Domenico Lombardi, sarà il viceministro dei Trasporti Galeazzo Bignami, che illustrerà le priorità di intervento da parte del governo nel settore.
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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