Sì alla vendita pure dei bachi della farina. Non a caso, durante la Cop26 agricoltura e allevamento tradizionali sono finiti sul banco degli imputati. I nostri prodotti tipici intanto sono a rischio: dal 1° gennaio via l'obbligo di indicare l'origine di latte e formaggi.
Sì alla vendita pure dei bachi della farina. Non a caso, durante la Cop26 agricoltura e allevamento tradizionali sono finiti sul banco degli imputati. I nostri prodotti tipici intanto sono a rischio: dal 1° gennaio via l'obbligo di indicare l'origine di latte e formaggi.Possiamo anche scherzare e, parafrasando un successo dello Zecchino d'Oro, canticchiare: «Ma il coccodrillo di che sa?». La faccenda però è gravissima. Vogliono farci mangiare bistecca di rettile con contorno di locuste (sarebbero le cavallette di cui si cibò, stando all'agiografia, San Giovanni Battista nel deserto) e antipasto di bachi della farina. Sono i tre nuovi cibi sdoganati dall'Europa e inseriti di diritto nella dieta continentale con il bene placito di Roberto Speranza, ministro della Salute che evidentemente non ha letto il sondaggio di Coldiretti secondo cui il 70% degli italiani di questa roba non vuole sentirne neppure parlare. L'Europa, approfittando dell'emergenza clima con il vicepresidente Frans Timmermans entusiasta per i risultati di Cop26, insiste nella sua guerra al made in Italy e i francesi sostengono grazie al Nutriscore - la famigerata etichetta a semaforo che piace tanto alle multinazionali - che le patatine fritte fanno meno male dell'olio extravergine di oliva. Il nostro ministro agricolo Stefano Patuanelli annuncia uno scontro con Bruxelles che ancora nicchia sulla faccenda del falso Prosecco rendendo evidente che in Europa l'offensiva contro l'agroalimentare italiano è conclamata. La ragione c'è. A Cop26 non si sono trovati d'accordo sul carbone, neppure sui gas serra, ma su una cosa sono tutti uniti: la globalizzazione deve andare avanti e bisogna spazzare via le identità. Se c'è, oltre le lingue, qualcosa che designa il chi siamo è il cosa e come mangiamo. Da lì nasce la guerra delle proteine. Se non ci fosse di mezzo l'Italia con il suo export alimentare (50 miliardi a cui sommare gli altri 100 di italian sounding) con quell'agricoltura capace di produrre più valore aggiunto di qualsiasi altra (dallo 0,50% di terra del mondo ricaviamo oltre 60 miliardi), andrebbe tutto liscio. Perciò va abbattuto il modello agricolo e alimentare italiano per celebrare la globalizzazione e il successo delle multinazionali della nutrizione che vogliono sostituire le proteine animali con quelle vegetali coltivate disboscando e sfruttando i contadini del Terzo mondo, ma assai più etiche - a loro dire - delle emissioni di gas serra degli animali allevati. Grazie a Greta Thunberg a Glasgow è risuonata la bufala dell'agricoltura responsabile di un terzo delle emissioni, con la zootecnia che contribuirebbe per il 24%. Se si prendono ad esempio le stalle multipiano cinesi o le mandrie da 10.000 bovini dell'Arizona può darsi, ma per gli allevamenti italiani l'impatto è sotto il 5%. Il nostro è anche il solo modello che promuove la cosiddetta agricoltura familiare, quella capace di sfamare il Terzo mondo e che taglia le unghie alla speculazione. La Fao ha stimato aumenti medi del 3,1% su base globale del prezzo delle commodities agricole; si dice che è colpa del riscaldamento globale, ma il motivo reale è che dopo la pandemia si stanno ricostituendo le scorte. Il modello italiano contrasta tutto questo, non piace però a Usrula von der Leyen che, tanto per dirne una, nel suo discorso dell'Unione non ha mai parlato di agricoltura. Nel suo afflato verde però ha preteso che nel Green deal europeo ci fosse un'idea di agricoltura non impattante che piace anche al suo vice Frans Timmermans, olandese, Paese in cui hanno sede fiscale molte multinazionali del settore. La scelta è: cancellare la zootecnia. L'Europa è ben contenta che la Fao - a capo c'è il cinese Qu Dongyu, il suo vice è l'italiano Maurizio Martina che peraltro paiono poco convinti che la globalizzazione sia la migliore risposta alla fame nel mondo - abbia contato circa 2 miliardi di persone che vivono (anche) di insetti. Così dà via libera ai bachi della farina e alle locuste, ma anche alla carne di coccodrillo del Nilo che può essere importata dalla Svizzera (lì ha sede la più pingue multinazionale della nutrizione), dal Vietnam, dal Botswana, dallo Zimbabwe e dal Sudafrica. Roberto Speranza, ministro della Salute peraltro ha detto sì. Alle viste c'è anche l'autorizzazione per la carne di serpente e di altri rettili perché c'è scritto di fatto nel Green deal che l'Europa deve trovare proteine alternative. Nel Farm to Fork europeo c'è pure l'adozione del Nutriscore che Timmemrmans vuole rendere obbligatorio perché «il consumatore deve essere consapevole di ciò che mangia». Invece che dal 1° gennaio cessi l'obbligo d'indicazione di origine su latte e formaggi in Europa mettendo a rischio di contraffazione anche parmigiano reggiano e grana padano sembra non inquietare Bruxelles. Sul Nutriscore però la battaglia si annuncia durissima. L'Unaprol - riunisce i produttori di extravergine - ha denunciato che in Francia le patatine fritte vengono etichettate con il verde e l'extravergine con il giallo come un hamburger iperfarcito. Il presidente David Granieri dice: «Non possiamo accettare che venga svilito un prodotto come l'extravergine di oliva, simbolo della dieta mediterranea, unanimemente considerato un farmaco naturale». Stavolta ha parlato anche il ministro agricolo Stefano Patuanelli, arrivato a Bruxelles per il Consiglio Ue: «Se l'Ue accettasse la domanda di registrazione della menzione tradizionale Prosek da parte della Croazia, l'Italia farebbe ricorso in Corte di giustizia, non possiamo accettare perché è la traduzione di Prosecco e dobbiamo chiarire che sul Nutriscore, da parte nostra c'è la massima contrarietà a mettere un colore al cibo, la nostra è una posizione non negoziabile». Ma la tagliata di coccodrillo con contorno di locuste è servita.
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