2020-09-05
L’Ue ci dà già gli ordini sul Recovery fund
I tecnici sono al lavoro per elaborare modelli da applicare per poter usare i finanziamenti, mentre la Corte dei conti europea chiede di rendere più vincolanti le raccomandazioni per i singoli Paesi. Intanto i politici sfornano progetti irrealistici per cercare voti.Quando c'è da volare con la fantasia, il nostro Paese ha pochi rivali al mondo. Si fa fatica a tenere il conto delle proposte relative ai possibili impieghi delle risorse del Next generation Eu (già Recovery fund), fondo frutto del tribolato accordo raggiunto a Bruxelles lo scorso 21 luglio. Prestiti o sussidi che siano, non fa differenza. Ogni giorno è buono per dare in pasto ai media il racconto dell'Europa buona che risolleverà le sorti del nostro Paese.Ieri, da questo punto di vista, è stata una giornata particolarmente intensa. Abbiamo registrato un insospettabile «attivismo edificatorio» da parte del sindaco di Roma, Virginia Raggi, che ha scoperto che Roma potrebbe aver bisogno della linea D della metropolitana e ha pure rivangato la famigerata funivia di cui si parla dal 2016. Al Mise non hanno voluto essere da meno e hanno sfoderato in rapida successione un progetto per la riqualificazione energetica degli edifici della Pa, la creazione di «hydrogen valleys» e progetti di decarbonizzazione dell'Ilva grazie all'utilizzo dell'idrogeno. I sindaci delle aree terremotate del Centro Italia hanno giustamente invocato «un'adeguata quota» del Recovery fund e si sono sentiti rispondere che il governo è al lavoro per la banda ultralarga in tutto il Paese. Ci sfugge, però, come sia possibile rimuovere le macerie e ricostruire i borghi utilizzando la fibra ottica, ma non poniamo limiti ai potenti mezzi di Bruxelles. Nella fiera delle vanità, non poteva mancare lo stand del ministro Luigi Di Maio che, dal forum Ambrosetti di Cernobbio, ci ha fatto sapere che «grazie anche all'impegno dell'Italia, con il Recovery fund siamo andati con i soldi in Occidente oltre il piano Marshall». Peccato che il piano Marshall prevedesse prevalentemente veri contributi a fondo perduto, non trasferimenti dal bilancio Ue che poi devono essere rimborsati negli anni successivi dagli Stati membri con maggiori contributi e imposte.Evidentemente non sono state abbastanza chiare le parole pronunciate martedì dal commissario Ue Paolo Gentiloni per spegnere sul nascere tutto questo ribollire di progetti che però stentano a trovare spazio nel perimetro delle condizioni di ammissibilità già delineate nell'accordo del 21 luglio. Il commissario è stato chiaro: transizione climatica, digitale e rispetto delle raccomandazioni Paese. Ma poiché, scritte così, costituiscono davvero il regno della discrezionalità, ieri abbiamo appreso dal Sole 24 Ore che a Bruxelles sono già al lavoro dei gruppi di tecnici che dettaglieranno meglio tali principi base, fino a ottenerne delle linee guida e addirittura dei veri e propri modelli («templates») che dovranno essere seguiti da governi nella messa a punto dei loro piani nazionali. Resta capire la legittimità costituzionale di un'operazione di indebitamento dello Stato italiano per finanziare spese sulla cui natura e destinazione governo e Parlamento avranno solo un modesto potere di intervento. Ma le condizioni non finiscono qua. Avantieri una relazione speciale della Corte dei conti europea (Eca) ha esaminato, in alcuni Stati membri tra cui l'Italia, l'attuazione delle raccomandazioni Paese adottate dal Consiglio Ue, al termine del ciclo di coordinamento delle politiche economiche dei Paesi dell'Unione noto come semestre europeo. E la Corte è andata subito al sodo affermando che «sullo sfondo dell'accordo politico raggiunto dal Consiglio europeo nel luglio 2020, la Corte sottolinea anche la necessità di riformare le modalità con le quali le raccomandazioni specifiche per Paese vengono formulate e attuate». Il riferimento al Consiglio di luglio è chiaro: essendo state richiamate in quella sede, da ora in poi le raccomandazioni Paese non potranno più restare lettera morta. Non potrà più accadere che «solo il 26 % delle raccomandazioni sono state attuate sostanzialmente o pienamente, mentre per il 44 % di esse si sono registrati alcuni passi in avanti e per il restante 30 % vi sono stati progressi modesti o nulli». E, ove mai qualcuno non avesse capito, l'Eca ribadisce che «la Commissione dovrebbe rafforzare il collegamento fra fondi Ue a sostegno dei processi di riforma negli Stati membri e le raccomandazioni specifiche per Paese». Niente riforme? Niente soldi. Infine «la Commissione dovrebbe però concentrarsi maggiormente sul basso tasso di attuazione delle raccomandazioni in generale. Negli ultimi dieci anni, si sarebbe potuta prestare maggiore attenzione a settori quali la riduzione della povertà e la R&S». Affermazione che sfiora il ridicolo e che non tiene conto del fatto che proprio l'attuazione di quelle raccomandazioni ha aumentato la povertà e la disoccupazione giovanile in Paesi come Grecia, Spagna e Italia. L'Eca dovrebbe riflettere sul perché l'Eurozona e l'Ue sono da anni l'area con la peggiore crescita e la più alta disoccupazione tra i Paesi avanzati. Invece è purtroppo convinta che se i salassi non guariscono il malato, la soluzione sia aumentarne la dose. E per essere certa che nessuno sfugga come in passato, propone pure l'obbligatorietà delle raccomandazioni salasso per beneficiare del Recovery fund. La sagoma dell'iceberg è ormai chiara, ma da noi ballano ancora tutti sul ponte.