A 500 anni dalla morte, Luca Signorelli torna protagonista nella sua città natale, Cortona, con una grande mostra che ne ripercorre la parabola umana e artistica. Sino all’8 ottobre 2023, esposte a Palazzo Casali una trentina di opere pittoriche di uno dei più importanti e raffinati Maestri del Rinascimento, pittore di luce e poesia.
A 500 anni dalla morte, Luca Signorelli torna protagonista nella sua città natale, Cortona, con una grande mostra che ne ripercorre la parabola umana e artistica. Sino all’8 ottobre 2023, esposte a Palazzo Casali una trentina di opere pittoriche di uno dei più importanti e raffinati Maestri del Rinascimento, pittore di luce e poesia.Nato a Cortona nel 1441 e a Cortona morto nel 1523, mentre stava affrescando «Il Palazzone» (villa estiva del Cardinale Passerini, segretario personale di Papa Leone X ), Luca Signorelli – all’anagrafe Luca d'Egidio di Ventura, noto anche come Luca da Cortona - è stata una figura fondamentale nel panorama artistico rinascimentale italiano, anche se (un po’ com’è successo per il Perugino), le ombre di Michelangelo e Raffaello ne hanno in parte oscurato la fama. Amatissimo dal Vasari, che di Michelangelo lo considerava l’ispiratore e «… quella persona che col fondamento del disegno e delli ignudi particolarmente, e con la grazia della invenzione e disposizione delle istorie, aprì alla maggior parte delli artefici la via all’ultima perfezzione dell’arte » - scriveva nel 1568 - Signorelli fu (forse ) allievo di Pier Della Francesca, seguace del Pollaiolo, collaboratore del già nominato Perugino e, a Firenze, uno dei protagonisti della vivace e coltissima corte di Lorenzo il Magnifico. Artista famoso e apprezzato nel suo tempo, con tante ed importanti committenze, nel corso dei secoli pubblico e critica lo hanno relegato, ingiustamente, ad un ruolo quasi secondario. E sottolineo ingiustamente, visto che il Signorelli, per la forza narrativa, la potenza plastica, il colore e l’innegabile carica emotiva che emana da ogni sua opera, andò oltre i suoi contemporanei, divenendo «un faro per i grandi del Rinascimento».La mostra a Cortona, che lo celebra nel cinquecentenario della morte, vuole restituire al Signorelli il posto e la fama che merita, per consacrarlo, definitivamente, tra i grandi artisti del suo tempo: «Per quanto riguarda le ragioni dell’importanza di Luca da Cortona la risposta breve è che egli merita un posto di rilievo nella storia della pittura del Quattrocento grazie alle sue grandi qualità di colorista, pittore scultoreo e iconografo altamente originale… Per questo riveste un ruolo importante nello sviluppo dell’arte italiana del Rinascimento. L’arte di Raffaello e Michelangelo si sarebbe sviluppata in modo diverso senza lo stimolo di Signorelli; il fascino di una mostra monografica consiste proprio nella possibilità di evidenziare questo dato», ha scritto Tom Henry – curatore dell’esposizione SIGNORELLI500 - nel saggio introduttivo del catalogo.Le opere e il percorso espositivoVolutamente concentrato sulla produzione pittorica dell’artista, il percorso espositivo si snoda fra una trentina di opere, tutte provenienti da prestigiosi musei italiani ed internazionali, compresi importanti prestiti da collezioni private e da oltreoceano. Radunarle non è stato facile, considerando l’inamovibilità dei suoi stupefacenti cicli di affreschi (famosi quelli nel Duomo di Orvieto, per esempio) e la dispersione dei lavori del Maestro cortonese in tanti luoghi e siti, ma la visione d’insieme è stupefacente ed offre al visitatore una panoramica completa sulla lunga attività artistica - e di vita - del Signorelli.Selezionati in base all’altissimo livello qualitativo e rappresentativi di ogni «fase produttiva» di Luca da Cortona, fra i dipinti in mostra, da segnalare i due preziosi pannelli con la Nascita e Il miracolo di San Nicola ( 1508 – 1510 c.), per la prima volta di ritorno in Italia dagli Stati Uniti d’America; il ricongiungimento, mai riuscito in epoca moderna, della tavola centrale del Polittico della chiesa di Santa Lucia a Montepulciano - raffigurante la Madonna e il Bambino in trono - con la relativa predella, composta da tre pannelli in prestito dagli Uffizi di Firenze, in cui Signorelli mostra tutta la sua vena narrativa e, restaurato per l’occasione, il tondo La Vergine e il Bambino con santi dell’Accademia Etrusca di Cortona.Meravigliosa, per la straordinaria drammaticità delle figure e per quel blu e rosso dominanti, l’imponente Annunciazione di Volterra, firmata e datata 1491, in cui Signorelli si fa ammirare anche per la qualità scultorea del suo angelo Gabriele, forte dell’esperienza con Andrea del Verrocchio a Orsanmichele e con Francesco di Giorgio Martini a Siena.Gli Itinerari di SignorelliOltre ai capolavori esposti a Palazzo Casali, proprio per dare una visione - la più ampia possibile – della figura dell’artista, la mostra prosegue con gli «Itinerari di Signorelli», momento fondamentale di completamento dell’esposizione e percorso di valorizzazione territoriale fra la Toscana e l’Umbria, con fulcro a Cortona.Cinque i percorsi - il percorso urbano a Cortona, la Valdichiana fino ad Arezzo, la Valtiberina tra Umbria e Toscana, la Via Lauretana Toscana, la direttrice Perugia-Orvieto - alla scoperta (o riscoperta) di quei luoghi in cui il Signorelli, artista peregrino e itinerante , si è recato spesso e volentieri, affidando alle sue opere la testimonianza del suo passaggio.
Scienziati tedeschi negli Usa durante un test sulle V-2 nel 1946 (Getty Images)
Il 16 novembre 1945 cominciò il trasferimento negli Usa degli scienziati tedeschi del Terzo Reich, che saranno i protagonisti della corsa spaziale dei decenni seguenti.
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Il 16 luglio 1969 il razzo Saturn V portò in viaggio verso il primo allunaggio della storia l’equipaggio della missione Nasa Apollo 11. Il più grande passo per l’Uomo ed il più lungo sogno durato secoli si era avverato. Il successo della missione NASA fu il più grande simbolo di vittoria nella corsa spaziale nella Guerra fredda per Washington. All’origine di questo trionfo epocale vi fu un’operazione di intelligence iniziata esattamente 80 anni fa, nota come «Operation Paperclip». L’intento della missione del novembre 1945 era quella di trasferire negli Stati Uniti centinaia di scienziati che fino a pochi mesi prima erano stati al servizio di Aldolf Hitler e del Terzo Reich nello sviluppo della tecnologia aerospaziale, della chimica e dell’ingegneria naziste.
Nata inizialmente come operazione intesa ad ottenere supporto tecnologico per la tardiva resa del Giappone nei primi mesi del 1945, l’operazione «Paperclip» proseguì una volta che il nuovo nemico cambiò nell’Unione Sovietica, precedente alleato di Guerra. Dopo la caduta del Terzo Reich, migliaia di scienziati che avevano lavorato per la Germania nazista si erano sparsi per tutto il territorio nazionale, molti dei quali per sfuggire alla furia dei sovietici. L’OSS, il servizio segreto militare dal quale nascerà la CIA, si era già preoccupato di stilare un elenco delle figure apicali tra gli ingegneri, i fisici, i chimici e i medici che avrebbero potuto rappresentare un rischio se lasciati nelle mani dell’Urss. Il Terzo Reich, alla fine della guerra, aveva infatti raggiunto un livello molto avanzato nel campo dell’ingegneria aeronautica e dei razzi, uno dei campi di studio principali sin dai tempi della Repubblica di Weimar. I missili teleguidati V-2 e i primi aerei a reazione (Messerschmitt Me-262) rivelarono agli alleati quella che sarebbe stata una gravissima minaccia se solo Berlino fosse riuscita a produrre in serie quelle armi micidiali. Solamente l’efficacia dei potenti bombardamenti sulle principali strutture industriali tedesche ed il taglio dei rifornimenti impedì una situazione che avrebbe potuto cambiare in extremis l’esito del conflitto.
L’Operazione «Paperclip», in italiano graffetta, ebbe questo nome perché si riferiva ai dossier individuali raccolti negli ultimi mesi di guerra sugli scienziati tedeschi, molti dei quali erano inevitabilmente compromessi con il regime nazista. Oltre ad aver sviluppato armi offensive (razzi e armi chimiche) avevano assecondato le drammatiche condizioni del lavoro forzato dei prigionieri dei campi di concentramento, caratterizzate da un tasso di mortalità elevatissimo. L’idea della graffetta simboleggiava il fatto che quei dossier fossero stati ripuliti volontariamente dalle accuse più gravi dai redattori dei servizi segreti americani, al fine di non generare inevitabili proteste nell’opinione pubblica mondiale. Dai mesi precedenti l’inizio dell’operazione, gli scienziati erano stati lungamente interrogati in Germania, prima di essere trasferiti in campi a loro riservati negli Stati Uniti a partire dal 16 novembre 1945.
Tra gli ingegneri aeronautici spiccavano i nomi che avevano progettato le V-2, costruite nel complesso industriale di Peenemünde sul Baltico. Il più importante tra questi era sicuramente Wernehr von Braun, il massimo esperto di razzi a propulsione liquida. Ex ufficiale delle SS, fu trasferito in a Fort Bliss in Texas. Durante i primi anni in America fu usato per testare alcune V-2 bottino di guerra, che von Braun svilupperà nei missili Redstone e Jupiter-C (che lanciarono il primo satellite made in Usa). Dopo la nascita della NASA fu trasferito al Marshall Space Flight Center. Qui nacque il progetto dei razzi Saturn, che in pochi anni di sviluppo portarono gli astronauti americani sulla Luna, determinando la vittoria sulla corsa spaziale con i sovietici e divenendo un eroe nazionale.
Con von Braun lavorò allo sviluppo dei razzi anche Ernst Stuhlinger, grande matematico, che fu estremamente importante nel calcolo delle traiettorie per la rotta dei razzi Saturn. Fu tra i primi a ipotizzare la possibilità di raggiungere Marte in tempi relativamente brevi. Nel team dei tedeschi che lavorarono per la Nasa figurava anche Arthur Rudolph, che sarà uno dei principali specialisti nei motori del Saturn. L’ingegnere tedesco si occupò in particolare del funzionamento del primo stadio del razzo che conquistò la Luna, un compito fondamentale per un corretto decollo dalla rampa di lancio. Rudolph era fortemente compromesso con il Terzo Reich in quanto membro prima del partito nazista e quindi delle SS. Nel 1984 decise di lasciare gli Stati Uniti dopo che nei primi anni ’80 iniziarono una serie di azioni giudiziarie contro quegli scienziati che più si erano esposti nella responsabilità dell’Olocausto. Morirà in Germania nel 1996.
Tra gli ingegneri, fisici e matematici trasferiti con l’operazione Paperclip fu anche Walter Häussermann, esperto in sistemi di guida dei razzi V-2. Figura chiave nel team di von Braun, sviluppò negli anni di collaborazione con la NASA gli accelerometri ed i giroscopi che il razzo vettore del programma Apollo utilizzò per fornire i dati di navigazione al computer di bordo.
In totale, l’operazione Paperclip riuscì a trasferire circa 1.600 scienziati tedeschi negli Stati Uniti. In ossequio alla realpolitik seguita alla corsa spaziale, la loro partecipazione diretta o indiretta alle attività belliche della Germania nazista fu superata dall’enfasi che il successo nella conquista della Luna generò a livello mondiale. Un cammino che dagli ultimi sussulti del Terzo Reich, quando le V-2 colpirono Londra per 1.400 volte, portò al primo fondamentale passo verso la conquista dello Spazio.
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Beppe Sala (Ansa)
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