2024-11-11
Luca Dal Fabbro: «Sulle materie critiche crescerà ancora il gap tra Ue e gli altri Paesi»
Il presidente di Iren: «Investendo sul recupero dei rifiuti elettrici l’Italia potrebbe ridurre di un terzo la dipendenza dall’estero».«L’Europa ha una grave dipendenza dall’estero. Il 56% delle materie prime critiche importate in Europa provengono da un solo Paese, la Cina. Altri Paesi importanti fornitori di materie prime sono la Russia, il Sud Africa, gli Stati Uniti e il Brasile». Luca Dal Fabbro, presidente di Iren (una delle principali multiutility italiane, leader nel Nord Ovest), mette il dito nella piaga della dipendenza della Ue per ciò che è fondamentale nella transizione energetica. «Si tratta di un divario, quello tra l’Europa e gli altri Paesi, che non si appresta a fermarsi anche alla luce della crescente domande di questi materiali. Entro il 2030, il 40% del consumo di ciascuna materia prima strategica dovrà provenire dalla raffinazione in Europa, ma ai trend attuali la previsione di crescita in capacità di raffinazione di terre rare prevede solo una quota del 4% per l’Europa. Il recupero delle materie prime da apparecchiature elettriche ed elettroniche rappresenta un importante potenziale per dare una rapida ed efficace risposta. La Ue ha innalzato il target del consumo annuale di ciascuna materia prima strategica da riciclo al 25%, rispetto al 15% inizialmente previsto dalla Commissione europea. In Europa una gestione non efficace del recupero degli apparecchi elettronici ed elettrici determina la perdita economica di 10 miliardi di euro di materie prime che andrebbero gestiti da mercati illegali». Quale è la situazione in Italia?«Le materie prime critiche già oggi sono essenziali per la competitività contribuendo a 690 miliardi di euro di produzione industriale del Paese, pari al 32% del Pil. La produzione industriale supportata da materie prime critiche è, inoltre, aumentata del 51% negli ultimi 5 anni. Si tratta di un mercato in forte espansione. Nel 2022, l’Italia ha importato 38 miliardi di euro di materie prime grezze e di semilavorati che incorporano materie critiche strategiche, un valore aumentato del 50% nell’ultimo decennio. La nostra industria è dipendente da rame, alluminio, oro, argento e platino. Oggi il comparto delle materie prime grezze ha raggiunto i 4 miliardi di euro. Lo sviluppo di filiere domestiche nella transizione energetica e digitale porterà questo valore a raggiungere i 17,5 miliardi di euro nel 2040 (+340%), richiedendo al Paese un importante sforzo sugli approvvigionamenti».L’Europa ha rallentato l’attività estrattiva per un pregiudizio ecologista. Da qui nasce la dipendenza dalla Cina?«Il gap tra Europa e Cina è legato ad una serie di scelte economiche. Basti pensare che nel 2023 gli investimenti esteri cinesi nelle materie prime ammontavano a 14,7 miliardi, una quota molto lontana dai circa 2,7 miliardi di euro mobilitati in Europa. Sicuramente ha contribuito la lungimiranza e la capacità di visione industriale della Cina e la miopia dell’Europa nel considerare un business utile oltre che profittevole non solo la produzione delle infrastrutture green come i pannelli fotovoltaici, le pale eoliche e le batterie, di cui la Cina è leader, ma anche la gestione e il recupero di questi materiali. In ultimo credo che sia un tema ideologico. Per troppo tempo l’Europa ha inseguito un’idea di Green deal legato sì alla sostenibilità ambientale, ma non tendendo conto di valori come la sicurezza energetica e la competitività industriale». Le materie prime critiche sono un elemento chiave per la competitività italiana?«Il nostro sistema economico è più resiliente quando siamo in grado di garantire l’approvvigionamento di questi materiali che influenzano per un terzo il Pil nazionale. L’Italia è, dopo la Germania, il secondo Paese europeo per contributo delle materie prime critiche alla produzione industriale. Uno studio commissionato a Teha ha evidenziato che la mancanza di presenza di materie prime critiche come il gallio, il tungsteno e niobio, anche se in minima quantità, metterebbe a rischio la produzione industriale di settori ad alto valore aggiunto quali aerospazio, robotica, semiconduttori ed elettromedicale. Inoltre nei prossimi anni la transizione energetica genererà una “miniera” di materie prime critiche legate agli impianti che hanno raggiunto il fine vita. Questa nuova domanda di recupero e smaltimento non può che generare nuove opportunità di sviluppo economico e occupazionale». Su oltre 3.000 siti minerari in produzione in Italia, solo 94 hanno una concessione ancora in vigore. Come superare le ostilità territoriali?«In Italia sono presenti numerosi siti minerari legati alle materie prime critiche, ad esempio in Sardegna e in Piemonte vi è una importante presenza di cobalto. Nei depositi sull’Appennino ligure-emiliano, nelle Alpi occidentali, in Trentino e Sardegna è presente il rame, nelle aree vulcaniche come il lago di Bracciano e nel Lazio e i Campi Flegrei in Campania il litio. Sicuramente una prima soluzione per superare le difficoltà territoriali è quella di promuovere una mappatura estesa e aggiornata del potenziale estrattivo sul territorio nazionale. Ma al di là delle miniere, ci possono essere altri fronti guidati dall’ottica della circolarità. Il gruppo Iren, ad esempio, sta lavorando insieme ad Altamin allo studio e sviluppo del recupero del litio dalle salamoie geotermiche nel Lazio. Il processo si basa sulle normali operazioni geotermiche e produce un risparmio di emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera. L’energia geotermica è inoltre sufficiente ad alimentare le successive fasi di raffinazione senza richiedere l’approvvigionamento da fonti energetiche aggiuntive. Un’operazione all’avanguardia a livello internazionale». Per accorciare i tempi di estrazione si possono fare partnership dove i vincoli sono meno stringenti? In Africa col piano Mattei?«Il piano Mattei è uno dei pilastri su cui Italia ed Europa dovranno costruire la propria crescita industriale e la propria indipendenza economica e tornare ad occupare un ruolo strategico nello scacchiere geopolitico internazionale. Sono tante le iniziative che il nostro Paese potrebbe realizzare, date le competenze e conoscenze ingegneristiche, come la promozione di progetti di estrazione delle materie prime critiche in Egitto e realizzazione di impianti per la prima fase di lavorazione in loco. Sarà inoltre fondamentale identificare delle linee di finanziamento ad hoc del Fondo strategico del Made in Italy per promuovere il rafforzamento degli approvvigionamenti di materie prime critiche e supportare gli investimenti privati attraverso equity investment e linee di credito agevolate. Al contempo a livello europeo è auspicabile la creazione di una piattaforma d’acquisto unica per gli approvvigionamenti di materie prime critiche e costituire delle riserve strategiche integrate per ridurre i rischi derivanti da blocchi temporanei delle importazioni».Perché è importante la gestione dei Raee, i rifiuti tecnologici?«A livello globale la quantità di Raee prodotti sta aumentando a un ritmo pari a quasi 2 milioni di tonnellate all’anno. Il 70% di questo valore non viene però recuperato. In Europa oltre la metà dei flussi dei recuperi di apparecchi elettrici ed elettronici sfugge al sistema di raccolta e quasi un quarto viene esportato illegalmente. Questi dati suggeriscono l’urgenza di rafforzare in Europa questa filiera». In Italia quale la situazione del trattamento dei Raee?«In Italia, il tasso di raccolta dei Raee si è ridotto di 10 punti percentuali in 5 anni e oggi è meno della metà del target europeo. È una criticità che riflette lo scenario internazionale davanti al quale i consorzi e le associazioni stanno già facendo grandi sforzi. Lo studio appena presentato conferma in maniera netta che per valorizzare il contributo dell’economia circolare, l’Italia dovrà investire nella crescita dei volumi di Raee raccolti, nella realizzazione di impianti di trattamento e nell’utilizzo delle materie prime seconde nelle produzioni industriali. Con 1,2 miliardi di investimenti, l’Italia può ridurre la dipendenza dall’estero per le materie prime critiche di quasi un terzo. Iren vuole essere l’operatore principale di riferimento per il recupero dai rifiuti di questi materiali critici. Di fatto siamo gli unici ad aver presentato due studi sul tema negli ultimi due anni e ci apprestiamo a passare dalle parole ai fatti, inaugurando a dicembre il primo impianto dai rifiuti elettrotecnici. L’impianto che sorgerà in Toscana rappresenta un unicum a livello italiano ed è un perfetto esempio di best practice per la transizione ecologica: il trattamento dei Raee che verrà applicato permette infatti di ridurre il consumo energetico e di produrre una quantità di CO2 venti volte inferiore a quella prodotta nei processi estrattivi tradizionali. Si tratta di un impianto che diventerà strategico e che segnerà l’inizio di una nuova strategia di Iren nella raccolta, valorizzazione ed estrazione di metalli o di materiali critici che devono essere utilizzati per l’industria e la nostra manifattura». Come può l’Italia ridurre la dipendenza dall’estero?«Gli impianti accreditati per il recupero e trattamento dei Raee in Italia non sono del tutto adeguati alla gestione dei volumi prodotti. Attualmente, le imprese sono scoraggiate dalla burocrazia e dalla disponibilità dei rifiuti: spesso per costruire un impianto in Italia, l’iter burocratico varia dai 5 ai 7 anni. Dobbiamo velocizzare questo iter, ma senza compromessi su legalità e ambiente. La roadmap presentata da Iren con il contributo di Ambrosetti evidenzia l’importanza di sviluppare filiere domestiche per sostenere la transizione energetica, dato che nei prossimi anni il fabbisogno italiano di materie prime grezze aumenterà del 320%. I rifiuti elettronici, una volta correttamente riciclati, potrebbero diventare una risorsa preziosa per colmare parte di questa domanda crescente, riducendo la necessità di approvvigionarsi di nuove materie prime e contribuendo alla sostenibilità ambientale».
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