2018-11-17
«L’ostinazione degli eurocrati mette a rischio l’esistenza dell’Ue»
L'economista francese, professore all'Escp, Steve Ohana: «La Commissione sta facendo un gioco pericoloso. Le severe regole fiscali sono già di per sé molto impopolari tra i Paesi latini e mancano di legittimazione democratica».Uno degli esiti dello scontro tra il nostro governo e la Commissione europea, forse il più significativo, è stato quello di portare a galla i limiti marchiani dell'unione monetaria della quale facciamo parte. La Verità ne ha discusso con Steve Ohana, economista francese e professore di finanza alla Escp Europe, una delle business school più prestigiose del mondo. Nel 2013, Ohana ha pubblicato il libro Disobey to save Europe (Disobbedire per salvare l'Europa), un testo nel quale l'autore profetizzava l'avvento dei movimenti populisti in Grecia e in Italia, qualora le istituzioni continentali avessero proseguito con le politiche deflazionarie.Professore, lei ha scritto su Le Figaro che, nel bocciare la manovra italiana, la Commissione sta giocando un «gioco pericoloso». Ritiene che Bruxelles sia sulla strada sbagliata?«Dopo la formazione della coalizione italiana avvenuta lo scorso maggio, la Commissione si è trovata ad affrontare un dilemma impossibile. Non reagire alla manovra italiana avrebbe significato una grossa perdita di credibilità per la Commissione e, più in generale, per le istituzioni continentali. Una mossa che, di fatto, avrebbe consegnato la vittoria a Matteo Salvini nella sua lotta per cambiare lo status quo europeo, in vista delle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo che si svolgeranno a maggio del 2019».Che giudizio si è fatto della manovra italiana? Ha fatto bene il governo a proporre di innalzare il deficit al 2,4%?«Che l'economia italiana soffra di una mancanza di domanda interna è cristallino. L'economia non sta marciando come dovrebbe e il cosiddetto “output gap" (la differenza tra Pil potenziale e Pil reale) è molto ampio. Il Pil reale, infatti, è inferiore ancora del 5% rispetto ai livelli pre crisi. Inoltre, dall'inizio dell'anno ci sono chiari segnali di un rallentamento economico a livello europeo, causato dalla decisione della Bce di terminare il quantitive easing e dalle deboli prospettive per le esportazioni in Cina. La stretta monetaria da parte della Bce arriva perciò in un momento del tutto inopportuno e sarà politicamente impegnativo per Mario Draghi tornare sui propri passi. Ritengo che, in contesto del genere, lo stimolo sul deficit sia perfettamente giustificato e giudico per niente eccessivo l'impulso fiscale previsto nella misura dello 0,7% sul Pil (di cui lo 0,3% dal taglio fiscale e lo 0,4% da maggiori spese)».Tutto bello a parole, poi però bisogna fare i conti con Bruxelles.«Certo, tutti questi calcoli devono passare il vaglio kafkiano dell'eurozona. Dentro questo sistema, di fatto, non esistono soluzioni valide per Paesi come l'Italia. Da un lato, la mera applicazione delle regole del Patto di stabilità non farebbe altro che aggravare il problema della scarsa crescita e del sovraindebitamento. D'altro canto, violare le regole in maniera troppo palese potrebbe rappresentare un capestro per un Paese che non può emettere debito sovrano nella propria valuta. La decisione di proseguire nello scontro politico con la Bce o con Bruxelles potrebbe avere come conseguenza l'aumento dei rendimenti sul mercato del debito, un indebolimento del settore privato e dei bilanci delle banche oltre che una zavorra per l'erogazione di nuovo credito, per la crescita e per l'occupazione».Non sembrano esserci vie d'uscita in una situazione come questa.«Il fatto che Matteo Salvini e Luigi Di Maio abbiano optato per una strategia basata sull'aperto contrasto con l'Unione europea su tutti i temi (migranti, manovra, riforme strutturali), mi fa credere che l'obiettivo finale non sia quello di rimanere nell'unione monetaria. In questo caso, la loro strategia potrebbe consistere nel costringere l'Unione europea a “cacciare fuori" l'Italia dall'euro, un fatto che permetterebbe di guadagnare consensi nell'elettorato italiano e mettere in atto il piano B, attribuendo tutte le colpe per le conseguenze a Bruxelles». La vicenda presenta dei rischi anche per la Commissione, dunque.«La decisione di bocciare la manovra italiana mette in pericolo nel breve termine l'esistenza stessa della Commissione. Da un punto di vista politico, le severe regole fiscali sono già di per sé molto impopolari tra i Paesi latini e mancano di legittimazione democratica. Oltretutto, è arduo giustificare il fatto che il deficit francese (che è previsto arrivare al 2,8% con un avanzo primario strutturalmente negativo) rispetti le regole mentre quello italiano (al 2,4% con un avanzo primario che dura ormai da 25 anni) non lo faccia». L'unico Paese che ha provato a ribellarsi contro l'Europa è stato la Grecia. Non è finita bene…«Il paragone dello scontro del 2015 tra la Grecia e l'Eurogruppo non regge. La coalizione italiana è molto più euroscettica di quanto non lo fosse Syriza, il partito del premier Alexis Tsipras, ma è anche molto più intellettualmente preparata per l'uscita dall'eurozona rispetto al tandem Varoufakis-Tsipras. L'Italia, dal canto suo, può vantare la presenza di economisti come Alberto Bagnai, Claudio Borghi e Paolo Savona, che occupano posti chiave nell'attuale governo e nel Parlamento. Il loro merito è quello di aver infranto un tabù che durava da molto tempo in Italia!». L'austerità ha contribuito affinché si arrivasse a questo punto di rottura?«Le regole fiscali europee sono fortemente procicliche, e non fanno altro che aggravare le differenze economiche tra i vari Stati membri, il vero problema all'ordine del giorno per l'eurozona. Numerosi economisti, e in particolare due premi Nobel, Paul Krugman e Joseph Stiglitz, hanno dimostrato da molto tempo a questa parte l'inadeguatezza di queste regole nell'ambito dell'unione monetaria».Parlando di parametri che l'Europa ci chiede di rispettare, l'osservato speciale oggi sembra il debito pubblico italiano. Cosa succederebbe in caso di una Italexit?«A livello finanziario, vista la natura sistemica del debito italiano (2.300 miliardi detenuti da grandi banche, fondi di investimento e compagnie assicurative di tutto il mondo), una Italexit provocherebbe una crisi finanziaria di portata mondiale alla stregua di quella che seguì il fallimento di Lehman Brothers. Ma l'impatto sarebbe ancora maggiore della bancarotta di Lehman, considerata la grandezza del debito italiano (quattro volte maggiore di quello della banca americana nel 2008), e in virtù delle maggiori difficoltà nel contesto internazionale rispetto a dieci anni fa. Un salvataggio del sistema finanziario, perciò, sarebbe molto più difficile oggi rispetto al 2008».Viste le nefaste conseguenze, che soluzioni ci potrebbero essere per la transizione? Qualcuno propone di introdurre i cosiddetti minibot (titoli di Stato di piccolo taglio per il pagamento dei debiti della Pa).«I minibot sono a tutti gli effetti una valuta parallela che potrebbero, in ultima istanza, sostituire l'euro come valuta in Italia dopo un periodo di transizione (che potrebbe durare un anno). Affinché questo passaggio abbia un esito positivo, i capitali dovrebbero rimanere all'interno del Paese, il settore bancario andrebbe immediatamente ricapitalizzato, e il governo dovrebbe affrontare il problema dei titolari insolventi (privati o aziende) di debiti denominati in euro. Questa rappresenta una enorme sfida sul piano economico, finanziario e legale. Ma è del tutto probabile che economisti come Savona, Borghi e Bagnai abbiano già pensato a tutto questo».Difficile pensare che un'eventuale uscita dall'euro lasci inalterati gli assetti geopolitici.«L'Italexit finirebbe senza dubbio per danneggiare le esportazioni nei confronti dei paesi Ue, che oggi rappresentano circa il 55% del totale dell'export nazionale. Per sopperire alle mancate esportazioni verso l'Europa, il governo dovrebbe, pertanto, provvedere in velocità a rinforzare i legami con tutti quei Paesi extra Ue. Inoltre, se da un lato la svalutazione potrebbe far ripartire la produzione interna, sarebbe opportuno e necessario trovare soluzioni adeguate per contrastare l'eccessivo aumento dell'inflazione». Tutti discorsi inimmaginabili fino a pochi anni fa, quando l'euro veniva definito «irreversibile». Che idea si è fatto della moneta unica?«L'euro è frutto di una unione monetaria incompleta, visto che non si è realizzata né l'unione bancaria né tanto meno quella fiscale. Sono assenti, inoltre, gli altri strumenti tipici di un'unione monetaria, come i trasferimenti fiscali oppure uno schema comune di assicurazione dei depositi. Se la coalizione italiana non dovesse riuscire nell'intento di abbandonare questo sistema disfunzionale, è solo questione di tempo perché un altro Paese lo faccia, preparando lo strada anche per gli altri Stati membri».
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