2019-10-20
L’Ordine dei medici: «Non daremo la morte»
Si allarga la rivolta dei camici bianchi contro l'eutanasia. La federazione nazionale Fnomceo: «Noi dottori non abbandoneremo mai il paziente, assicureremo cure palliative fino alla sedazione profonda, ma non compiremo l'atto fisico di porre fine alla vita».Subito dopo la sentenza della Corte costituzionale sulla non punibilità, a certe condizioni, del reato di aiuto al suicidio, era stato il presidente dell'Ordine dei medici di Roma, Antonio Magi, a mettere i paletti: «Per chi svolge la nostra professione», aveva detto alla Verità, «uccidere è impensabile». Da ieri, questa è anche la posizione della Federazione nazionale degli Ordini dei medici (Fnomceo), la quale, riunita a Parma la Consulta di bioetica, ha chiarito inequivocabilmente che ai camici bianchi non si può chiedere di dare la morte ai pazienti. Ovvero, di violare gli obblighi deontologici, solennemente sanciti dal giuramento d'Ippocrate. «Il medico non abbandonerà a sé stesso il paziente», ha chiosato Filippo Anelli, presidente della Fnomceo. «Assicurerà sempre le cure palliative per contenere il dolore sino alla sedazione profonda e sarà presente fin dopo il decesso, che certificherà». Rifiutando categoricamente, tuttavia, di compiere «l'atto fisico di somministrare la morte».Così i dottori respingono decisamente ogni ipotesi di «elvetizzazione» del nostro Paese, cioè di riconversione delle strutture sanitarie in fabbriche di suicidi. Pare banale ricordarlo, ma viste le pressioni politiche che da più parti si stanno esercitando sul tema del fine vita, non è superfluo ribadire, come ha fatto Anelli, che «il medico ha per missione quella di combattere le malattie, tutelare la vita e alleviare le sofferenze. Quello del suicidio assistito è quindi un processo estraneo a questo impegno». È bene precisarlo ancora: non sono le parole di un pericoloso integralista cattolico, di un fanatico «medievale», bensì del presidente della Federazione degli Ordini dei medici. Al cui Consiglio nazionale, composto dai 106 presidenti degli Ordini locali, nel mese di novembre, sarà sottoposta proprio la posizione espressa ufficialmente dalla Consulta di bioetica. Anelli non è entrato nel merito delle scelte personale dei malati e delle loro famiglie. Ma ha anche specificato che nessuna liberalizzazione può significare obbligo per i camici bianchi di tradire la loro missione: «Se è un alto diritto la possibilità di scegliere autonomamente e liberamente sulla propria salute, assicurata dall'obiezione di coscienza, lo stesso principio deve poter valere anche per il medico che si considera fermo sostenitore della tutela della vita. Quindi si vuole certamente rispettare la volontà di chi decide di porre fine alla propria esistenza ritenuta troppo penosa e non più degna di essere prolungata, nei limiti previsti dalla Corte costituzionale, ma si chiede anche di lasciare la nostra categoria estranea a questo atto suicidario».Secondo Anelli, una legge dovrà identificare «una terza persona (come ad esempio un pubblico ufficiale) per raccogliere la volontà suicidaria» del malato, che poi potrà decidere autonomamente chi fisicamente lo assisterà nel compimento del gesto estremo: «Un fratello, il coniuge, un genitore». Ma non il medico, ha concluso il presidente della Fnomceo.Va sottolineato che la ferma contrarietà dei dottori a ogni coinvolgimento nelle pratiche di aiuto al suicidio in parte assesta una stoccata alla sentenza della Consulta, ma soprattutto minaccia di affossare il disegno di legge M5s-Pd, presentato in Senato alla fine di settembre.Il testo del pronunciamento della Corte costituzionale parla esplicitamente di «modalità di esecuzione da parte di una struttura pubblica del Servizio sanitario nazionale, sentito il parere del comitato etico territorialmente competente». Una frase che non specifica quale debba essere il ruolo dei medici, anche se pare improbabile ipotizzare una situazione in cui i camici bianchi, sopravvenuta nel malato la volontà di darsi la morte, si mantengano del tutto estranei a quello che avviene in corsia a un paziente che stanno seguendo.Il ddl di Palazzo Madama, firmato da esponenti politici come l'immancabile avanguardia della dissoluzione dell'etica, Monica Cirinnà, chiarisce invece che la somministrazione di trattamenti atti a porre fine alla vita del paziente «è consentita unicamente nell'ambito del Servizio sanitario nazionale da parte di personale medico e sanitario che non abbia formulato al riguardo l'obiezione di coscienza». Se l'Ordine, però, è ormai orientato a stabilire che collaborare al suicidio del paziente è in contrasto con la deontologia professionale, diventa virtualmente impossibile immaginare che vi siano «medici e personale sanitario» disposti a non opporre obiezione di coscienza alla somministrazione di trattamenti letali. E così, dopo che un'inusitata accelerazione lungo la strada che rischia di condurci all'eutanasia attiva è stata impressa dai giudici costituzionali, la resistenza a pericolose derive potrebbe arrivare proprio da chi è in trincea. Da chi dedica conoscenza ed energie ai sofferenti, da chi ogni giorno tocca con mano il dolore, la fragilità umana e magari patisce l'impotenza di fronte a mali inguaribili. E che sa la differenza tra giusto e sbagliato, tra quella che è la sua missione e quella che ne rappresenta un'inconcepibile perversione.
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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Francesco Nicodemo (Imagoeconomica)