2019-04-12
L’omaggio di Piero Chiara alla provincia viziosa e disincantata
In «Il piatto piange» la vita di paese è fatta di bordelli e bische. L'autore, prima sulla cresta dell'onda, sta cadendo nell'oblio.«Si giocava d'azzardo in quegli anni, come si era sempre giocato, con accanimento e passione; perché non c'era, né c'era mai stato a Luino altro modo per poter sfogare senza pericolo l'avidità di danaro, il dispetto verso gli altri e, per i giovani, l'esuberanza dell'età e la voglia di vivere». Comincia così Il piatto piange, romanzo d'esordio di Piero Chiara uscito nel marzo del 1962 per Mondadori: dopo positiva lettura di Dante Isella, con 5.000 copie di prima tiratura andò a inaugurare la collana il Tornasole, diretta da Vittorio Sereni e Niccolò Gallo. Imbastito su bozzetti già esistenti e sulla stoffa di due racconti pubblicati dalla rivista Il Caffè, Chiara lo aveva affinato perlopiù oralmente, nelle storie con cui sovente ingannava gli amici e il tempo, forse sé stesso: «Nei paesi la vita è sotto la cenere», ed è là che amava rovistare.Leonardo da vinciI temi a lui più cari compaiono già tutti: la piccola provincia degli anni Trenta, vivida e vibrante che par di starci dentro, coi riflettori accesi (mai era accaduto prima, a tali livelli) sui suoi paesani, portatori di noia e piccole virtù, vizi e peccati spesso piccoli anche quelli. Prendi l'imbianchino di Dumenza che «trovandosi a lavorare al Louvre, rubò la Gioconda di Leonardo da Vinci. Se la portò a Luino arrotolata nella sua valigia d'emigrante» e ce l'avrebbe ancora con sé, non avesse avuto la pretesa di venderla al direttore degli Uffizi di Firenze...«I luinesi, così irrequieti e avventurosi, quando non potevano andare a lavorare o a cercar fortuna in Francia o altrove […], si azzannavano tra loro nel gioco, derubandosi ferocemente». Sgangherati perdigiorno, divisi tra le chiacchiere al bar e il bordello di Mamarosa, le notti di bisca al Metropole o a casa del Rimediotti: la generazione che uscirà trasformata, per non dire cancellata, dal secondo dopoguerra.«Quanto e quanto accanitamente, perdutamente, si è «giocato» in provincia durante il Ventennio nero, lo sa soltanto chi vi è vissuto in quegli anni», scrive Mario Bonfantini nella prefazione all'Oscar Mondadori (ottava ristampa, giugno 1979) da me recuperato. «Allo chemin de fer è la condotta (...) che conta», dice Chiara, «il gioco in sé non richiede alcuna abilità. Non ci sono calcoli da fare, sparigli da tenere a mente o mosse da prevedere. Ci vuole solo carattere, cioè ponderatezza, freno». E un po' di culo, «perché da noi la fortuna, la chiamano “culo", e forse non solo da noi», eh no, ch'io immaginavo fosse cosa toscana; «non vedo il rapporto, ma si dice sempre così, ancora adesso, e qualche volta addirittura boeucc». Uno spasso. Perlomeno per chi legge, abituato al gioco alienante della provincia d'oggi, con le slot disseminate pure dentro i circoli Arci.Donne boccaccescheE poi, quale altro passatempo se non il buon sesso? Altri tempi anche in questo, s'intende. Il sesso del casino e delle corna paesane, con donne boccaccesche e suadenti, magari bidimensionali, disponibili per spregiudicate avventure dalle veneree conseguenze. Ed ecco emergere i due personaggi più a lungo raccontati nel libro, ovvero il camaleontico Càmola, corteggiatore a suon di lettere (perlopiù ricopiate dall'Ortis di Ugo Foscolo), e il suo «amico e compagno quasi inseparabile» Tolini, detto Tetàn, «di antica famiglia luinese e figlio di un negoziante di tessuti […]. Come mezzo di seduzione avevano le loro facce, che erano le più invitanti e lascive che si potessero immaginare. Guardavano le donne con le palpebre semichiuse, la bocca molle e lo sguardo lungo, strascinato, degli ammaliatori. Qualche volta tiravano addirittura fuori la lingua, lentamente, e succhiavano l'aria». Se dettagliando c'è da scadere nel triviale, nessuna remora, vedi gli amplessi sul canapè in stile Impero dell'avvocato Parietti, scapolo sessantenne, che si muoveva meglio lasciando la sua gamba intirizzita (da una ferita di guerra) fuori da quel divano senza sponde. «Chi avesse ben guardato sul pavimento […] avrebbe notato un tassello di legno inchiodato al parquet», contro cui l'avvocato «puntava il suo tacco ortopedico, nelle buone occasioni, realizzando la più semplice e pericolosa delle macchine umane. “Datemi un punto d'appoggio e vi sollevo il mondo!", soleva dire ai clienti e specialmente alle clienti quando gli esponeva i loro casi».A tessere il tutto una voce del gruppo, implicata ma non troppo: la penna lieve e ironica di Chiara, che mai rinuncia all'affondo dell'amarezza. Tratteggiando d'intorno una magnifica Luino, obliata tra il lago Maggiore e la Svizzera eppure a suo modo centro del mondo; la città in cui era nato nel 1913, che racchiude «tutti i luoghi immaginari dove si svolge la favola della vita». Sullo sfondo l'avanzare della dittatura fascista, che sembra lasciare i protagonisti poco più che indifferenti.Chiara qualche problema con il fascismo lo ebbe. Finì esule in Svizzera, all'emissione di un ordine di cattura: muovendo d'anticipo, aveva rinchiuso un busto del Duce nella gabbia degli imputati (o forse soltanto impilato i suoi ritratti sul banco degli imputati, come troviamo scritto altrove), nel tribunale dove lavorava come aiutante di cancelleria. Era stato un mezzo furfante fin da ragazzo, figlio di un doganiere siciliano e di una venditrice di ombrelli; la sua formazione, più che sui banchi di scuola (dove fu bocciato più volte), avvenne tra i bar e le palestre di pugilato, i tavoli da gioco e gli scaffali delle biblioteche perché leggere sì, quello gli piaceva parecchio. Con quella faccia, quel portamento, quel sorriso un po' così, elegante e fiero, distaccato e sagace, lontano da ogni archetipo del letterato novecentesco.Fu assai prolifico, i suoi romanzi diventavano film e vendevano centinaia di migliaia di copie, La stanza del vescovo (1976, Mondadori) fu il capolavoro; si parla di oltre 4 milioni di libri in circolazione nei primi anni Ottanta. E menomale, così andiamo a ripescare quelli. Perché adesso di nuove edizioni ne circolano poche e all'appello sembra mancare anche Il piatto piange, nonostante una ristampa piuttosto recente. Sia mai: non muoia Piero Chiara assieme a quella provincia (disincantata e viziosa, ma umana) che non esiste più.
il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi (Ansa)
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Donald Trump (Getty Images)
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