2024-12-05
L’ode di Sgarbi e Cacciari alla Maria umana
I due intellettuali riflettono sulla «Madonna del parto» di Piero della Francesca, in cui la Vergine non è ritratta come una maestà ma come una mamma con il figlio in grembo. Un messaggio potente nell’epoca in cui la generatività della donna viene osteggiata.che si manifestano con particolare potenza e si offrono come appiglio nella confusione generale o, volendo, come indicazione della strada da percorrere. Non per niente nelle icone orientali Maria è odigitria, colei che apre la via. La apre nel senso che la svela, e letteralmente - per i cattolici -la dischiude partorendo Cristo. Questo disvelamento è clamorosamente evidente nella Madonna del parto di Piero della Francesca, conservata a Monterchi in provincia di Arezzo. Questo capolavoro realizzato tra il 1455 e il 1465 impreziosisce le copertine di due libri firmati da intellettuali non certo noti per la profonda devozione: Natività. Madre e figlio nell’arte di Vittorio Sgarbi (La Nave di Teseo) e La passione secondo Maria di Massimo Cacciari (il Mulino). «La Natività è il principio di tutto», scrive giustamente Sgarbi andando al cuore della questione. «La sua sintesi è nella immagine della Madre che tiene in braccio il Bambino: essa non mostra il potere di Dio ma la semplicità degli affetti, in Giotto come in Pietro Lorenzetti, come in Vitale da Bologna, come in Giovanni Bellini, come in Bronzino, come in Caravaggio. Maria nell’atto della maternità non è una maestà lontana, in trono, che tiene in braccio un bambino che è già divino: è semplicemente, nella maggior parte delle rappresentazioni, una mamma con il figlio. Per questo la maternità di Maria non è un tema religioso ma un tema umano. Il soggetto è semplicemente la vita». L’umanità totale della madre si fa ammirare nel capolavoro di Piero della Francesca, in cui due angeli aprono il sipario rivelando Maria che si tiene una mano sul ventre pieno, vista in una posa tipica della gravidanza, che rende evidente quella che Cacciari definisce «la realtà del generare», un generare che di questa donna «costituisce l’essenza e il destino». Qui Maria è una «donna in consapevole attesa», e «in nulla passiva». Splendore dell’umanità in quel corpo che appare «un po’ di tre quarti per far vedere che ha la pancia rigonfia, mentre con la mano indica quello che sente dentro. L’Annunciazione», spiega Sgarbi, «è il momento germinale di quella nascita, ma la singolarità del dipinto di Piero della Francesca è quella di far vedere il passare dei mesi nella crescita del volume della pancia: quella madre è una madre che è accomunata a tutte le madri di ogni tempo. Si tratta della celebrazione dell’atto più naturale della vita, che indica la distanza fra le divinità pagane e il Dio cristiano. Da lì, in una linea che segue il tempo della vita che viene alla luce, origina la meravigliosa serie di Madonne con il Bambino dalla sacralità assoluta, come è sacro l’atto della nascita. Sacro e Natività si corrispondono, perché la nostra religione fa coincidere il momento più semplice, più naturale e più inevitabile con il momento più sacro: la Natività coincide con la Maternità. Perfino nel momento più terribile, la passione di Cristo, la morte come atto finale di una vita umana esemplare contiene il tema della maternità, la corrispondenza tra una madre e un figlio. Lo vediamo in quel dipinto formidabile che è la Crocifissione nella cappella più alta del Sacro Monte di Varallo, capolavoro di Gaudenzio Ferrari».Ecco le prime indicazioni utili per il nostro presente. In questo dipinto, come in molte altre natività esaminate dai due autori, troviamo innanzitutto «l’evidenza del corpo» di cui ha recentemente scritto Angelo Scola. Maria è una donna di carne che sta per partorire il Verbo incarnato («il diventare carne della Donna precede quello del Figlio», nota Cacciari). Tale incarnazione è decisamente importante oggi, in un’epoca in cui non si riesce nemmeno a intendersi sul significato della parola «donna», in cui il corpo - per usare le parole di Sylviane Agacinski - viene del tutto disincarnato, sottomesso al puro pensiero. Le donne sono ridotte a definizione su un documento, il corpo viene spolpato e ridotto a ragionamento, ad affermazione della volontà del singolo slegata dalla realtà. Disincarnati sono pure i figli, che in taluni casi sono identificati a prodotti «dell’intenzione», cioè della mente, come se il ventre c’entrasse poco. E ancora figli che vengono strapparti alle madri surrogate, come se tra i due corpi non vi fosse legame. Piero della Francesca ribadisce intanto la sessuazione della donna. Il sipario che gli angeli aprono è aperto sulla origine del mondo, che è senza dubbio la vagina di Courbet, ma non soltanto. In Piero, quella origine è il cosmo creato dalla madre col figlio nella pancia: «Nella sua forma si manifesta il disegno divino del mondo» (Cacciari). La generatività della donna di questi tempi è negata, osteggiata, si pensa di aiutare l’indipendenza femminile cancellandone il tratto fondamentale, la distinzione che la rende altro dall’uomo. In Maria invece c’è femminilità inestinguibile, con due tratti fondamentali: la relazione e il coraggio. Il sì che la Madonna dice all’angelo nell’annunciazione non è segno di sottomissione, ma di affidamento e, ancora, di apertura. Accettazione del rischio, dell’ignoto, del totalmente altro che è Dio ma anche la persona nuova che cresce nelle viscere. È, questo, il coraggio che oggi ci manca. Così come ci manca il senso del limite, cosa che ci rende in realtà meno liberi. Del resto, scriveva Benedetto XVI, «la libertà di un essere umano è la libertà di un essere limitato ed è quindi limitata essa stessa. Possiamo possederla soltanto come libertà condivisa, nella comunione delle libertà: solo se viviamo nel modo giusto l’uno con l’altro e l’uno per l’altro».Consapevolezza del limite significa anche confronto con la fatica e il dolore. Quello che Maria affronta guardando il figlio crocifisso: nel dolore del parto la prefigurazione dello strazio finale. Maria affronta questa sofferenza, la comprende e questo la rende capace di accogliere tutto il dolore del mondo, tutte le lacrime sono stelle sul suo manto blu. Che esempio, per una civiltà che non sa gestire la fatica e vive di soddisfazione immediata. Anche questo è l’avvento: attesa paziente di un appagamento lontano. Una fatica ruvida, certo, ma con una consolazione: la bellezza che ci circonda e di cui l’uomo è capace. Una bellezza che esplode nelle natività, capolavori che invitano a non disperare nonostante tutto.
Thierry Sabine (primo da sinistra) e la Yamaha Ténéré alla Dakar 1985. La sua moto sarà tra quelle esposte a Eicma 2025 (Getty Images)
La Dakar sbarca a Milano. L’edizione numero 82 dell’esposizione internazionale delle due ruote, in programma dal 6 al 9 novembre a Fiera Milano Rho, ospiterà la mostra «Desert Queens», un percorso espositivo interamente dedicato alle moto e alle persone che hanno scritto la storia della leggendaria competizione rallystica.
La mostra «Desert Queens» sarà un tributo agli oltre quarant’anni di storia della Dakar, che gli organizzatori racconteranno attraverso l’esposizione di più di trenta moto, ma anche con memorabilia, foto e video. Ospitato nell’area esterna MotoLive di Eicma, il progetto non si limiterà all’esposizione dei veicoli più iconici, ma offrirà al pubblico anche esperienze interattive, come l’incontro diretto con i piloti e gli approfondimenti divulgativi su navigazione, sicurezza e l’evoluzione dell’equipaggiamento tecnico.
«Dopo il successo della mostra celebrativa organizzata l’anno scorso per il 110° anniversario del nostro evento espositivo – ha dichiarato Paolo Magri, ad di Eicma – abbiamo deciso di rendere ricorrente la realizzazione di un contenuto tematico attrattivo. E questo fa parte di una prospettiva strategica che configura il pieno passaggio di Eicma da fiera a evento espositivo ricco anche di iniziative speciali e contenuti extra. La scelta è caduta in modo naturale sulla Dakar, una gara unica al mondo che fa battere ancora forte il cuore degli appassionati. Grazie alla preziosa collaborazione con Aso (Amaury Sport Organisation organizzatore della Dakar e partner ufficiale dell’iniziativa, ndr.) la mostra «Desert Queens» assume un valore ancora più importante e sono certo che sarà una proposta molto apprezzata dal nostro pubblico, oltre a costituire un’ulteriore occasione di visibilità e comunicazione per l’industria motociclistica».
«Eicma - spiega David Castera, direttore della Dakar - non è solo una fiera ma anche un palcoscenico leggendario, un moderno campo base dove si riuniscono coloro che vivono il motociclismo come un'avventura. Qui, la storia della Dakar prende davvero vita: dalle prime tracce lasciate sulla sabbia dai pionieri agli incredibili risultati di oggi. È una vetrina di passioni, un luogo dove questa storia risuona, ma anche un punto d'incontro dove è possibile dialogare con una comunità di appassionati che vivono la Dakar come un viaggio epico. È con questo spirito che abbiamo scelto di sostenere il progetto «Desert Queens» e di contribuire pienamente alla narrazione della mostra. Partecipiamo condividendo immagini, ricordi ricchi di emozioni e persino oggetti iconici, tra cui la moto di Thierry Sabine, l'uomo che ha osato lanciare la Parigi-Dakar non solo come una gara, ma come un'avventura umana alla scala del deserto».
Continua a leggereRiduci