2021-04-07
«Lockdown inutile: non risolve i problemi»
Giuseppe Remuzzi, direttore dell'istituto Mario Negri: «Letteratura internazionale divisa sulle chiusure, che hanno costi sociali giganteschi. Con le mascherine si evita il 95% delle infezioni. Adesso ci si può curare a casa: i medici di famiglia devono tornare protagonisti».«Potrebbe essere inutile e non risolvere i problemi». Il professor Giuseppe Remuzzi parla del lockdown, l'unica medicina che il ministero della Salute italiano conosce per combattere il Covid e sulla quale Roberto Speranza insiste con ottusa ostinazione. Il luminare bergamasco, direttore dell'istituto di ricerca Mario Negri e a lungo in trincea all'ospedale Papa Giovanni fin dai giorni più bui della pandemia, al contrario ha sempre avuto un approccio problematico se non scettico nei confronti delle chiusure indiscriminate.Alla trasmissione Agorà, su Rai 3, ne ribadisce il motivo dopo la Pasqua in zona rossa: «La letteratura internazionale è molto divisa sull'utilità del lockdown, che ha conseguenze sociali ed economiche gigantesche. Dopo un anno ci sono certezze in merito: la chiusura serve soprattutto a evitare il sovraffollamento degli ospedali e a vicariare le difficoltà che una serie di persone ha nel rispettare gli atteggiamenti di prudenza individuale. Ad altro non serve, se tutti portassero la mascherina il 95% delle infezioni sarebbe evitato». Remuzzi vede la possibilità di una riapertura al più presto («La situazione, anche se lentamente, sta migliorando»), non condivide nei fatti il chiusurismo a prescindere di alcuni colleghi. E sull'inutilità di un aprile agli arresti domiciliari fondato sul pedissequo conto dei decessi è abbastanza chiaro: «In questi giorni abbiamo un livellamento delle persone ricoverate in terapia intensiva. I morti si ridurranno più tardi perché chi muore ora è stato ricoverato diverse settimane fa. Questa è la cosa più particolare di questo virus: le persone che muoiono di polmonite da influenza, di solito molto anziane, lo fanno dopo due o tre giorni e non ce ne accorgiamo. Invece in questo caso si muore dopo settimane di drammatica battaglia in terapia intensiva».Da qui la lettura critica di decisioni politiche determinate da dati vecchi, sui quali si vorrebbe blindare l'Italia ancora per un mese con danni incalcolabili anche psicologici. Tanto più che lo stesso Remuzzi sottolinea come, allo stato attuale, «il Covid si può curare anche a casa perché ora c'è un protocollo». E questo è un altro punto di divergenza rispetto al monolitico approccio del governo (quello di Giuseppe Conte esattamente come quello di Mario Draghi), che non ha mai avuto da Istituto superiore di sanità e Comitato tecnico scientifico indicazioni operative sulle cure più efficaci.Cure che esistono e funzionano: antinfiammatori tipo aspirina o Aulin mentre è sconsigliata la Tachipirina perché, spiega Remuzzi, «il paracetamolo non inibisce l'enzima che scatena l'infiammazione. Il miglioramento è immediato, dopo otto-dieci giorni si fa l'esame del sangue per controllare gli indici di infiammazione, la coagulazione e la funzione renale. Se la situazione si aggrava, si ricorre a cortisone, eparina, antibiotico. Anche ossigeno, a seconda dei casi». Lo studio è stato completato da lui e dal professor Fredy Suter, primario infettivologo a Bergamo, che ha lavorato sul campo, andando a visitare i pazienti casa per casa e intervenendo prima del tampone. L'aspetto vincente è il fattore tempo: con la loro strategia non si aspetta l'esito del tampone ma si interviene ai primi sintomi di possibile infezione da virus cinese: tosse, febbre, stanchezza, dolori muscolari, mal di gola, nausea. Invece della vigile attesa c'è il pronto intervento. A casa, per non intasare gli ospedali. A casa, perché lì si guarisce.«Davanti a questi riscontri una cura precoce scongiura il rischio di una polmonite interstiziale. L'efficacia è determinata da uno studio retrospettivo perché non c'era tempo per una sperimentazione standard», sottolinea Remuzzi, «Abbiamo confrontato due gruppi omogenei di 90 pazienti. Nel primo, trattato immediatamente con gli antinfiammatori, ci sono stati solo due ricoveri. Nel secondo gruppo, trattato con il sistema tradizionale della cosiddetta vigile attesa, i ricoveri sono saliti a 13. L'esperienza clinica è determinante nell'emergenza».In attesa che (dopo un anno) il ministero adotti una cura salvavita discostandosi da una strategia di passività che lo caratterizza dal primo giorno, tornano a essere protagonisti i medici di famiglia. Sempre che ricomincino a visitare i malati e sappiano andare oltre le stucchevoli sindacalizzazioni e (peggio) politicizzazioni degli ordini regionali. È sempre Remuzzi a uscire allo scoperto: «Niente fai da te. Il medico di famiglia torna protagonista nella terapia in raccordo con i colleghi degli ospedali. Ma una cosa è fondamentale, la velocità. Non bisogna fare in ritardo le visite a domicilio perché il virus si moltiplica in sei-otto giorni, con effetti devastanti come abbiamo visto».Parlando con un luminare in trincea si coglie, nettissima, la differenza di caratura e di sprint rispetto agli apparati di supporto al ministero, costretti ad inseguire dati epidemiologici con le pietre nelle scarpe. Teorici della pandemia con un'aspettativa messianica nel vaccino perché incapaci di reagire in altro modo. Rispetto alle polemiche su Astrazeneca, il professor Remuzzi ha una posizione anche in questo caso interessante: «In generale Astrazeneca funziona benissimo e protegge dalla malattia grave al 100% anche sopra i 60 anni, però esiste un problema piccolo ma reale: questo vaccino nelle persone che hanno dai 30 ai 50 anni, al 90% donne, può indurre una forma rarissima di trombosi del seno venoso cerebrale. Si tratta di una malattia nuova, si può farne diagnosi precoce e curare ma non in tutti gli ospedali». Quindi come si procede? «A quella categoria di persone meglio fare un altro vaccino».
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Papa Leone XIV (Getty Images)
Sergio Mattarella con la mamma di Willy Monteiro Duarte (Ansa)
Duilio Poggiolini (Getty Images)