2021-08-21
Ennesima mazzata del lockdown: ha fatto crollare anche la natalità
A nove mesi dalle chiusure della primavera 2020 le nascite sono scese del 55% a Milano, del 33% a Torino e del 12% a Genova. A pesare sulle coppie lo stress dei domiciliari, i dubbi sul futuro e la perdita del lavoro.Altro che baby boom da lockdown. Tra i danni della serrata forzata della primavera dell'anno scorso per contenere la diffusione del Covid-19 c'è anche il crollo della (già bassa) natalità. A Milano, nove mesi dopo il lockdown, le nascite sono più che dimezzate (-55%) rispetto all'anno precedente. A Torino i nuovi nati sono stati il 33% in meno, -12% a Genova. I dati sono in uno studio pubblicato da un gruppo di medici del policlinico San Martino di Genova sulla rivista Public Health. Gli autori hanno confrontato i dati delle nascite registrate tra novembre 2020 e gennaio 2021 - cioè dei bambini concepiti durante il lockdown tra marzo-maggio 2020 - con quelle dello stesso periodo dell'anno precedente, nel triangolo industriale del Nord. A Milano sono nati 2.325 bambini contro i 4.187 dell'anno prima, quando erano più del doppio. All'anagrafe di Torino sono stati registrati un terzo di neonati in meno: 1.043 rispetto ai 1.579 nello stesso trimestre pre-pandemia. A Genova la riduzione è stata più contenuta. La ragione di questa variabilità rimane poco chiara, ma secondo gli autori, oltre a «fattori sociali generali, come la diversa distribuzione per età delle popolazioni nelle tre città», potrebbero aver pesato le diverse misure restrittive che «a Milano e Torino - si legge nello studio - sono state in vigore per un periodo più lungo rispetto a Genova». Come osservano gli autori, «è attualmente assodato che le misure di sanità pubblica adottate per limitare la diffusione virale hanno avuto un forte impatto sul benessere della popolazione, determinando un profondo disagio psicologico. Ansia, frustrazione e noia possono non solo compromettere le attività sociali» ma anche ridurre il desiderio e la motivazione ad avere un figlio. Un altro fattore a pesare sulla bassa natalità, oltre al malessere psicologico e sociale, per gli autori, è l'aumento «della disoccupazione, la riduzione delle entrate finanziarie e l'incertezza economica generale, l'occupazione irregolare, la scarsa sicurezza del lavoro, poche nuove opportunità di impiego e, allo stesso tempo, preoccupazione per i costi da sostenere per il figlio». L'effetto delle catastrofi (guerre, pandemie, eventi naturali) sulla natalità è noto, ma il Covid rischia di essere particolarmente disastroso per il nostro Paese. Come segnala l'articolo, il tasso di fertilità è rimasto «abbastanza stabile negli anni 1913-1918, ma ha avuto un forte calo nel 1919», l'anno successivo all'influenza Spagnola che ha ucciso circa 50 milioni di persone. Tendenze simili si sono registrate anche «recentemente per la Sars (2003) o con il virus Zika, del periodo 2015-16». Il gruppo bancario Hsbc stima che, per il Covid, ci sarà una riduzione della natalità globale fino al 10%-15%. Gli shock sanitari ed economici nei paesi sviluppati hanno sconvolto il calendario delle nascite, favorendone il ritardo, a volte recuperato negli anni successivi come è accaduto dopo l'epidemia della Spagnola o dopo le guerre. Tuttavia, il rinvio si trasforma più spesso in una definitiva rinuncia per le donne nelle fasce di età riproduttive più avanzate. Sotto questo aspetto la situazione italiana appare potenzialmente più seria di quella di altri paesi perché parte già con un numero più alto di culle vuote e un'età a cui le donne hanno figli mediamente più elevata: 32.1 anni rispetto alla media europea di circa 30.8 anni (dati Eurostat). In un'indagine di Demographic Research condotta a marzo-aprile del 2020 (pieno lockdown) sui giovani in età riproduttiva di vari paesi europei, il 37% degli italiani che aveva in programma di concepire un figlio nel 2020 ha dichiarato di aver rinviato, mentre il 36% ha affermato di aver rinunciato completamente all'idea di avere un bambino. Rispetto agli italiani, francesi, tedeschi, inglesi e spagnoli sono risultati meno rinunciatari (rispettivamente 17%, 14%, 19% e 29% dichiarano di non avere più in programma una nascita) e più propensi a rinviare (51%, 55%, 58% e 50% rispettivamente). Non stupisce che l'Istat stimi meno di 400.000 nati nel 2021 contro i 420.00 del 2019. Un altro dato dovrebbe far riflettere. Nel 2020, mentre il numero medio di figli per donna è sceso a 1.27, il numero di animali d'affezione per famiglia è salito a 1.1 (Assalco Zoomark 2020). Si tratta probabilmente di una sorta di meccanismo compensativo affettivo nel breve periodo. Certo, l'incertezza e la chiusura prolungata, portano molte coppie a posticipare l'arrivo di un figlio, ma il rapporto giovani 2021 dell'Istituto Toniolo segnala che il 65% dei 18-34enni considera l'avere un figlio un obiettivo indispensabile per la propria realizzazione. Rinunciano ai figli, pur desiderandoli, soprattutto i giovani con basso status socio-economico e lavoro più incerto.
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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Francesco Nicodemo (Imagoeconomica)