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2019-04-29
Renzi d’Arabia: il mistero
del 25 aprile con il regime saudita
Ansa
A Firenze lo scorso 25 aprile in molti hanno notato l'assenza di Matteo Renzi per le celebrazioni della festa della Liberazione. L'ex premier si è limitato a un contributo su Facebook: «Oggi è il compleanno della libertà per l'Italia e per gli italiani. Un compleanno di valori che vale per tutti, nessuno escluso. Buon 25 aprile a tutte e a tutti». Bravo, ma da dove ha dato la sua benedizione? Dall'Arabia saudita, dove appena due giorni prima il regime di Salman bin Abdulaziz Al Saud aveva fatto inorridire l'opinione pubblica mondiale con l'annuncio di 37 esecuzioni di presunti terroristi e oppositori del governo. Secondo Amnesty international, nell'elenco dei condannati, che avrebbero confessato sotto tortura, c'erano almeno 11 uomini mandati al patibolo per spionaggio a favore dell'Iran e altri 14 «erano accusati di atti violenti in relazione alla loro partecipazione a manifestazioni contro il governo nel 2011-12». Uno di loro all'epoca dei fatti contestati era minorenne.
Una delle condanne, solitamente eseguite per decapitazione o impiccagione, ha avuto come corollario la crocifissione di una delle vittime, per lanciare un monito ancora più forte ai suoi presunti sodali. Dall'inizio dell'anno, in Arabia Saudita sarebbero state eseguite 104 condanne a morte. Insomma il posto giusto dove festeggiare il giorno della Liberazione. Il 24 aprile Renzi e la sua scorta a spese dei contribuenti sono saliti, a quanto ci ha riferito un testimone, su un volo Firenze-Francoforte-Riad e hanno fatto ritorno a Roma Fiumicino il 26 aprile, quando Renzi è riapparso sui social con un breve attacco al governo, scritto mentre stava per ripartire per l'Italia.
In un articolo del 20 aprile lo avevamo soprannominato Matteo d'Arabia per i suoi numerosi viaggi nel Golfo persico e lui non ci ha voluto smentire. Peccato che l'ex premier, solitamente prodigo di informazioni sui suoi spostamenti, in questi giorni sia stato avaro di informazioni e non abbia pubblicato neanche una foto. Ma che cosa è andato a fare a Riad l'ex segretario Pd?
Prima di salire sul volo di ritorno ha incrociato al gate l'ex presidente dell'Inps, Antonio Mastrapasqua, che ci ha raccontato: «Gli ho chiesto che cosa avesse fatto in Arabia e mi ha detto che era lì per uno speech». Probabilmente uno di quei discorsi a pagamento che da qualche tempo va declamando in giro per il mondo, dalla Cina a Dubai, dietro lauto compenso. Il suo bel faccione è finito tra le figurine del sito Celebrity speakers, che mette in vendita gli interventi dei personaggi famosi. Un suo discorso costa circa 20.000 euro, più le spese. Certo non si può escludere che nei suoi viaggi Renzi non approfitti dell'occasione per fare il consulente di aziende o governi. Altra ipotesi è che Renzi, in buoni rapporti con il governo del Qatar, a sua volta in rotta con l'Arabia saudita (che ha varato un embargo contro il piccolo emirato) abbia deciso di improvvisarsi negoziatore.
Ma come detto Riad non è il posto ideale per celebrare il 25 aprile. Infatti anche se il regime ha deciso la riapertura dei cinema e le donne da poco hanno conquistato il diritto a guidare l'auto o andare allo stadio, si tratta di riforme insignificanti rispetto alle rigidissime regole dei fondamentalisti wahabiti. Piccole foglie di fico sventolate dall'erede al trono, che è in attesa di succedere al padre Salman, assurto al trono nel 2015 e che si dice molto malato.
Mbs, come è soprannominato il giovane delfino nato nel 1985, ha un ottimo sponsor in Tony Blair, ma è inciampato nell'ottobre scorso nella tragica fine di Jamal Khashoggi, il giornalista arabo scannato nel consolato saudita di Istanbul da uomini dei servizi segreti dell'Arabia. Nell'ottobre del 2018, dopo quell'orribile delitto, l'ex ministro dello Sport, Luca Lotti, già proconsole di Renzi al governo, si sgolò per ottenere l'annullamento della finale di Supercoppa italiana Juventus-Milan in Arabia in segno di sdegno per l'accaduto. Ma la partita si giocò ugualmente.
Nel processo per l'omicidio di Khashoggi (5 udienze da gennaio), considerato farsesco da più parti, è stata chiesta la condanna a morte per cinque presunti killer e alla sbarra, insieme con altri dieci imputati, è finito anche il numero due dei servizi segreti sauditi. Tutti uomini della ristretta cerchia del principe Mohammed bin Salman, che però, nonostante la Cia lo consideri il mandante, è stato escluso da ogni indagine in quanto, secondo la Procura, all'oscuro dell'operazione. Peccato che Khashoggi si fosse distinto per i durissimi articoli contro l'erede al trono e in particolare contro il sanguinoso intervento militare in Yemen voluto da Mbs quando era capo della Difesa e delle politiche verso il Qatar.
Prima della morte di Khashoggi il principe era attivissimo nel propagandare le sue riforme in Occidente e non a caso, secondo i media inglesi, il Tony Blair institute for global change, un'associazione ufficialmente non profit, nel 2018 ha ricevuto 9 milioni di sterline di donazione da un'agenzia di propaganda del governo saudita.
In seguito alla scoperta dei milioni arrivati dall'Arabia, sono stati sollevati quesiti su alcune delle decisioni dell'istituto e dello stesso Blair, anche perché l'ex premier aveva scritto articoli lusinghieri su Salman durante la sua visita nel Regno Unito, elogiandone l'impegno contro il terrorismo islamico («un esempio» per i politici occidentali) e «l'ambizioso piano di rivoluzionare l'Arabia Saudita, economicamente, socialmente e religiosamente».
Da sempre Renzi definisce Blair il suo modello e anche a lui i rapporti con l'Arabia sono costati qualche critica. Con il fu Rottamatore a Palazzo Chigi, nel 2016, le licenze per le esportazioni di materiale bellico in Arabia riguardarono 427 milioni di euro di armi. Con il governo Gentiloni l'importo è sceso a circa 50 milioni.
Il New York Times svelò che le bombe saudite che hanno provocato migliaia di morti in Yemen, portavano lo stesso codice di fabbricazione. Erano state costruite tutte in Sardegna, negli stabilimenti della Rwm Italia.
Il primo viaggio ufficiale di Renzi in Arabia, per la verità, venne caratterizzato da un piccolo incidente, il cosiddetto Rolex gate. Nell'occasione, era il novembre 2015, Riad offrì alla delegazione italiana numerosi regali esclusivi, fra cui sette orologi della casa svizzera (compresi due modelli del valore di oltre 15.000 euro). All'interno della spedizione italiana sarebbe scoppiata una vera e propria rissa per accaparrarsi i regali più preziosi, una bagarre di cui parlarono i giornali. Nel 2019 Matteo è potuto tornare in Arabia alla chetichella, con la speranza di fare i propri affari lontano dai riflettori. Cosa che per lui sarebbe una vera Liberazione.
Viaggi di lusso scortato dagli agenti dell’Aisi. A spese dei contribuenti
Gli affari personali di Matteo Renzi quanto costano ai contribuenti italiani? Probabilmente una gran quantità di denaro. L'ex premier infatti gode di una scorta di terzo livello, ossia ha diritto a un'auto blindata e ad almeno due angeli custodi che lo seguono anche quando è in giro per i fatti suoi. Pure quando va all'estero a fare discorsi a pagamento.
Infatti il dispositivo, da quanto ha verificato La Verità, è garantito anche fuori dai confini. Ma per avere un seguito armato fuori dai confini servono accordi con i Paesi visitati e non di rado le personalità considerate a rischio si accontentano di farsi assegnare una guardia del corpo sul posto. Renzi, invece, non rinuncia mai ai suoi bodyguard di ordinanza, caposcorta compreso, a cui aveva diritto da premier e di cui gode ancora a 28 mesi dalle sue dimissioni. «Ovunque vada ha la scorta, anche quando si muove privatamente», ammettono fonti di Palazzo Chigi. Per esempio il 4 aprile, quando è volato a Zurigo per non meglio precisati impegni, si è fatto raggiungere dalla macchina blindata con a bordo autista e colonnello. Anche in questo caso, a quanto ci risulta, a pagare è stata l'Aisi, l'Agenzia informazioni e sicurezza interna. Per esempio per andare a Dubai i due guardaspalle dell'ex premier sono costati circa 8.000 euro di soli biglietti aerei (hanno viaggiato in business class come Renzi). Nel conto bisogna aggiungere i pernottamenti negli stessi alberghi dell'ex premier (tutti 5 stelle) che a marzo tra Dubai e, sembra il Qatar, dovrebbero essere stati cinque o sei. Non basta. Nel salatissimo rimborso spese inviato all'Aisi ci sono anche pasti e altre spese. Nei giorni scorsi, Renzi e i suoi due gorilla per andare e tornare dall'Arabia hanno viaggiato con Lufthansa e Saudia (c'erano giornalisti testimoni su entrambi i voli) e i biglietti sono costati anche in questo caso migliaia di euro. Ovviamente si tratta di spese di cui può chiedere conto solo il Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, che deve verificare che le attività degli 007 si svolgano nel rispetto delle leggi.
Un decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 28 febbraio 2013, firmato dall'allora premier Mario Monti, aveva stabilito che a occuparsi della scorta dei premier dovesse essere il Viminale e quindi la polizia di Stato. I servizi segreti, in base al Dpcm, dovrebbero limitarsi a offrire un concorso o un contributo nella protezione del capo del governo. Per questo Paolo Gentiloni e l'attuale premier, Giuseppe Conte, hanno una scorta composta da soli poliziotti. Renzi, invece, continua a essere seguito dai servizi segreti, una protezione che assicura il massimo della riservatezza, come la segretezza delle spese.
Il Bullo orfano di Obama fa girare il curriculum a Riad
Con una porta chiusagli in faccia da Washington e un asse forte con il Qatar, Matteo Renzi, che ha il suo quartier generale al Four Seasons di Firenze, di proprietà dell'emiro di Doha, ci prova con Riad. Escluso dai rapporti tra il Partito democratico italiano e quello statunitense, infatti, l'ex premier è il primo esponente politico occidentale a recarsi in Arabia Saudita dopo la morte del giornalista Jamal Khashoggi.
Renzi era da mesi a caccia di una sponda oltre Atlantico. Ma a metà gennaio la Brookings Institution ha scelto come fellow di un programma di politica estera il suo successore a Palazzo Chigi, Paolo Gentiloni. Parliamo di uno dei centri studi più influenti degli Usa, il cui presidente è il generale John Allen, in passato rappresentante di Barack Obama alla coalizione anti Isis e sostenitori nel 2016 di Hillary Clinton. La Brookings Institution non si può definire di destra o di sinistra: è puro establishment. E può contare su importanti legami con il Qatar: basti pensare che nel 2014 il New York Times rivelò che Doha inviava soldi affinché il centro studi sostenesse la sua politica estera. Per quel posto Renzi avrebbe fatto carte false. Ma la scelta del think tank è ricaduta su Gentiloni, che oggi è il vero ponte, assieme all'ambasciata italiana a Washington, tra il Pd e i dem statunitensi.
A tenere insieme sia Qatar sia Arabia Saudita nel mondo renziano sono gli interessi per il mondo della cybersicurezza di Marco Carrai, il Richelieu dell'ex premier. Che a febbraio è diventato console di Israele a Firenze. E Renzi può contare proprio sugli affari del fido Carrai e sulla sponda con lo Stato ebraico, che ha recentemente riaperto il dialogo con l'Arabia Saudita e continua a essere tiepido con il Qatar (ritenuto troppo vicino a certe milizie jihadiste palestinesi).
La vicinanza tra Italia e Qatar, che il governo gialloblù ha ereditato dai precedenti esecutivi a guida Pd e ha continuato a coltivare, pesa da sempre sulla politica del nostro Paese in Libia. Roma, infatti, visti i rapporti con Doha, è legata al governo di accordo nazionale guidato da Fayez Al Serraj. Quella che si sta combattendo dallo scorso 4 aprile su Tripoli è una guerra per procura per il futuro del sunnismo, la corrente maggioritaria dell'islam (rappresenta circa l'85% del mondo musulmano): da una parte, con Serraj, ci sono Turchia e Qatar (quest'ultimo legato anche alle milizie che combattono attorno alla capitale libica rifacendosi alla Fratellanza musulmana); dall'altra, con il generale Khalifa Haftar, ci sono Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti ed Egitto. In questo quadro è evidente come la scelta del presidente Usa Donald Trump di sostenere l'uomo forte della Cirenaica abbia lasciato l'Italia isolata tra le potenze occidentali.
C'è poi un altro capitolo che racconta gli effetti del rapporto intimo tra Italia e Qatar, che a febbraio ha aperto il suo consolato generale a Milano. Questa settimana si è registrato il primo giorno senza voli di Air Italy (l'ex Meridiana) dallo scalo sardo di Olbia, abbandonato da Qatar Airways (che di Air Italy ha il 49%) mettendo a rischio 500 posti di lavoro. Ufficialmente la ragione è il pasticcio della continuità territoriale. Ma Washington, sempre più lontana da Doha e vicina a Riad, sospetta che Qatar Airways stia cercando di prendersi gioco dell'Italia. Infatti, le statunitensi American Airlines, Delta e United associano i voli diretti di Air Italy da Malpensa (con New York, Miami, Los Angeles e San Francisco) all'azionista Qatar Airways, presente con una quota del 49%. In pratica Air Italy sarebbe il cavallo di Troia di Qatar Airways per aggirare gli accordi che impediscono alla compagnia di Doha di aumentare i suoi collegamenti tra Usa ed Europa. Accuse respinte da Air Italy, ma che non convincono Washington. Basti pensare che sul dossier è intervenuto perfino il segretario di Stato Mike Pompeo, cioè il capo della diplomazia statunitense.
Continua a leggereRiduci
Il senatore semplice ha fatto perdere le sue tracce nel giorno della Liberazione. Era ospite dei sauditi, che in quei giorni ordinavano 37 esecuzioni. Gli stessi che da premier gli consegnarono una valigia di Rolex.Auto blindate e gorilla al seguito ovunque, garantiti dai Servizi per la sicurezza interna come quando era a Palazzo Chigi.Con la porta chiusa a Washington e un asse forte col Qatar, l'ex Rottamatore cerca nuovi sbocchi. Il ruolo cruciale di Marco Carrai.Lo speciale contiene tre articoli.A Firenze lo scorso 25 aprile in molti hanno notato l'assenza di Matteo Renzi per le celebrazioni della festa della Liberazione. L'ex premier si è limitato a un contributo su Facebook: «Oggi è il compleanno della libertà per l'Italia e per gli italiani. Un compleanno di valori che vale per tutti, nessuno escluso. Buon 25 aprile a tutte e a tutti». Bravo, ma da dove ha dato la sua benedizione? Dall'Arabia saudita, dove appena due giorni prima il regime di Salman bin Abdulaziz Al Saud aveva fatto inorridire l'opinione pubblica mondiale con l'annuncio di 37 esecuzioni di presunti terroristi e oppositori del governo. Secondo Amnesty international, nell'elenco dei condannati, che avrebbero confessato sotto tortura, c'erano almeno 11 uomini mandati al patibolo per spionaggio a favore dell'Iran e altri 14 «erano accusati di atti violenti in relazione alla loro partecipazione a manifestazioni contro il governo nel 2011-12». Uno di loro all'epoca dei fatti contestati era minorenne.Una delle condanne, solitamente eseguite per decapitazione o impiccagione, ha avuto come corollario la crocifissione di una delle vittime, per lanciare un monito ancora più forte ai suoi presunti sodali. Dall'inizio dell'anno, in Arabia Saudita sarebbero state eseguite 104 condanne a morte. Insomma il posto giusto dove festeggiare il giorno della Liberazione. Il 24 aprile Renzi e la sua scorta a spese dei contribuenti sono saliti, a quanto ci ha riferito un testimone, su un volo Firenze-Francoforte-Riad e hanno fatto ritorno a Roma Fiumicino il 26 aprile, quando Renzi è riapparso sui social con un breve attacco al governo, scritto mentre stava per ripartire per l'Italia.In un articolo del 20 aprile lo avevamo soprannominato Matteo d'Arabia per i suoi numerosi viaggi nel Golfo persico e lui non ci ha voluto smentire. Peccato che l'ex premier, solitamente prodigo di informazioni sui suoi spostamenti, in questi giorni sia stato avaro di informazioni e non abbia pubblicato neanche una foto. Ma che cosa è andato a fare a Riad l'ex segretario Pd?Prima di salire sul volo di ritorno ha incrociato al gate l'ex presidente dell'Inps, Antonio Mastrapasqua, che ci ha raccontato: «Gli ho chiesto che cosa avesse fatto in Arabia e mi ha detto che era lì per uno speech». Probabilmente uno di quei discorsi a pagamento che da qualche tempo va declamando in giro per il mondo, dalla Cina a Dubai, dietro lauto compenso. Il suo bel faccione è finito tra le figurine del sito Celebrity speakers, che mette in vendita gli interventi dei personaggi famosi. Un suo discorso costa circa 20.000 euro, più le spese. Certo non si può escludere che nei suoi viaggi Renzi non approfitti dell'occasione per fare il consulente di aziende o governi. Altra ipotesi è che Renzi, in buoni rapporti con il governo del Qatar, a sua volta in rotta con l'Arabia saudita (che ha varato un embargo contro il piccolo emirato) abbia deciso di improvvisarsi negoziatore.Ma come detto Riad non è il posto ideale per celebrare il 25 aprile. Infatti anche se il regime ha deciso la riapertura dei cinema e le donne da poco hanno conquistato il diritto a guidare l'auto o andare allo stadio, si tratta di riforme insignificanti rispetto alle rigidissime regole dei fondamentalisti wahabiti. Piccole foglie di fico sventolate dall'erede al trono, che è in attesa di succedere al padre Salman, assurto al trono nel 2015 e che si dice molto malato.Mbs, come è soprannominato il giovane delfino nato nel 1985, ha un ottimo sponsor in Tony Blair, ma è inciampato nell'ottobre scorso nella tragica fine di Jamal Khashoggi, il giornalista arabo scannato nel consolato saudita di Istanbul da uomini dei servizi segreti dell'Arabia. Nell'ottobre del 2018, dopo quell'orribile delitto, l'ex ministro dello Sport, Luca Lotti, già proconsole di Renzi al governo, si sgolò per ottenere l'annullamento della finale di Supercoppa italiana Juventus-Milan in Arabia in segno di sdegno per l'accaduto. Ma la partita si giocò ugualmente.Nel processo per l'omicidio di Khashoggi (5 udienze da gennaio), considerato farsesco da più parti, è stata chiesta la condanna a morte per cinque presunti killer e alla sbarra, insieme con altri dieci imputati, è finito anche il numero due dei servizi segreti sauditi. Tutti uomini della ristretta cerchia del principe Mohammed bin Salman, che però, nonostante la Cia lo consideri il mandante, è stato escluso da ogni indagine in quanto, secondo la Procura, all'oscuro dell'operazione. Peccato che Khashoggi si fosse distinto per i durissimi articoli contro l'erede al trono e in particolare contro il sanguinoso intervento militare in Yemen voluto da Mbs quando era capo della Difesa e delle politiche verso il Qatar.Prima della morte di Khashoggi il principe era attivissimo nel propagandare le sue riforme in Occidente e non a caso, secondo i media inglesi, il Tony Blair institute for global change, un'associazione ufficialmente non profit, nel 2018 ha ricevuto 9 milioni di sterline di donazione da un'agenzia di propaganda del governo saudita.In seguito alla scoperta dei milioni arrivati dall'Arabia, sono stati sollevati quesiti su alcune delle decisioni dell'istituto e dello stesso Blair, anche perché l'ex premier aveva scritto articoli lusinghieri su Salman durante la sua visita nel Regno Unito, elogiandone l'impegno contro il terrorismo islamico («un esempio» per i politici occidentali) e «l'ambizioso piano di rivoluzionare l'Arabia Saudita, economicamente, socialmente e religiosamente».Da sempre Renzi definisce Blair il suo modello e anche a lui i rapporti con l'Arabia sono costati qualche critica. Con il fu Rottamatore a Palazzo Chigi, nel 2016, le licenze per le esportazioni di materiale bellico in Arabia riguardarono 427 milioni di euro di armi. Con il governo Gentiloni l'importo è sceso a circa 50 milioni.Il New York Times svelò che le bombe saudite che hanno provocato migliaia di morti in Yemen, portavano lo stesso codice di fabbricazione. Erano state costruite tutte in Sardegna, negli stabilimenti della Rwm Italia.Il primo viaggio ufficiale di Renzi in Arabia, per la verità, venne caratterizzato da un piccolo incidente, il cosiddetto Rolex gate. Nell'occasione, era il novembre 2015, Riad offrì alla delegazione italiana numerosi regali esclusivi, fra cui sette orologi della casa svizzera (compresi due modelli del valore di oltre 15.000 euro). All'interno della spedizione italiana sarebbe scoppiata una vera e propria rissa per accaparrarsi i regali più preziosi, una bagarre di cui parlarono i giornali. 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Pure quando va all'estero a fare discorsi a pagamento. Infatti il dispositivo, da quanto ha verificato La Verità, è garantito anche fuori dai confini. Ma per avere un seguito armato fuori dai confini servono accordi con i Paesi visitati e non di rado le personalità considerate a rischio si accontentano di farsi assegnare una guardia del corpo sul posto. Renzi, invece, non rinuncia mai ai suoi bodyguard di ordinanza, caposcorta compreso, a cui aveva diritto da premier e di cui gode ancora a 28 mesi dalle sue dimissioni. «Ovunque vada ha la scorta, anche quando si muove privatamente», ammettono fonti di Palazzo Chigi. Per esempio il 4 aprile, quando è volato a Zurigo per non meglio precisati impegni, si è fatto raggiungere dalla macchina blindata con a bordo autista e colonnello. Anche in questo caso, a quanto ci risulta, a pagare è stata l'Aisi, l'Agenzia informazioni e sicurezza interna. Per esempio per andare a Dubai i due guardaspalle dell'ex premier sono costati circa 8.000 euro di soli biglietti aerei (hanno viaggiato in business class come Renzi). Nel conto bisogna aggiungere i pernottamenti negli stessi alberghi dell'ex premier (tutti 5 stelle) che a marzo tra Dubai e, sembra il Qatar, dovrebbero essere stati cinque o sei. Non basta. Nel salatissimo rimborso spese inviato all'Aisi ci sono anche pasti e altre spese. Nei giorni scorsi, Renzi e i suoi due gorilla per andare e tornare dall'Arabia hanno viaggiato con Lufthansa e Saudia (c'erano giornalisti testimoni su entrambi i voli) e i biglietti sono costati anche in questo caso migliaia di euro. Ovviamente si tratta di spese di cui può chiedere conto solo il Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, che deve verificare che le attività degli 007 si svolgano nel rispetto delle leggi. Un decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 28 febbraio 2013, firmato dall'allora premier Mario Monti, aveva stabilito che a occuparsi della scorta dei premier dovesse essere il Viminale e quindi la polizia di Stato. I servizi segreti, in base al Dpcm, dovrebbero limitarsi a offrire un concorso o un contributo nella protezione del capo del governo. Per questo Paolo Gentiloni e l'attuale premier, Giuseppe Conte, hanno una scorta composta da soli poliziotti. Renzi, invece, continua a essere seguito dai servizi segreti, una protezione che assicura il massimo della riservatezza, come la segretezza delle spese. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/lo-strano-25-aprile-di-renzi-darabia-nel-paese-che-crocifigge-i-dissidenti-2635780645.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="il-bullo-orfano-di-obama-fa-girare-il-curriculum-a-riad" data-post-id="2635780645" data-published-at="1765409557" data-use-pagination="False"> Il Bullo orfano di Obama fa girare il curriculum a Riad Con una porta chiusagli in faccia da Washington e un asse forte con il Qatar, Matteo Renzi, che ha il suo quartier generale al Four Seasons di Firenze, di proprietà dell'emiro di Doha, ci prova con Riad. Escluso dai rapporti tra il Partito democratico italiano e quello statunitense, infatti, l'ex premier è il primo esponente politico occidentale a recarsi in Arabia Saudita dopo la morte del giornalista Jamal Khashoggi. Renzi era da mesi a caccia di una sponda oltre Atlantico. Ma a metà gennaio la Brookings Institution ha scelto come fellow di un programma di politica estera il suo successore a Palazzo Chigi, Paolo Gentiloni. Parliamo di uno dei centri studi più influenti degli Usa, il cui presidente è il generale John Allen, in passato rappresentante di Barack Obama alla coalizione anti Isis e sostenitori nel 2016 di Hillary Clinton. La Brookings Institution non si può definire di destra o di sinistra: è puro establishment. E può contare su importanti legami con il Qatar: basti pensare che nel 2014 il New York Times rivelò che Doha inviava soldi affinché il centro studi sostenesse la sua politica estera. Per quel posto Renzi avrebbe fatto carte false. Ma la scelta del think tank è ricaduta su Gentiloni, che oggi è il vero ponte, assieme all'ambasciata italiana a Washington, tra il Pd e i dem statunitensi. A tenere insieme sia Qatar sia Arabia Saudita nel mondo renziano sono gli interessi per il mondo della cybersicurezza di Marco Carrai, il Richelieu dell'ex premier. Che a febbraio è diventato console di Israele a Firenze. E Renzi può contare proprio sugli affari del fido Carrai e sulla sponda con lo Stato ebraico, che ha recentemente riaperto il dialogo con l'Arabia Saudita e continua a essere tiepido con il Qatar (ritenuto troppo vicino a certe milizie jihadiste palestinesi). La vicinanza tra Italia e Qatar, che il governo gialloblù ha ereditato dai precedenti esecutivi a guida Pd e ha continuato a coltivare, pesa da sempre sulla politica del nostro Paese in Libia. Roma, infatti, visti i rapporti con Doha, è legata al governo di accordo nazionale guidato da Fayez Al Serraj. Quella che si sta combattendo dallo scorso 4 aprile su Tripoli è una guerra per procura per il futuro del sunnismo, la corrente maggioritaria dell'islam (rappresenta circa l'85% del mondo musulmano): da una parte, con Serraj, ci sono Turchia e Qatar (quest'ultimo legato anche alle milizie che combattono attorno alla capitale libica rifacendosi alla Fratellanza musulmana); dall'altra, con il generale Khalifa Haftar, ci sono Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti ed Egitto. In questo quadro è evidente come la scelta del presidente Usa Donald Trump di sostenere l'uomo forte della Cirenaica abbia lasciato l'Italia isolata tra le potenze occidentali. C'è poi un altro capitolo che racconta gli effetti del rapporto intimo tra Italia e Qatar, che a febbraio ha aperto il suo consolato generale a Milano. Questa settimana si è registrato il primo giorno senza voli di Air Italy (l'ex Meridiana) dallo scalo sardo di Olbia, abbandonato da Qatar Airways (che di Air Italy ha il 49%) mettendo a rischio 500 posti di lavoro. Ufficialmente la ragione è il pasticcio della continuità territoriale. Ma Washington, sempre più lontana da Doha e vicina a Riad, sospetta che Qatar Airways stia cercando di prendersi gioco dell'Italia. Infatti, le statunitensi American Airlines, Delta e United associano i voli diretti di Air Italy da Malpensa (con New York, Miami, Los Angeles e San Francisco) all'azionista Qatar Airways, presente con una quota del 49%. In pratica Air Italy sarebbe il cavallo di Troia di Qatar Airways per aggirare gli accordi che impediscono alla compagnia di Doha di aumentare i suoi collegamenti tra Usa ed Europa. Accuse respinte da Air Italy, ma che non convincono Washington. Basti pensare che sul dossier è intervenuto perfino il segretario di Stato Mike Pompeo, cioè il capo della diplomazia statunitense.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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