
Dopo la promessa di Luigi Di Maio di togliere il reddito di cittadinanza alla Saraceni, nulla. Il padre ex magistrato difende in tv la donna.Seicentoventitré euro e un tuffo nella notte della Repubblica. La vicenda del reddito di cittadinanza a Federica Saraceni, ex brigatista rossa condannata a 21 anni e 6 mesi per associazione con finalità terroristiche e per l'omicidio del giuslavorista Massimo D'Antona, si arricchisce di una nuova puntata e di una inquietante domanda. La puntata è televisiva, la domanda è immediata: quei denari li percepisce ancora? Il quesito aleggia da domenica, quando a Non è l'Arena (La7) il conduttore Massimo Giletti ha ospitato in studio il padre dell'ex maestra d'asilo scivolata nel gorgo del terrore. L'ex magistrato e politico di sinistra (fu deputato dei Verdi e del Pds) Luigi Saraceni, così come aveva fatto giorni fa a Radio Capital, prende le difese della figlia e di quello stipendio dello Stato smascherato dalla Verità. Per giustificare l'assegno pronuncia una frase che stride come un'unghia sul vetro: «Sono passati ormai 20 anni, mia figlia è una persona completamente diversa, lo dicono anche i giudici che l'hanno condannata. È una persona che si è ravveduta, è redenta. Non è più la ragazzaccia di prima». Un atteggiamento forse giustificabile per un padre, del tutto fuori luogo per un uomo di legge, che scatena la reazione di Giletti («Perché non ha chiesto scusa alla vedova D'Antona?») e fa ripiombare la platea dentro il gelo e il buio di quelle vicende. Soprattutto quando l'ospite dice convinto: «Mia figlia si è sottoposta alle restrizioni di una condanna ingiusta, perché quella condanna fu ingiusta. Le sentenze possono essere perfettamente legali ma sommamente ingiuste». Al culmine dell'indignazione, il conduttore legge le parole fissate sul fondale dello studio, scritte a suo tempo dalla Saraceni in memoria del brigatista Mario Galesi: «Non eri solo neppure nella tua scelta che in tanti abbiamo ritenuto coraggiosa e coerente. Hai dato la vita per sconfiggere l'ingiustizia di questo mondo. Grazie dolce Mario e onore a te». Il dolce Mario partecipò agli omicidi di Massimo D'Antona e Marco Biagi, fu uno dei leader delle Nuove brigate rosse, ucciso in uno scontro a fuoco con le forze dell'ordine sul treno Roma-Firenze. Parlare di coraggio e di onore, trasformare un assassino in Robin Hood crea ancora una volta un corto circuito, come se non fossero trascorsi 12 anni ma 12 minuti dal processo. Luigi Saraceni prova a dissociarsi: «Quella lettera suscita ribrezzo anche a me». Lo ripete più volte, poi si arrende davanti all'evidenza. Fu uno dei fondatori di Magistratura democratica, da avvocato difese Apo Ocalan e Carlo De Benedetti, ma ora - a 82 anni - sembra stanco e smarrito. «La più grande sofferenza della mia vita me l'ha data mia figlia, siamo parte offesa anche noi». E rivolgendosi a Giletti lo accusa: «Lei è un bravo demagogo». La frittata è di nuovo fatta, la foto di Galesi trovata appesa alla parete della camera della figlia (era il suo Che Guevara) non perdona. E la frase sarcastica «Marco Biagi non pedala più», inserita nella rivendicazione di quell'omicidio non così lontano da essere stato dimenticato, si ripropone nella memoria di ciascuno. Ancora più dura, ancora più forte delle parole di Daniela Santanchè: «Sua figlia ha fatto in carcere solo cinque anni, poi è stata messa ai domiciliari. Che oggi una terrorista che voleva sovvertire lo Stato prenda la paghetta dallo Stato lo trovo ignobile. Con un padre che non è un miserabile, con la famiglia che ha pagato fior di avvocati. E si mantenesse la figlia, e se la figlia non è in grado di mantenersi torni in carcere. Perché è vergognoso che non abbia scontato in carcere fino in fondo la sua pena».La puntata è una traversata del deserto, in Italia il terrorismo ha lasciato strascichi psicologici micidiali e la politica non è mai stata capace di stemperarli, di chiudere una stagione con autorevolezza e senso di giustizia. Così è stata Olga D'Antona a dover pronunciare le parole più sagge: «Alla notizia ho provato un grande senso di ingiustizia. Ma l'ingiustizia non la subisco io, la subiscono tutti i cittadini. Quella norma va rivista». Subito dopo quell'uscita, Luigi Di Maio su Facebook ha solennemente promesso che il reddito di cittadinanza sarebbe stato tolto alla Saraceni. «Non lo possiamo permettere, per noi è molto importante intervenire. Ho sentito il ministro Alfonso Bonafede: mi ha detto che non c'è bisogno nemmeno di una legge per sbloccare questa ingiustizia. Ma se dovesse servire presentiamo un emendamento a uno dei tanti decreti che abbiamo in Parlamento e blocchiamo l'erogazione del reddito di cittadinanza a questa brigatista».Dopo lo spot social però è sceso il silenzio. Una settimana di nulla, rotta soltanto dalle polemiche mediatiche e dalla corrida in diretta con Giletti. Non una comunicazione, un decreto, una conferenza stampa, un annuncio. Niente. Nel frattempo la moneta corre ed è presumibile che la Saraceni abbia incassato anche i 623 euro di settembre. Il ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, ha promesso «un incontro tecnico per avviare l'iter di modifica della disciplina di accesso al reddito». Parole che spaventano, lente ed equivoche come le procedure.
Scontri fra pro-Pal e Polizia a Torino. Nel riquadro, Walter Mazzetti (Ansa)
La tenuità del reato vale anche se la vittima è un uomo in divisa. La Corte sconfessa il principio della sua ex presidente Cartabia.
Ennesima umiliazione per le forze dell’ordine. Sarà contenta l’eurodeputata Ilaria Salis, la quale non perde mai occasione per difendere i violenti e condannare gli agenti. La mano dello Stato contro chi aggredisce poliziotti o carabinieri non è mai stata pesante, ma da oggi potrebbe diventare una piuma. A dare il colpo di grazia ai servitori dello Stato che ogni giorno vengono aggrediti da delinquenti o facinorosi è una sentenza fresca di stampa, destinata a far discutere.
Mohamed Shahin (Ansa). Nel riquadro, il vescovo di Pinerolo Derio Olivero (Imagoeconomica)
Per il Viminale, Mohamed Shahin è una persona radicalizzata che rappresenta una minaccia per lo Stato. Sulle stragi di Hamas disse: «Non è violenza». Monsignor Olivero lo difende: «Ha solo espresso un’opinione».
Per il Viminale è un pericoloso estremista. Per la sinistra e la Chiesa un simbolo da difendere. Dalla Cgil al Pd, da Avs al Movimento 5 stelle, dal vescovo di Pinerolo ai rappresentanti della Chiesa valdese, un’alleanza trasversale e influente è scesa in campo a sostegno di un imam che è in attesa di essere espulso per «ragioni di sicurezza dello Stato e prevenzione del terrorismo». Un personaggio a cui, già l’8 novembre 2023, le autorità negarono la cittadinanza italiana per «ragioni di sicurezza dello Stato». Addirittura un nutrito gruppo di antagonisti, anche in suo nome, ha dato l’assalto alla redazione della Stampa. Una saldatura tra mondi diversi che non promette niente di buono.
Nei riquadri, Letizia Martina prima e dopo il vaccino (IStock)
Letizia Martini, oggi ventiduenne, ha già sintomi in seguito alla prima dose, ma per fiducia nel sistema li sottovaluta. Con la seconda, la situazione precipita: a causa di una malattia neurologica certificata ora non cammina più.
«Io avevo 18 anni e stavo bene. Vivevo una vita normale. Mi allenavo. Ero in forma. Mi sono vaccinata ad agosto del 2021 e dieci giorni dopo la seconda dose ho iniziato a stare malissimo e da quel momento in poi sono peggiorata sempre di più. Adesso praticamente non riesco a fare più niente, riesco a stare in piedi a malapena qualche minuto e a fare qualche passo in casa, ma poi ho bisogno della sedia a rotelle, perché se mi sforzo mi vengono dolori lancinanti. Non riesco neppure ad asciugarmi i capelli perché le braccia non mi reggono…». Letizia Martini, di Rimini, oggi ha 22 anni e la vita rovinata a causa degli effetti collaterali neurologici del vaccino Pfizer. Già subito dopo la prima dose aveva avvertito i primi sintomi della malattia, che poi si è manifestata con violenza dopo la seconda puntura, tant’è che adesso Letizia è stata riconosciuta invalida all’80%.
Maria Rita Parsi critica la gestione del caso “famiglia nel bosco”: nessun pericolo reale per i bambini, scelta brusca e dannosa, sistema dei minori da ripensare profondamente.






