2020-11-23
Lo spirito finlandese. La «sisu» che fermò Stalin può sfidare anche la morte
Con questa parola gli scandinavi indicano un insieme di coraggio, ferocia e tenacia. È così che riuscirono a resistere ai sovietici nella leggendaria Guerra d'inverno.Era il 30 novembre del 1939, 79 anni fa, quando l'Armata rossa dell'Unione Sovietica attaccò la Finlandia, credendo di spaventarla nel tempo di un nanosecondo e non dover nemmeno combattere per ottenere ciò che voleva. Le cose andarono ben diversamente: la piccola Finlandia fece il gesto dell'ombrello cantando alla bestiona bolscevica «Bella ciao» nel senso di: «Ciao ciao, cara, a te e alla tua presunzione, io venderò carissima la pelle». L'eroica reazione finlandese ovviamente colpì l'informazione internazionale, che la spiegò evocando la «sisu». L'8 gennaio del 1940 il Time scriveva: «I finlandesi hanno una cosa che loro chiamano sisu. È un insieme di spavalderia e coraggio, di ferocia e tenacia, capacità di continuare a lottare quando la maggior parte della gente si sarebbe già ritirata, e di lottare con la volontà di vincere. I finlandesi traducono sisu con "spirito finlandese", ma è una parola molto più profonda. La settimana scorsa i finlandesi hanno dato al mondo un buon esempio di sisu portando la guerra all'interno del territorio russo su un fronte, mentre su un altro resistevano ad attacchi sanguinosi sferrati da un esercito russo rinforzato. Nel territorio disabitato che forma la maggior parte della frontiera russo-finlandese tra il lago Ladoga e il Mare glaciale artico, i finlandesi hanno avuto assolutamente la meglio». E, il 14 gennaio del 1940, il New York Times scriveva che sisu era «la parola che spiega la Finlandia», la «parola preferita dei finlandesi» e «la più bella di tutte le parole finlandesi».In effetti, solo una fiducia estrema nelle proprie capacità poteva dare la forza di contrastare una potenza che avrebbe spaventato chiunque. Sarebbe stato sicuramente più facile accettare le richieste sovietiche, determinate innanzitutto dal desiderio di controllare l'ingresso marino al golfo di Finlandia e poi tutelare Leningrado, all'epoca capitale, situata a soli 32 km dal confine finlandese, anche sulla terra: se la Finlandia avesse arretrato la sua frontiera sull'istmo di Carelia, Leningrado si sarebbe allora trovata a 70 km dal confine, cioè molto oltre il raggio d'azione di eventuali artiglierie pesanti. Considerata la richiesta di un ulteriore pezzo a nord, appartenente alla penisola di Rybačij, che avrebbe migliorato la difesa russa anche dalla Norvegia e dall'Oceano artico, in totale Stalin voleva 2.761 km² di terra finlandese che, una volta sovietici, avrebbero rivestito una grande importanza strategica militare nella Seconda guerra mondiale da poco iniziata. Per dirla con una nota battuta sul comunismo, la richiesta non era da comunisti, cioè adusi a considerare solo proprio il proprio e anche proprio l'altrui, al 100%. Lo era solo al 99%, perché in cambio di una cessione pacifica Stalin avrebbe ceduto 5.529 km² di territorio sovietico nei distretti di Repola e Porajärvi, nella Carelia orientale. La Finlandia aveva già acquisito lottando la sua indipendenza dall'Unione Sovietica, alla quale apparteneva in quanto parte del Regno di Svezia che l'Unione Sovietica aveva annesso alle sue terre e poi tentato di russificare anche culturalmente. L'indipendenza era stata ottenuta definitivamente soltanto nel 1917 e non senza strascichi, perché era seguita una guerra civile tra finlandesi comunisti aizzati dalla Russia bolscevica e «bianchi» supportati dai tedeschi, vinta dai finlandesi che cacciarono i comunisti in Unione Sovietica e dichiararono fuorilegge il partito comunista.Ebbene, si capisce come la Finlandia non avesse voglia di assecondare alcuna pretesa da parte della patria dei blini. Così, dopo una serie di colloqui infruttuosi, l'Unione Sovietica attaccò. Nella sua autobiografia, Krusciov raccontò così la vicenda: «Tutto ciò che avevamo da fare era alzare appena un po' la nostra voce e i finlandesi avrebbero obbedito. Se ciò non avesse funzionato, ci sarebbe bastato sparare un colpo e i finlandesi avrebbero alzato in alto le mani e si sarebbero arresi. O almeno così noi credevamo... Nessuno di noi pensava che ci sarebbe stata la guerra. Eravamo sicuri che i finlandesi avrebbero accettato le nostre richieste senza costringerci alla guerra... Ci si potrebbe chiedere se avevamo qualche diritto legale o morale per le nostre azioni contro la Finlandia. Di certo non avevamo alcun diritto legale. Per quanto riguarda la moralità, il nostro desiderio di proteggere noi stessi era una sufficiente giustificazione ai nostri occhi». Il pensiero di Krusciov, per quanto cinico, non era così irrealistico. Altre nazioni avrebbero assecondato le richieste già al momento dei negoziati, altre si sarebbero immediatamente arrese dopo l'attacco, ma la Finlandia no e partì quella Guerra d'inverno, anche nota come Guerra russo-finlandese, che la consegnò alla leggenda. La Russia attaccò nella regione artica, nella zona di Salla, nella regione di Suomussalmi, nella Carelia, con l'obiettivo di bloccare i contatti finlandesi via terra con la Norvegia e via mare con gli Stati Uniti. Ma la Finlandia, appunto, decise di vendere cara la pelle. All'inizio i russi parvero avanzare, poi iniziarono ad accusare i colpi della resistenza finlandese, una vera e propria guerriglia. Allora l'Unione Sovietica aumentò l'intensità dell'attacco: il 20 dicembre 1939 il generale Mereckov attaccò sulla linea di Mannerheim, per 30 km di fronte con 12 divisioni a ondate successive, ma la Finlandia resistette ancora. Andò avanti così fino all'articolo iniziale del Time e poi anche oltre, attacchi e contrattacchi. I finlandesi riuscirono a non farsi massacrare dai sovietici, nonostante fossero oggettivamente in minoranza: ben oltre un milione i soldati sovietici, con oltre 2.400 carri armati e 2.700 unità di supporto aereo contro più o meno 300.000 soldati finlandesi con 32 carri armati e 280 unità aeree. Eppure i numeri finali non furono catastrofici per la Finlandia: tra i 22.662 e i 26.849 morti e dispersi contro i 126.875 morti e dispersi sovietici, 43.500 feriti contro i 264.908 del nemico, tra 800 e 1.100 prigionieri contro i quasi 6.000 russi, 62 aerei contro 521. Insomma, vendettero decisamente molto cara la pelle e quando accettarono i termini di pace avanzati dai sovietici, il 12 marzo 1940, col trattato di pace di Mosca, dovettero cedere 64.750 km² di territorio. Non solo quelli richiesti dall'Unione Sovietica, ma anche la Carelia e Salla. Però erano riusciti a riprendersi l'area di Petsamo col suo porto, occupati dai sovietici a inizio guerra, ripristinando il proprio accesso al Mar glaciale artico.Ci fu anche una seconda puntata: dopo la Guerra d'inverno, la Finlandia restò isolata, poi si riavvicinò alla Germania nazista e condusse la cosiddetta «guerra di continuazione» contro l'Unione Sovietica al fianco delle potenze dell'Asse nell'operazione Barbarossa. Non riuscirono a riprendere quanto perduto con la Guerra d'inverno, non tutto. In quest'altra puntata russo-finnica della Seconda guerra mondiale la Finlandia cedette Petsamo e ogni pretesa sui territori persi durante la Guerra d'inverno, concesse la penisola di Porkkala per 50 anni (poi restituita dall'Urss nel 1956) e dovette anche rifondere 300 milioni di dollari in riparazioni di guerra a Mosca. Tuttavia, rispetto allo sbriciolamento del resto dell'Europa orientale nei confronti della vittoriosa Unione Sovietica, la Finlandia, grazie alla sisu, ne uscì con molti meno danni perché aveva espulso il comunismo dai suoi confini e lo aveva anche combattuto al di fuori di essi. Un risultato, appunto, leggendario. Tanto che, durante la Guerra fredda che contrappose la democrazia statunitense da una parte e il comunismo russo dall'altra, essa rimase tranquillamente neutrale e non fu mai disturbata dall'Unione sovietica. Come fecero i finlandesi a resistere così eroicamente ai sovietici? Cosa li spinse, ancor prima, a farlo? Nel romanzo Il vecchio e il mare Ernest Hemingway fa dire a Santiago, mentre parla a sé stesso, fronteggiando l'attacco degli squali che gli mangeranno il gigantesco marlin che ha catturato: «Ora non è il momento di pensare a quello che non hai. Pensa a quello che puoi fare con quello che hai». È quanto fecero i finlandesi. Impiegarono le risorse esistenti, focalizzandosi soltanto su quelle e sull'obiettivo di difendersi dai sovietici: perciò vi riuscirono. Essi conoscevano il territorio finlandese, in particolare le zone di guerra con moltissimi piccoli laghi, i russi no, e questo, in un momento stagionale particolare con temperature bassissime e gli effetti della notte polare, detta kaamos, con la sua pesante diminuzione delle ore di luce diurna, fece loro dare gran filo da torcere a quei sovietici che invece si credevano prima talmente imponenti da ottenere quanto volevano solo chiedendolo, poi dovendo combattere solo giorni, forse ore.Rimase nella leggenda anche l'uso di tecniche di combattimento fortemente personalizzate, quasi un'evoluzione dell'«usare ciò che si ha» hemingwayano in «usare ciò che si è»: indossando tute bianche, i finlandesi riuscirono a mimetizzarsi nelle immense distese di neve, mentre i russi, con le tute scure, erano più che visibili. Si muovevano agilmente sugli sci, applicando tecniche di guerriglia adattate usando, di nuovo, ciò che c'era, per esempio bloccando con tronchi e piedi di porco i cingoli dei carri armati, che l'Unione Sovietica aveva schierato in numero abnorme, o incendiandoli con le molotov. Per questa ragione quel conflitto che beffò il comunismo è rimasto nella storia e, con esso, la sisu come principale arma finlandese. Un'arma talmente ispirante da travalicare anche il conflitto in questione. Nel Time del 10 maggio 1943 si scriveva che la sisu «indica un tipo di perseveranza tipicamente finlandese, capace di sfidare la morte stessa». Ancora, a Seconda guerra mondiale ormai lontana, durante le Olimpiadi estive del 1952, la sisu era l'ostinazione di non parteggiare nella guerra fredda: «Helsinki, la città che ospita i Giochi olimpici, 400.000 abitanti, era in fermento... I finlandesi non si fanno illusioni sul loro futuro, ma sono determinati a non cadere in un altro scontro con un vicino potente e predatore, 66 volte più grande della Finlandia (la Finlandia è il sesto Paese europeo per superficie; per popolazione, è il terzo Paese più piccolo)». Nel 1960 Nigel Dennis scrisse, sulla New York Times Book Review del 31 luglio 1960: «La sisu è una sorta di capacità di resistenza che i finlandesi hanno dovuto sviluppare per il fatto di vivere fianco a fianco con i russi». Sisu è anche il tema di un racconto breve dell'autore statunitense Jacob M. Appel, The frying finn. In esso il protagonista Esko Virtanen spiega: «In finlandese abbiamo una parola, sisu, che - tradotta in modo molto approssimativo - significa coraggio estremo di fronte a ostacoli insormontabili. È più che un semplice “hartia pannki", coraggio fisico. Ci vuole forza interiore, e ottimismo e capacità di resistenza e un bel po' di quell'ostinatezza tipica del mulo, quel tipo di testardaggine che permette a un uomo a cui è stata diagnosticata una malattia incurabile di sopravvivere ai suoi medici. Forse non vinciamo sempre, dice la sisu, ma sicuramente non perderemo mai». La Finlandia, fiera del suo spirito, ha anche trasformato la sisu in una simpatica emoticon. «Vi è raffigurata una persona che esce da un masso e lo prende a pugni, a interpretare il proverbio finlandese: “Una forte volontà ti condurrà attraverso la pietra grigia". Perciò, se mai sentissi che il tuo cammino è bloccato da un muro, pensa all'emoticon sisu e prendi a pugni quel muro!», spiega il bel libretto Sisu. Il metodo finlandese per rafforzare la resilienza scritto da Justyn Barnes.
Il cancelliere tedesco Friedrich Merz (Ansa)