Il cancelliere tedesco che definisce «ostile» l’acquisizione di Commerzbank da parte di Unicredit dimostra che l’Unione europea non esiste. E che le lezioncine di Bruxelles valgono solo per noi. Gli interessi teutonici contano più di tutto e giustificano le barricate.
Il cancelliere tedesco che definisce «ostile» l’acquisizione di Commerzbank da parte di Unicredit dimostra che l’Unione europea non esiste. E che le lezioncine di Bruxelles valgono solo per noi. Gli interessi teutonici contano più di tutto e giustificano le barricate.Mario Draghi suggerisce di completare l’Unione europea mettendo insieme il debito dei Paesi che ne fanno parte. Tuttavia, la vicenda di Commerzbank, e del tentativo di acquisizione da parte di Unicredit, dimostra che se non si riesce a mettere insieme il credito è impossibile farlo con il debito. Le difficoltà che sta incontrando Andrea Orcel nella scalata alla banca tedesca infatti, sono la prova che l’Europa è un’entità sconosciuta, quanto meno quando si toccano le cose concrete, vale a dire i soldi. Negli scorsi anni, Berlino e Bruxelles ci hanno impartito varie lezioni, insegnandoci che lo Stato non deve mettere becco nella gestione delle banche e, cosa ancora più importante, non deve impiegare i quattrini dei contribuenti per salvare gli istituti di credito in difficoltà. È la ragione per cui molti piccoli e medi imprenditori italiani hanno perso tutti i loro soldi in seguito al default di Veneto Banca, Popolare di Vicenza o Etruria o Cari Ferrara. Però, come sospettavamo, le regole che piacciono ai tedeschi e anche ad altri partner della Ue valgono solo quando a essere colpite dalla crisi sono le banche di Paesi come l’Italia e non quando a finire nei guai sono le loro.Nel periodo in cui, 15 anni fa, si registrarono i primi fallimenti bancari a cui seguirono le disposizioni europee per evitare che i costi si scaricassero sui bilanci pubblici, la Germania fu lesta nel mettere al riparo le proprie casse di risparmio, riuscendo a inserire un codicillo nelle norme di Bruxelles che di fatto consentiva il salvataggio fuori dal perimetro degli occhiuti controlli della Bce. Però oggi non è in questione il sistema periferico del credito, per il quale si possono invocare delle salvaguardie, bensì il futuro di uno dei colossi bancari del Paese, per l’appunto Commerzbank. A differenza di ciò che ci vogliono far credere i nostri teutonici partner, non tutto funziona a meraviglia agli sportelli del loro Paese. Della Deutsche bank si conoscono le difficoltà, che a causa della scarsa redditività e dei crediti in sofferenza l’hanno costretta a una pesante ristrutturazione, con riduzione delle attività estere e del personale. Commerzbank, quarta banca tedesca, in passato avrebbe dovuto essere fusa dentro Db, per dar vita a un gigante del credito e per annacquare i problemi di entrambe, ma poi l’integrazione saltò per volere degli azionisti, e forse anche perché nessuno è mai riuscito a trasformare due zoppi in un campione di corsa. Che l’istituto di Francoforte (ma nato ad Amburgo) non sia messo benissimo è noto fin dai tempi della mancata fusione con Deutsche bank, ma a quanto pare negli ultimi anni le cose non sono migliorate. Infatti il governo, nella persona del ministro dell’Economia, Christian Lindner, all’inizio aveva guardato con simpatia l’idea che a togliere le castagne dal fuoco ci pensasse Unicredit, banca che in Germania è già molto presente, avendo rilevato anni fa il gruppo Hvb, ossia il principale istituto di credito bavarese. Ma poi, come capita spesso quando c’è da rovinare qualche cosa, è intervenuto il sindacato, che a Francoforte guarda con terrore l’ipotesi che uno straniero venga a ficcare il naso nei conti dell’istituto, magari lavorando di accetta per sfrondare il superfluo. Dunque, l’iniziale favore di Berlino si è via via raffreddato e si è trasformato in ostilità dichiarata, e sebbene Orcel paia intenzionato a tirare diritto, ignorando le preoccupazioni tedesche (per questo avrebbe chiesto alla Banca centrale europea l’autorizzazione a salire al 29,9 per cento), l’esito della scalata è tutt’altro che sicuro. Vedremo come finirà, ma già da ora la vicenda ci dice molte cose. La prima è che il mercato unico in Europa è di là da venire, visto che appena in Germania (ma anche in Francia) si presenta uno straniero, scattano le logiche protezionistiche. La seconda considerazione riguarda il rigore spesso invocato da Bruxelles: nel caso Commerzbank vale la massima del filosofo di Zagarolo che risponde al nome di Stefano Ricucci, ovvero «Tutti bravi a fare i froci con il culo degli altri». Il terzo insegnamento interessa molto la struttura produttiva. Infatti, a spingere il governo tedesco alla marcia indietro sulla scalata, oltre alle pressioni sindacali, sono le paure che una banca con testa a Milano e non in Baviera non finanzi più con la stessa generosità di prima la piccola e media impresa della Germania, che poi è ciò che gli stessi tedeschi hanno imputato alle banche italiane ai tempi del crac della Popolare di Vicenza. Infine, c’è un’ultima annotazione: immaginate che cosa sarebbe accaduto se, come ha fatto Olaf Scholz, Giorgia Meloni avesse detto, a mercati aperti, di non gradire gli acquisti in Borsa di una banca italiana da parte di un istituto straniero.Osservate insieme, le quattro riflessioni ci fanno capire che l’Unione esiste solo a parole, perché nei fatti esiste la Disunione europea, dove ogni Paese continua a farsi gli affaracci suoi.
Massimo Doris (Imagoeconomica)
Secondo la sinistra, Tajani sarebbe contrario alla tassa sulle banche perché Fininvest detiene il 30% del capitale della società. Ma Doris attacca: «Le critiche? Ridicole». Intanto l’utile netto cresce dell’8% nei primi nove mesi, si va verso un 2025 da record.
Nessun cortocircuito tra Forza Italia e Banca Mediolanum a proposito della tassa sugli extraprofitti. Massimo Doris, amministratore delegato del gruppo, coglie l’occasione dei conti al 30 settembre per fare chiarezza. «Le critiche sono ridicole», dice, parlando più ai mercati che alla politica. Seguendo l’esempio del padre Ennio si tiene lontano dal teatrino romano. Spiega: «L’anno scorso abbiamo pagato circa 740 milioni di dividendi complessivi, e Fininvest ha portato a casa quasi 240 milioni. Forza Italia terrebbe in piedi la polemica solo per evitare che la famiglia Berlusconi incassi qualche milione in meno? Ho qualche dubbio».
Giovanni Pitruzzella (Ansa)
Il giudice della Consulta Giovanni Pitruzzella: «Non c’è un popolo europeo: la politica democratica resta ancorata alla dimensione nazionale. L’Unione deve prendere sul serio i problemi urgenti, anche quando urtano il pensiero dominante».
Due anni fa il professor Giovanni Pitruzzella, già presidente dell’Autorià garante della concorrenza e del mercato e membro della Corte di giustizia dell’Unione europea, è stato designato giudice della Corte costituzionale dal presidente della Repubblica. Ha accettato questo lungo colloquio con La Verità a margine di una lezione tenuta al convegno annuale dell’Associazione italiana dei costituzionalisti, dal titolo «Il problema della democrazia europea».
Ansa
Maurizio Marrone, assessore alla casa della Regione Piemonte in quota Fdi, ricorda che esiste una legge a tutela degli italiani nei bandi. Ma Avs la vuole disapplicare.
In Italia non è possibile dare più case agli italiani. Non appena qualcuno prova a farlo, subito si scatena una opposizione feroce, politici, avvocati, attivisti e media si mobilitano gridando alla discriminazione. Decisamente emblematico quello che sta avvenendo in Piemonte in queste ore. Una donna algerina sposata con un italiano si è vista negare una casa popolare perché non ha un lavoro regolare. Supportata dall’Asgi, associazione di avvocati di area sorosiana sempre in prima fila nelle battaglie pro immigrazione, la donna si è rivolta al tribunale di Torino che la ha dato ragione disapplicando la legge e ridandole la casa. Ora la palla passa alla Corte costituzionale, che dovrà decidere sulla legittimità delle norme abitative piemontesi.
Henry Winkler (Getty Images)
In onda dal 9 novembre su History Channel, la serie condotta da Henry Winkler riscopre con ironia le stranezze e gli errori del passato: giochi pericolosi, pubblicità assurde e invenzioni folli che mostrano quanto poco, in fondo, l’uomo sia cambiato.
Il tono è lontano da quello accademico che, di norma, definisce il documentario. Non perché manchi una parte di divulgazione o il tentativo di informare chi stia seduto a guardare, ma perché Una storia pericolosa (in onda dalle 21.30 di domenica 9 novembre su History Channel, ai canali 118 e 409 di Sky) riesce a trovare una sua leggerezza: un'ironia sottile, che permetta di guardare al passato senza eccessivo spirito critico, solo con lo sguardo e il disincanto di chi, oggi, abbia consapevolezze che all'epoca non potevano esistere.






