2020-06-27
Lo Bello, due rigori e lo sciopero in tv. Niente può fermare il Cagliari di Riva
Nel suo ultimo libro, Luca Telese racconta l'avventura dei rossoblù campioni d'Italia nel 1970. L'epopea di una squadra di figli della guerra che fece il miracolo. Guidata da Rombo di tuono, bomber senza paura.È la Juventus-Cagliari più difficile della storia del calcio e si gioca a Torino, il 15 marzo 1970, in un clima infuocato. Fin dalla vigilia, protagonisti e osservatori sono d'accordo nel pronosticare che sarà l'incontro decisivo, la «partita dell'anno». E si parte così: il Cagliari è sempre primo a 35 punti, ma la Juventus è seconda a quota 33. In un calcio in cui la vittoria vale ancora due punti, vincere, per i bianconeri, vorrebbe dire agganciare i sardi in vetta alla classifica. Al Cagliari basta invece pareggiare per mantenere le distanze invariate, facendo restare la Juventus a quattro punti di distanza, da colmare in appena quattro giornate. Troppi, anche per un inseguitore ottimista.Ed ecco gli ingredienti, che deflagrano come colpi di scena, uno dopo l'altro. Tomasini: «Ero a Cagliari, convalescente, e scoprii, come tutti i milioni di italiani che non erano allo stadio, che per via di uno sciopero degli operatori radiotelevisivi di Torino, di 45 minuti di partita non avremmo mai visto un solo fotogramma. Era una follia, ma è quello che accadde». Albertosi: «Non avevo mai pianto, in tutta la mia carriera. Quel giorno, crollai». Domenghini: «Sapevamo che sarebbe accaduto di tutto. Ma fu peggio di quello che ci aspettavamo». Gigi Riva: «Credo che sia l'unica volta, nella mia carriera, in cui ho rischiato di essere squalificato a vita». E infatti accade proprio di tutto, in campo: due rigori, di cui uno addirittura ripetuto. Ressa, lacrime, gesti scaramantici, ingiurie, autoreti. Ecco, il più celebre degli autogoal di Comunardo Niccolai è il primo colpo di scena che apre le danze. E ancora oggi Albertosi me lo racconta incredulo: «Siamo al 30', c'è una palla pericolosa che spiove in area, ero in anticipo su tutti, l'avrei bloccata al petto con due mani senza problemi ma...». Ma Niccolai, preoccupato dagli attaccanti bianconeri, saltando in anticipo su tutti, colpisce di testa in torsione: palla all'incrocio dei pali. Della sua porta, però. La Juventus in quel momento sente che può vincere davvero. Il Cagliari nei primi minuti accusa il colpo. Poi si riprende, infiammato da due bombarde di Riva, ovviamente di sinistro. Il tempo però corre, e la Juventus capisce che andare negli spogliatoi in vantaggio sarebbe decisivo. Ma il Cagliari non molla: tiro di Gori in area. Alto. Colpo di testa di Riva, parata di Roberto Anzolin all'incrocio. Poi, quando sembra che sia finita, Rombo di tuono inventa un numero da cineteca. Non è una rete: come a Vicenza è di nuovo magia. Il solito Greatti, come un caterpillar, porta avanti il centrocampo. C'è calcio d'angolo, e Riccio va a battere con una parabola perfetta che cade sul secondo palo. A reggere Riva ci sono tre juventini: due dietro, uno davanti. Gigi, con un tocco di pallonetto, si lancia da solo, staccandosi dal gruppo. Poi con un altro pallonetto, dopo essersi portato da solo davanti ad Anzolin, mette in rete. È il 45': 1 a 1, si va negli spogliatoi. Chiedono a Scopigno che cosa ne pensi dell'autorete di Niccolai. Ma il filosofo è imperturbabile: «Davvero un bellissimo goal, non trovate?». Ma i dirigenti del Cagliari sono insospettiti dallo sciopero che avrà come prima conseguenza un effetto decisivo: nessuna moviola la sera, nella temutissima rubrica della Domenica Sportiva. Dice il massaggiatore Ugo Conti negli spogliatoi: «Sento puzza di bruciato». I rossoblù rientrano tesi come corde di violino.Passano solo 11 minuti e la minaccia paventata si materializza davanti agli occhi dei sardi. L'arbitro Concetto Lo Bello indica il dischetto del rigore, per una spinta di Martiradonna a Lamberto Leonardi. A distanza di mezzo secolo Cera giura: «Un rigore inesistente». Esplodono le proteste, ma non è ancora successo nulla. Due file di maglie, quelle bianche dei sardi, pronti a prendere la respinta, quelle dei bianconeri, che sono tutti dietro il loro rigorista Haller. Secondi infiniti. Riva guarda Albertosi, che pare una scultura, in piedi, imperturbabile: «Ricky, so che la prendi!». Helmut Haller sistema il pallone, tira. Albertosi si allunga, con un riflesso felino, e para. Lo stadio esplode, i rossoblù si abbracciano. Ma Lo Bello, impassibile, fischia e ferma tutti: il rigore, dice, va ripetuto. Albertosi: «Mi è mancato il fiato, mi è crollata addosso la tensione di un anno. Ho avuto subito l'idea di un'ingiustizia inaccettabile. Mi sono spiaggiato al palo come per cercare un sostegno. E in quel momento ho iniziato a singhiozzare. La Juve cambiò il suo rigorista», racconta ancora Albertosi. «Ma ero distrutto: quando tirò Pietro Anastasi in porta non c'era più nessuno». Il più furibondo è Gigi, che si mette a inseguire in ogni angolo del campo l'arbitro, dicendogliene di tutti i colori, sfidandolo come mai prima né dopo avrebbe mai fatto. A un certo punto, mi spiega, prova anche a convincerlo: «“Noi abbiamo fatto sacrifici enormi per portare in Sardegna questo risultato! Abbiamo giocato col coltello tra i denti in tutta Italia e nessun coglione può togliercelo dalle mani. Lei è disumano!", gli grido». Lo Bello si gira dall'altra parte, deve far finta di non averlo sentito o sarà obbligato a dargli il rosso. Racconta Gigi: «Allora preso da una furia cieca lo inseguo, mi ci pianto davanti e gli dico: “Mi faccia capire, cos'altro devo dirle perché lei abbia il coraggio di espellermi?"». È il massimo della sfida, della be- stemmia, per un arbitro. Sostituirsi a lui, irriderlo. Scena madre. Lo Bello non dice nulla, guarda Riva negli occhi e sibila: «Pensi a giocare. La partita è lunga!». Anche Gigi ha un crollo emotivo. Si mette la mano sugli occhi, con un singhiozzo di rabbia. Cera lo raggiunge, lo abbraccia, e poi, guardandolo negli occhi e tenendogli le mani sulle spalle, gli dice: «Gigi! Gigi! Giochiamola». Cinquant'anni dopo, nel soggiorno della sua villetta di Cesena, il capitano del Cagliari ricorda che Lo Bello poco dopo quello scontro gli si avvicinò e gli disse una frase che oggi ha dell'incredibile: «Cera, lanciate la palla lunga a Riva!». Cosa significava? Solo che dovevano provarci? Oppure addirittura che sperava di avere l'opportunità di fischiare ancora un altro rigore, magari per i sardi? L'arbitro forse si era accorto di un errore clamoroso e pensava di poterlo compensare? Se fosse stato così, mai era accaduto che un arbitro lo ammettesse, su un campo da gioco, anche se in maniera implicita.Si riprende a giocare. Il Cagliari attacca a testa bassa, perdere non si può. Fatto sta che all'82' Lo Bello fischia ancora un rigore. Contro Sandro Salvadore, colpevole di aver cinturato Riva. Adesso sono gli juventini a protestare, lo stadio ammutolisce. Deve tirare Riva, caricandosi tutto il mondo sulle spalle. È questo che può rendere difficile un solo gesto: la tensione, la rabbia, tutto il bene o il male di un campionato, in un solo tiro. Dice oggi Domenghini: «Mi prese un colpo. Mi aspettavo una delle solite bombe, e invece il tiro era angolato ma lento. Sono convinto che Gigi avesse colpito il terreno con il piede, e questo avesse rallentato la sua potenza. Ma l'angolazione era perfetta. Vedo Anzolin che allunga la mano, arriva con il guantone sulla traiettoria e... tocca il pallone». Sì, il portiere della Juventus para, ma non riesce a fermare la palla che continua a rotolare, sempre più lenta. Tutti restano paralizzati, con il fiato sospeso, nello stadio bianconero: pubblico, arbitro, giocatori. Ma la palla di Gigi, inesorabile, entra in rete. Dopo l'acuto, il dramma si compie. Ma è quello della Juventus: 2 a 2, i rossoblù diventano irraggiungibili. [...] La città impazzisce, ma anche l'Italia: non solo i tifosi sardi, non solo gli emigranti, non solo chi segue il calcio ma tantissime persone che sono rimaste avvinte all'idea dell'impresa. [...] Quel Cagliari resterà la squadra che ha subìto meno goal nella storia del calcio italiano. La squadra che ha utilizzato il minor numero di giocatori in campionato: ha vinto avendo solo cinque riserve, portiere compreso. [...]Sono numeri e storie che suscitano incredulità fra gli addetti ai lavori, e curiosità anche fuori dal mondo del calcio. [...] Il primo scudetto di una provinciale. Il primo scudetto vinto non a colpi di milioni. Il primo scudetto al Sud.
Matteo Salvini (Imagoeconomica)
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