2020-07-30
ll Pd scippa ai 5 stelle le commissioni di peso
Intesa a perdere per il Movimento, travolto dalle trame di Massimo D'Alema, sui vertici degli organi di Palazzo Madama: ai dem vanno Difesa, Finanze, Politiche Ue e Affari costituzionali. Grazie alla lite tra alleati, la Lega conserva alcuni posti. I pentastellati contestano Vito Crimi.Verso le 18 di ieri il direttivo dei 5 stelle e i capigruppo di Italia viva e Pd trovano un accordo sulle presidenze di commissione al Senato. Al vertice di Finanze e Tesoro, Difesa, Politiche Ue e Affari costituzionali si possono leggere solo nomi del Pd. Da Roberta Pinotti a Luciano D'Alfonso fino Dario Parrini. La reazione dei senatori dei 5 stelle è delle peggiori. Accusano il direttivo e Vito Crimi di non aver saputo trattare con i dem e di essersi fatti travolgere dalla tela di Massimo D'Alema. Il quale ha compreso perfettamente la necessità di prendere possesso delle Commissioni di natura economica (anche alla Camera) così da gestire in modo coordinato le prossime tappe parlamentari. Non solo i decreti promossi dal governo ma anche le ricadute e i ricaschi della partita europea. Solo che l'azione smaccata del Pd e l'inconsistenza del direttivo grillino (a detta degli stessi parlamentari) ha finito con il far saltare tutte le mire e gli accordi interni al Movimento.Il primo risultato è che non tutti i nomi scelti a tavolino sono poi saltati fuori dal voto d'Aula. Al contrario. Con grande smacco, la presidenza della commissione Agricoltura al Senato è rimasta in mano alla Lega. Gianpaolo Vallardi è rimasto al suo posto con 12 voti contro i 10 ricevuti da Pietro Lorefice, designato dalla maggioranza. Anche in commissione Bilancio è riuscita a spuntarla, quale vice presidente, la leghista Erica Rivolta. Alla commissione Giustizia Andrea Ostellari (anch'egli della Lega) è rimasto al suo posto e ha battuto Pietro Grasso, l'ex piddino, ora gruppo Misto, che per anni ha rivestito addirittura il ruolo di presidente. Tensioni anche sulla nomina di Riccardo Nencini di Italia viva a capo dell'Istruzione, poi rientrate. Idem sulla scelta relativa alle Politiche Ue. In ogni caso non si è riusciti a spegnere l'incendio e l'ira grillina. Prima delle 20, il Movimento ha fatto uscire una agenzia stampa per sollecitare il rinvio delle decisioni al direttivo. Nelle chat la parola più ricorrente è stata «fallimento». E non è escluso che possa arrivare la richiesta formale di dimissioni di capigruppo, vice e segretari. Il riferimento è chiaramente alla lista di presidenti e vice presidenti da votare per la camera. A quell'ora le decisioni definitive non erano ancora state prese, cosa che ha spostato nella notte il voto. Qui nonostante il sostegno esterno di Forza Italia a traballare è stato il renziano Luigi Marattin. In pratica, dal punto di vista politico una debacle e da quello strategico un boomerang. E nel complesso, un tema che rischia di farsi sempre più delicato. «È stato un accordo complesso e difficile. Lo abbiamo definito in mattinata: ovviamente creerà anche qualche malcontento», ha detto il capogruppo Andrea Marcucci ai senatori riuniti in assemblea a Palazzo Madama. Una previsione quanto mai azzeccata. Anche perché i malumori e i mal di pancia aumenteranno in vista di settembre. Si aprirà il tema della campagna elettorale e tenere in equilibrio la maggioranza, con il rischio che una delle componenti giallorosse si sfracelli nelle urne regionali, è molto complicato. Tanto più che, sempre a metà settembre, il governo potrebbe - è un'ipotesi - trovarsi a chiedere un quarto sforamento di bilancio. Quello votato ieri non supera i 25 miliardi di euro. E potrebbe garantire coperture per non oltre due mesi. A metà ottobre ben due agenzie di rating saranno chiamate a rivedere l'outlook e la posizione. Cosa decideranno è presto per dirlo.Conte continua a volere fare deficit per sussidiare i disoccupati e non per dare la possibilità alle imprese di rialzarsi da sole. Così facendo arriveremo a fine anno vicini al baratro, e allora quelle scatole vuote che sono il piano nazionale di riforme, assieme al Recovery plan, rischiano di diventare il veicolo perfetto per far scattare il Mes. Esattamente ciò che una buona parte del Parlamento non vuole. Anche se ieri è stata infilatA nel voto sul Pnr una risoluzione che spinge il governo a usare i fondi europei per la sanità, questo non significa che i grillini accetteranno di buon grado di piegarsi alle scelte dem. Con il rischio che si replichi quanto è avvenuto ieri in Senato. Nonostante la maggioranza abbia deciso di adottare un metodo simile a quello dei pizzini. Fonti parlamentari della maggioranza hanno riferito dell'ecamotage dei «Nomi segnati» nel tentativo di blindare l'accordo sulle presidenze di commissione. Ciascun gruppo ha usato una modalità di voto riconoscibile. Peccato che il tentativo non sia andato in porto e abbia messo a nudo il Parlamento. Non a caso, sempre ieri, si sono fatte più insistenti le voci di un rimpasto a settembre con l'ingresso di una figura come Maria Elena Boschi e addirittura del segretario del Pd, Nicola Zingaretti. Che a qual punto andrebbe a lasciare la presidenza del Lazio. L'eventualità del rimpasto metterebbe in difficoltà lo stratega D'Alema, il quale è consapevole che quando si sposta una torta da un tavolo all'altro c'è il rischio che cada per terra o nella migliore delle ipotesi si rompa. Ieri Matteo Salvini ha commentato in modo sintetico ma efficace: «Con il voto segreto vengono premiati il buon lavoro e la competenza della Lega. La maggioranza è in frantumi, completamente saltato l'inciucio tra 5 stelle e Pd». Vedremo come si muoverà nelle prossimo ore Luigi Di Maio, che è rimasto alla finestra per guardare la disfatta di Crimi.
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Sergio Mattarella con la mamma di Willy Monteiro Duarte (Ansa)
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