2025-09-28
L’Italvolley schiaccia tutti: altro Mondiale
Dopo il trionfo della squadra femminile, gli azzurri di Fefè De Giorgi conquistano il quinto oro iridato con un 3-1 alla Bulgaria. Grande merito di un mister irregolare, pragmatico e primo dei risultatisti, factotum in regia nonché allievo prediletto di Velasco.«Più precisione, più calma. Stiamo andando più veloci della partita». Nel momento topico, con la sua battuta feticcio il ct Fefè De Giorgi ha gettato una secchiata d’acqua gelida sulla frenesia degli azzurri. Il rimprovero da timeout è diventato una lezione motivazionale e i suoi ragazzi si sono arrampicati sul tetto del mondo: 3-1 alla Bulgaria in finale (25-21/ 25-17/ 17-25/ 25-10), Mondiali di Manila in tasca. Con l’urlo belluino di Simone Anzani, a 33 anni lo zio della squadra, sull’ultimo punto. Dopo le donne ecco gli uomini. In meno di un mese il volley planetario è diventato un affare di famiglia. Cannibali come era riuscito soltanto all’Urss nel 1960. Implacabili nel confermarsi i migliori dopo il trionfo di Katowice tre anni fa. Teneri come certi italiani sanno essere; Simone Giannelli è salito sul podio con la maglia di Daniele Lavia, martello e grande assente, che alla vigilia del torneo si era infortunato alla mano d’acciaio in sala pesi.Dopo le donne gli uomini, tutti convocati al Quirinale dal presidente Sergio Mattarella l’8 ottobre. Dopo Julio Velasco il filofoso, Ferdinando De Giorgi l’irregolare. Pragmatico e primo dei risultatisti, factotum in regia nonché allievo prediletto del guru argentino quando allenava la «generazione di fenomeni», oggi don Fefè è il re Mida della panchina: quello conquistato nelle Filippine è il suo quinto oro mondiale (tre da giocatore e due da allenatore, nessuno come lui). Lo ha vinto con il sorriso sulle labbra, facendo dell’ironia sottile un dogma, come recita il suo manuale «Egoisti di squadra». Sottotitolo: «Esaltare il gruppo senza sacrificare il talento». Perché nel tempo libero il ct d’oro insegna didattica degli Sport di squadra all’Università di Foggia. De Giorgi è un irregolare per due motivi antichi: era umile ed era basso (1.78 su un pianeta di corazzieri). «Non potevo puntare sui centimetri, ero un atleta del Sud che lottava per guadagnarsi uno spazio», ricorda con serenità, senza il piglio revanchista di Pietro Mennea. Di sicuro era umile perché basso, non certo basso perché umile. Anzi, la schiena di quel gladiatore era sempre dritta, quando bisognava segnalare cambi o imperfezioni ai quattro leggendari Andrea: Lucchetta-Zorzi-Gardini-Giani. Era il piccolo palleggiatore degli dei. Li gestiva e li domava con un sorriso. Di lui Velasco diceva: «È un metronomo ma anche un barometro». Perché sapeva cambiare, con una parola gentile, le previsioni del tempo di tutta la squadra. Da allenatore ha mantenuto le stesse qualità e nel 2018 gli è riuscita una zampata da Josè Mourinho: con lui la Lube Civitanova ha vinto scudetto, Champions league, Mondiale per club e Coppa Italia. Così, dopo la figuraccia ai Giochi di Tokyo, la Federazione lo chiamò per ripartire dai giovani. Risultato: un Europeo e due Mondiali in quattro anni. Con giovani diventati fenomeni come il geniale Yuri Romanò, i guerrieri Alessandro Michieletto, Mattia Bottolo, Daniele Lavia, i due Simone Giannelli e Anzani. Celebrare i trionfi azzurri è dolce e malinconico. Dolce perché il tricolore, l’inno di Mameli e storie così italiane ci ricordano il valore dell’identità. Malinconico perché tutto ciò arriva a riempire un vuoto, a sostituire i fallimenti del calcio azzurro che per otto anni è rimasto fuori dalle rotte mondiali e rischia di continuare il suo cammino nel purgatorio dell’irrilevanza. Ci vorrebbe un Velasco, ci vorrebbe un De Giorgi, definito l’Ancelotti del volley, capaci di plasmare un gruppo vincente.Sessantatré anni, salentino di Squinzano (Lecce), sposato da 34 anni con Maria, due figli, ghiotto di gamberetti, don Fefè è un uomo saggio e paziente. Lo era fin da giovane; senza queste doti non arrivi a 330 presenze in Nazionale dietro palleggiatori come Fabio Vullo e Paolo Tofoli. Faceva parte degli eroi dei tre mondiali (in Brasile, Grecia, Giappone), una generazione dopo è andato a conquistarsi il quarto in Polonia nel 2022 e il quinto nelle Filippine domenica scorsa. Tutti suoi. «In panchina è più bello vincere, ti godi di più il trionfo e hai una percezione più globale. Ti sei occupato di tutto prima, li abbracci tutti adesso. Impagabile», spiega alla fine con un pensiero destinato a finire su Instagram, presentato dalla sua gatta Grace, impareggiabile portafortuna.Questa è l’Italia di Fefè. Ragazzi che ad ogni punto vinto ridevano. Perché, sottolinea «Ricordiamoci sempre che facciamo sport, non andiamo in miniera». È la leggerezza calviniana, l’esatto contrario della superficialità; ecco la presenza immanente di De Giorgi. Mentre i suoi ragazzi terribili festeggiano a champagne, lui si allontana con l’enorme coppa. «Sono distrutto, è stata un’estate lunga, non semplicissima ma lo dico e lo ripeto: questi sono ragazzi speciali. Hanno accettato tante cose per lavorare al meglio. Sono stati stupendi». E non dimentica quel piccolo dolore da Olimpiade di Parigi fallita: «Mi dovrebbero chiamare solo per i Mondiali». Così si va sul sicuro.
George Soros e Howard Rubin (Getty Images)
Nel riquadro, Angelo Dellupi (IStock)