2020-12-12
L’Italia si è messa nel cappio del Mes. Il «pacchetto» era una presa in giro
Ursula von der Leyen (Thierry Monasse/Getty Images)
Giuseppe Conte diceva: sì al Fondo solo dopo l'unione bancaria. Che non c'è. Intanto il golden power sarà esteso contro gli «amici» Ue.Ieri il presidente Giuseppe Conte è tornato da Bruxelles, dopo la due giorni dedicata a Consiglio europeo ed Eurosummit, con una granitica certezza: ha finalmente manifestato in quei consessi la volontà del Parlamento, definita nella risoluzione approvata mercoledì scorso.Al contrario di quanto accadde il 21 giugno 2019, quando la maggioranza gialloblù gli conferì il mandato di non approvare la riforma del Mes ed egli tornò in patria rivendicando la negoziazione un «pacchetto» che poi scomparve o, meglio, si spacchettò.Il vertice europeo, preceduto dalla seduta parlamentare, ha avuto un ruolo politico fondamentale per Conte e, di riflesso, per il suo ministro dell'economia Roberto Gualtieri: poter sanare, con un mandato postumo, i troppi sì già detti a Bruxelles, a proposito della riforma del Mes, con largo anticipo rispetto al mandato parlamentare. Al punto che, per scongiurare esiti imprevisti e non graditi, la pressione dei partner europei era notevolmente salita fino a manifestarsi col blitz romano del ministro francese dell'economia Bruno Le Maire il 26 novembre scorso. Episodio illuminante per chi si illude di contrastare il Mes in sede di ratifica parlamentare del Trattato, presumibilmente nella prossima primavera/estate. Coloro i quali hanno votato a favore della risoluzione che conferiva il mandato a Conte, con la speranza di tornare alla carica a gennaio ottenendo la riforma del Patto di Stabilità e un'Unione Bancaria non penalizzante, potrebbero ricevere cocenti delusioni.Sarà molto dura, per i paladini della sconfitta dell'austerità, prendere atto che hanno dato il via libera a una riforma che inserisce nel Trattato del Mes parametri quantitativi (3% deficit/Pil, rientro debito/Pil verso il 60%, ecc…) che sono essi stessi il simbolo dell'austerità.A proposito di illusioni destinate a svanire, l'accordo di ieri richiederà la ratifica della Decisione sulle Risorse proprie, che innalza il tetto di fondi disponibili per il bilancio Ue fino al 2% (dal precedente 1,2%) del Reddito nazionale. Per l'Italia si tratterà di contribuire al bilancio Ue ben più dei circa 16 miliardi mediamente versati negli ultimi cinque anni alla Ue a tale titolo. Con quelle maggiori entrate, costituite da imposte di varia natura a carico di tutti i contribuenti dell'Unione, sarà possibile rimborsare i debiti contratti dalla Ue per erogare i sussidi del Next generation Ue. Una gigantesca partita di giro, il cui saldo per il nostro Paese è soggetto a numerose incertezze.Il comunicato dei leader europei va salutato con favore perché spazza via l'ambiguità del pacchetto dietro cui si è nascosto Conte per mesi: si «accoglie con favore l'accordo raggiunto all'Eurogruppo sulla riforma del Mes» e si «invita l'Eurogruppo a elaborare su base consensuale un piano di lavoro graduale e con scadenze definite su tutti gli elementi in sospeso necessari per completare l'Unione bancaria».Si certifica così che il pacchetto non è mai esistito e che, soprattutto, in futuro si procederà un passo per volta. In un simile scenario, non ci possiamo nascondere il rischio che l'Italia debba ingoiare, ad ogni grado di avanzamento dei lavori, un boccone amaro. Perché è elevata la probabilità, di fronte a specifici dossier, di ritrovarci isolati nella difesa dei nostri interessi e restii, per un'adesione ideologica al «sogno europeo», a far valere il diritto di veto, che un Paese del nostro peso specifico avrebbe invece il pieno diritto di esercitare.Solo per fare un esempio, che non esaurisce la lista dei potenziali bocconi amari, giova ribadire quanto già anticipato nei giorni scorsi, circa la volontà del blocco tedesco di attribuire un grado di rischio ai titoli pubblici presenti nei bilanci bancari.Polonia ed Ungheria, il cui Pil sommato è poco più della metà del nostro, sono state capaci invece di moltiplicare il loro peso. Infatti il comunicato del Consiglio europeo dedica ben tre pagine di puntuali precisazioni che mettono nella giusta luce il regolamento spacciato come difesa dello Stato di diritto. Una sequenza di parole che entrano come fendenti in tutta la sbandierata prosopopea a favore di una pericolosa discrezionalità politica. Quelle norme proteggono soltanto il bilancio Ue da ogni tipo di frode, corruzione e conflitto di interessi. Non esistono altri fattori di attivazione. E, in ogni caso, le linee guida applicative, redatte dalla Commissione, devono essere «rispettose dell'identità nazionale» e prima passare al vaglio della Corte di Giustizia. Risultato: tutto fermo per almeno un anno e mezzo. Il contrasto tra solidarietà europea sognata e realtà è stato offerto proprio ieri dalla probabile approvazione nelle commissioni Bilancio e Finanze del Senato di un emendamento al Dl ristori a prima firma Adolfo Urso (Fdi) che proroga di sei mesi, fino al 30 giugno 2021, il golden power. Si tratta di uno scudo che impedisce scalate ostili, anche intra Ue, in settori di rilevanza strategica come quelli bancario, finanziario e radiotelevisivo. Allora ci sono dei timori?«Temo i Danai anche quando portano doni», disse Laocoonte nell'Eneide per dissuadere i Troiani dall'accogliere il cavallo lasciato dai greci.