
Il nuovo presidente della Consob, alla sua prima uscita, va all'attacco di Bruxelles: «Se la fiducia è solida e il risparmio sufficiente, il debito può anche arrivare al 200%». L'ex ministro: «Contro di noi pregiudizi. La ricchezza delle famiglie garantisce il sistema».Accoglienza un po' fredda della comunità finanziaria alla prima uscita pubblica di Paolo Savona in veste di numero uno della Consob. Politici presenti, pochi. Giancarlo Giorgetti sul fronte Lega e Stefano Buffagni sul lato 5 stelle. Il discorso dell'ex ministro degli Affari europei è rimasto un mistero fino al momento dello speech. Solo il Quirinale aveva potuto dare un'occhiata. Il motivo, forse, è stato il passo che il garante della Borsa ha voluto subito imprimere alla sua relazione ai mercati. Una lectio più che un intervento tecnico, e tutta diretta all'Europa e - a suo dire - alla distorsione che essa ha prodotto sulla valutazione e la percezione dei fondamentali dell'economia tricolore. «Il debito pubblico italiano, nonostante le sue dimensioni, è sostenibile. Anzi, visto che non esiste un legame ottimale fra debito pubblico e Pil, se la fiducia in un Paese è solida e la base di risparmio sufficiente, livelli di indebitamento nell'ordine del 200% rispetto al Pil «non contrastano con gli obiettivi economici e sociali perseguiti dalla politica», ha sentenziato sparando la bomba nei sotterranei di Piazza Affari. Il presidente della Consob si è mosso in modo totalmente controcorrente: ha difeso l'alto debito pubblico italiano, su cui pesano giudizi negativi «prossimi al pregiudizio» e fattori «distorsivi», e la sua sostenibilità, garantita dal risparmio delle famiglie italiane. Le attività finanziarie dell'Italia a fine 2018, ha ricordato Savona, ammontano a circa 16.300 miliardi di euro, con le famiglie che ne possiedono 4.200 miliardi. Il debito pubblico ammonta a 2.300 miliardi, mentre l'indebitamento delle famiglie resta «modesto, uno dei più bassi nel mondo sviluppato». Meno dell'1% delle masse totali. Sull'Italia, insomma, c'è un «vociare a senso unico, che stordisce», come in quella «caverna di Platone o Socrate che rimanda immagini distorte della realtà». Per l'economista, siccome la teoria economica e la ricerca empirica non sanno indicare il legame ottimale tra il debito pubblico e il Pil, l'esempio del Giappone, con un mix di bassa crescita, invecchiamento della popolazione e un rapporto tra debito e Pil al 236%, è «istruttivo». Tanto che la fiducia in un Paese e un adeguato livello di risparmio privato possono permettergli di arrivare a un rapporto del 200% fra indebitamento e Pil. Ancora molta strada, quindi, per il debito italiano, «solo» al 131,2% del Pil, con la Commissione europea pronta a una procedura di infrazione per imporre una riduzione. Ovviamente una tale percentuale sarebbe una provocazione, ma viene usata da Savona per sviscerare il tema dell'output gap. «Ciò non significa», ha aggiunto l'economista, «che non esista un limite all'indebitamento ma, come insegna un elementare criterio di razionalità economica, per garantire la sostenibilità il suo saggio di incremento deve restare mediamente al di sotto del saggio di crescita del Pil. Ogni indicatore», ha proseguito, «che comporta l'esistenza di un limite oggettivo alla crescita, come l'output gap, resta privo di validità storica e pratica, ancor prima che logica». Le ultime riforme dei parametri Ue hanno reso lo schema apparentemente più flessibile per alcune specifiche economie, ma al tempo stesso in grado di creare gabbie pericolose e difficili da gestire. L'output gap è un parametro che indica la distanza tra prodotto interno lordo effettivo e potenziale. Il dato rappresenta la differenza tra l'economia reale, la crescita, e le sue stime. Una distanza piccola tra il Pil reale e quello ipotizzato rispecchia un utilizzo efficace delle risorse. Al contrario una distanza ampia significa non sfruttare a pieno le capacità produttive. Solo che restare imbrigliati dentro la forchetta decisa da Bruxelles può significare rinunciare alle politiche espansive di crescita. Anche se il dettaglio è molto tecnico e complesso, ha ricaschi politici enormi. Anche Pier Carlo Padoan, quando era solo un tecnico dell'Ocse, si era espresso sul pericolo di tali distorsioni.Il dato non viene calcolato sulla base di misure, «ma stimato sulla base di assunti che implicano diversi gradi di discrezionalità», si leggeva sul sito del Mef ancora nel 2015. «Nell'ambito dell'Unione europea si usa un modello di stima nel quale sono incorporate valutazioni discrezionali concordate tra gli Stati membri. Sulla base di valutazioni diverse è possibile costruire modelli alternativi che conducono a conclusioni anche molto distanti». L'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo internazionale, per esempio, usa un modello alternativo. L'uso dell'output gap stimato con il modello Ocse conduce a una stima del saldo strutturale di bilancio diversa da quella basata sull'output gap stimato con il modello europeo. «E non si tratta di differenze irrilevanti: per alcuni Paesi (Italia e Austria) il modello europeo conduce a stimare un saldo strutturale negativo, mentre il modello Ocse porta a un surplus. Più in generale il modello Ocse stima saldi di bilancio migliori per molti Paesi della zona euro». È tutto sintetizzato in questo passaggio l'attacco di Savona alle regole Ue e la richiesta di tornare a una gestione sovrana del debito che sia anche protetto da fondi di tutela dei risparmi. Così facendo, ha concluso il presidente Consob, sarebbe anche possibile stimolare la ricchezza privata a essere reinvestita in fondi immobiliari di natura pubblico privata, stimando l'avvio con almeno 20 miliardi. L'altro ieri il numero uno di Intesa, Carlo Messina, valutava (all'interno della proposta di fondi territoriali) una massa critica di avvio di almeno 50 miliardi di euro. Punti in comune ce ne sono. Andrebbe forse valutato un tavolo concreto dalle parti del Mef.
Alessia Pifferi (Ansa)
Cancellata l’aggravante dei futili motivi e concesse le attenuanti generiche ad Alessia Pifferi: condanna ridotta a soli 24 anni.
L’ergastolo? È passato di moda. Anche se una madre lascia morire di stenti la sua bambina di un anno e mezzo per andare a divertirsi. Lo ha gridato alla lettura della sentenza d’appello Viviana Pifferi, la prima accusatrice della sorella, Alessia Pifferi, che ieri ha schivato il carcere a vita. Di certo l’afflizione più grave, e che non l’abbandonerà finché campa, per Alessia Pifferi è se si è resa conto di quello che ha fatto: ha abbandonato la figlia di 18 mesi - a vederla nelle foto pare una bambola e il pensiero di ciò che le ha fatto la madre diventa insostenibile - lasciandola morire di fame e di sete straziata dalle piaghe del pannolino. Nel corso dei due processi - in quello di primo grado che si è svolto un anno fa la donna era stata condannata al carcere a vita - si è appurato che la bambina ha cercato di mangiare il pannolino prima di spirare.
Toga (iStock). Nel riquadro, Roberto Crepaldi
La toga progressista: «Voterò no, ma sono in disaccordo con il Comitato e i suoi slogan. Separare le carriere non mi scandalizza. Il rischio sono i pubblici ministeri fuori controllo. Serviva un Csm diviso in due sezioni».
È un giudice, lo anticipiamo ai lettori, contrario alla riforma della giustizia approvata definitivamente dal Parlamento e voluta dal governo, ma lo è per motivi diametralmente opposti rispetto ai numerosi pm che in questo periodo stanno gridando al golpe. Roberto Crepaldi ritiene, infatti, che l’unico rischio della legge sia quello di dare troppo potere ai pubblici ministeri.
Magistrato dal 2014 (è nato nel 1985), è giudice per le indagini preliminari a Milano dal 2019. Professore a contratto all’Università degli studi di Milano e docente in numerosi master, è stato componente della Giunta di Milano dell’Associazione nazionale magistrati dal 2023 al 2025, dove è stato eletto come indipendente nella lista delle toghe progressiste di Area.
Antonella Sberna (Totaleu)
Lo ha dichiarato la vicepresidente del Parlamento Ue Antonella Sberna, in un'intervista a margine dell'evento «Facing the Talent Gap, creating the conditions for every talent to shine», in occasione della Gender Equality Week svoltasi al Parlamento europeo di Bruxelles.
Ansa
Mirko Mussetti («Limes»): «Trump ha smosso le acque, ma lo status quo conviene a tutti».
Le parole del presidente statunitense su un possibile intervento militare in Nigeria in difesa dei cristiani perseguitati, convertiti a forza, rapiti e uccisi dai gruppi fondamentalisti islamici che agiscono nel Paese africano hanno riportato l’attenzione del mondo su un problema spesso dimenticato. Le persecuzioni dei cristiani In Nigeria e negli Stati del Sahel vanno avanti ormai da molti anni e, stando ai dati raccolti dall’Associazione Open Doors, tra ottobre 2023 e settembre 2024 sono stati uccisi 3.300 cristiani nelle province settentrionali e centrali nigeriane a causa della loro fede. Tra il 2011 e il 2021 ben 41.152 cristiani hanno perso la vita per motivi legati alla fede, in Africa centrale un cristiano ha una probabilità 6,5 volte maggiore di essere ucciso e 5,1 volte maggiore di essere rapito rispetto a un musulmano.






