2020-03-21
L’Italia impaurita ha il suo medico di famiglia
Chiaro, diretto e sincero. Il professor Massimo Galli, immunologo del Sacco di Milano, è diventato un riferimento per i cittadini. Perché non fa pesare la sua competenza e sa come parlare alla gente. Mentre gli altri organizzavano gli aperitivi solidali, lui aveva già capito tutto.«Ci prepariamo alla battaglia di Milano». Quando lo ha detto, con la serenità con cui 20 giorni fa qualcuno ordinava uno spritz solidale, sembrava Michail Kutuzov prima di Borodino davanti alle armate di Napoleone. Ci vorrebbe Lev Tolstoj a raccontarlo, ma se avessimo bisogno di un generale oggi vorremmo il professor Massimo Galli, primario dell'ospedale Sacco, che dal suo avamposto ogni giorno narra con bonomia lombarda l'evolversi di questa guerra asimmetrica contro l'organismo submicroscopico che sta tenendo in scacco il mondo dei cosiddetti immortali (chiusi in casa). Per un'umanità impaurita e costretta al divano del tinello, Galli è imprescindibile; è il medico di famiglia che ha mandato in soffitta Michele Mirabella e le sue falsità governative imparate a memoria. Già avere sostituito quel favolistico «il contagio non è facile» con le burbere ammonizioni di Galli costituisce un passo avanti per la scienza. Il professore - milanese, 69 anni, tre lingue, un curriculum lungo un metro di esperienza in malattie infettive e tropicali - è l'amico del giorno, il maestro Manzi della virologia. Più schietto e affidabile dell'ondivago Walter Ricciardi, più discreto e alla mano del cotonato Roberto Burioni, ha nell'eloquio la semplicità di chi è sorretto da vasta cultura ma non la fa pesare. Ed è il simbolo della rivincita della virologia, minata dall'uscita infelice di Maria Rita Gismondo: «Il virus è meno letale di ciò che pensiamo». Quattromila morti solo in Italia. Galli è involontariamente dappertutto (televisione, radio, Web) e se non lo troviamo lo cerchiamo con il telecomando fino a Tv2000, l'emittente dei vescovi. Eccolo lì, rassicurante, parlata e occhiali da Walter Valdi, mascherina sul mento mentre sta spiegando che «vedo il mio nipotino che compie due anni solo con Skype e filmini. Molti affetti cari non sono e non possono essere a noi vicini». Chi pensa che faccia salotto è fuori strada, lui sta facendo prevenzione. Mentre tutti gli altri snocciolano ricerche di Lancet dando del tu agli Rna a filamento positivo e ai nucleocapsidi di simmetria elicoidale, lui spiega ciò che interessa innanzitutto alla gente: come comportarsi per non ammalarsi curando le cattive abitudini.È il segreto di Galli, la caratteristica che lo ha messo sul piedistallo dell'informazione medica al tempo del coronavirus: buca lo schermo con frasi semplici, da «sciur dutur» di una volta, e prefigura con chiarezza lessicale gli scenari del contagio. Il suo «vedo troppi milanesi per strada» ripetuto a nastro ha costretto il governo a serrare le fila. Il suo «Ragazzi, voi il virus non lo prendete ma lo portate in giro come autobus» ha spiegato la trasmissione dell'agente patogeno meglio di David Letterman e ha insinuato nei nipoti il dubbio che per salvare i nonni è meglio evitare i cazzeggi davanti ai bar. Oggi è il turno dei supermercati: «Invece di restringere gli orari, bisognerebbe tenerli aperti 24 ore», è la versione di Galli. Per distribuire la clientela ed evitare la ressa, perché il contagio è lì. Queste non sono indicazioni politico-sociali, ma mediche, comportamentali; lui non parla agli scienziati, parla alle persone. Una specialità praticata con la saggezza «pane e salame» di un nonno, che riporta a noi una figura finita nel retrobottega della memoria collettiva, quella del medico di famiglia. Da lui si accetta tutto. Anche un tema scottante come quello della sanità scricchiolante al Sud. «Speriamo di non dover aprire altre decine di fronti in territori nei quali la struttura sanitaria è più debole. Non sto facendo un discorso da settentrionale contro il Sud, ma l'opposto. La gente del Sud ha ricevuto molto meno, dal punto di vista sanitario, di ciò che avrebbe avuto il diritto di ricevere dai suoi governanti locali». Fine dei piagnistei. «Ci colleghiamo con il professor Galli». Eccolo, il medico che nel panorama sanitario attuale è una mosca bianca. Oggi nelle grandi città (le piccole hanno saputo preservare i loro tesori) il dottore rischia di limitarsi a firmare alla catena di montaggio le ricette. Per chi ha solo sintomi banali non c'è tempo, per chi è davvero malato la risposta standard è: «Vada dallo specialista». Così si perde un valore primario, quello della conoscenza attraverso il dialogo (con tutta la comprensione per chi si trova di fronte il paziente ipocondriaco). Non eravamo più abituati ai dottor Galli, per questo nell'emergenza totale abbiamo la consolazione di farci visitare l'anima da lui.Adesso la domanda suprema è: quanto durerà questo flagello? Mentre i suoi colleghi si affidano agli algoritmi, il professore guarda in favore di telecamera e spiega: «La mia speranza è che ci si possa liberare in non più di tre mesi, se tutti si comporteranno secondo le regole. Se mi sbaglio sarò il primo a far festa». Poi osserva l'interlocutore, Corrado Formigli, quello degli involtini primavera in diretta. E nella sua atarassica affabilità riesce perfino a non mandarlo a quel paese.
Nel riquadro, il chirurgo Ludwig Rehn (IStock)
Non c’era più tempo per il dottor Ludwig Rehn. Il paziente stava per morire dissanguato davanti ai suoi occhi. Era il 7 settembre 1896 e il medico tedesco era allora il primario di chirurgia dell’ospedale civile di Francoforte quando fu chiamato d’urgenza per un giovane giardiniere di 22 anni accoltellato nel pomeriggio e trovato da un passante soltanto ore più tardi in condizioni disperate. Arrivò di fronte al dottor Rehn solo dopo le 3 del mattino. Da questo fatto di cronaca, nascerà il primo intervento a cuore aperto della storia della medicina e della cardiochirurgia.
Il paziente presentava una ferita da taglio al quarto spazio intercostale, appariva pallido e febbricitante con tachicardia, polso debole, aritmia e grave affanno respiratorio (68 atti al minuto quando la norma sarebbe 18-20) aggravato dallo sviluppo di uno pneumotorace sinistro. Condizioni che la mattina successiva peggiorarono rapidamente.
Senza gli strumenti diagnostici odierni, localizzare il danno era estremamente difficile, se non impossibile. Il dottor Rehn riuscì tuttavia ad ipotizzare la posizione del danno mediante semplice auscultazione. La ferita aveva centrato il cuore. Senza esitare, decise di intervenire con un tamponamento cardiaco diretto, un’operazione mai provata precedentemente. Rehn praticò un’incisione di 14 cm all’altezza del quinto intercostale e scoprì la presenza di sangue scuro. Esplorò il pericardio con le mani, quindi lo aprì, esponendo per la prima volta nella storia della medicina un cuore attivo e pulsante, seppur gravemente compromesso e sanguinante. Tra i coaguli e l’emorragia Rehn individuò la ferita da taglio all’altezza del ventricolo destro. Il chirurgo operò una rapida sutura della ferita al cuore con un filo in seta, approfittando della fase di diastole prolungata a causa della sofferenza cardiaca. La sutura fu ripetuta tre volte fino a che l’emorragia si fermò del tutto e dopo un sussulto del cuore, questo riprese a battere più vigoroso e regolare. Prima di richiudere il torace, lavò il cuore ed il pericardio con soluzione idrosalina. Gli atti respiratori scesero repentinamente da 76 a 48, la febbre di conseguenza diminuì. Fu posto un drenaggio toracico che nel decorso postoperatorio rivelò una fase critica a causa di un’infezione, che Rehn riuscì tuttavia a controllare per l’efficacia del drenaggio stesso. Sei mesi dopo l’intervento il medico tedesco dichiarava: «Sono oggi nella fortunata posizione di potervi dichiarare che il paziente è ritornato in buona salute. Oggi è occupato in piccole attività lavorative, in quanto non gli ho al momento permesso nessuno sforzo fisico. Il paziente mostra ottime prospettive di conservazione di un buono stato di salute generale».
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