
Il figlio di Fabrizio Meoni, che trionfò in due Parigi-Dakar, costretto a emigrare per finanziare la sua app. Gioele: «Qui aiuti solo a parole».È figlio di un indimenticato campione di motociclismo. Gioele Meoni, di 26 anni, vive a Castiglion fiorentino. Il padre Fabrizio, sulle sue moto da enduro, trionfò in rally come la Parigi-Dakar, vinta nel 2001 e 2002; per primo tagliò più volte il traguardo anche in quelli degli Incas, dei Faraoni, della Tunisia, poi a Dubai e nella Desert cannonball americana. Fabrizio morì nel 2005, a Kiffa, in Mauritania, in quella che aveva deciso che sarebbe stata la sua ultima Parigi-Dakar.Gioele, forse pensando che a suo padre avrebbe potuto far comodo, ha realizzato l'app Whip live per l'orientamento e la navigazione per piloti di motocross, downhill, enduro e free ride. «A maggio, la lanceremo sul mercato mondiale», annuncia. Con altri tre soci, dopo aver costituito la start up Whip srl con sede a Firenze, Gioele ha già investito 200.000 euro nello sviluppo dell'app; altri 100.000 ne ha messi l'incubatore fiorentino di start up Nana bianca. Adesso Gioele cerca finanziatori per il suo progetto tecnologico. «Avendo investito, ancora non guadagniamo e questo è normale», afferma Gioele. Ciò che sembra meno normale, nonostante il piano nazionale sull'industria 4.0, i viaggi nella Silicon Valley e i proclami fatti ai tempi del governo di Matteo Renzi sull'affermazione delle start up in Italia e sulla rivoluzione digitale, è che la start up toscana debba ora cercare i suoi finanziatori Oltremanica.In partenza per Londra, Meoni...«Per forza. Siamo costretti ad avviare un'azione di raccolta fondi in Gran Bretagna dove, sulle opportunità per le start up, nemmeno la Brexit ha avuto ripercussioni negative. Là le buone idee contano sempre. Da noi, invece, le start up stentano: non ce n'è una che, dopo cinque anni di attività, abbia raggiunto il miliardo di euro di valutazione. La verità è che in Italia, anche nel settore delle start up, che dovrebbe creare lavoro e prosperità per le nuove generazioni digitali, oltre alla troppa burocrazia non c'è altro». Cosa sta facendo lo Stato italiano per favorire le start up?«Praticamente nulla. Il pubblico promette sgravi per assumere giovani, oppure per aprire nuove start up in determinati territori, di solito definiti svantaggiati. Poi ti accorgi che per partecipare a quel bando devi assumere un professionista che ti costa una percentuale elevata, sia in caso di successo, sia di insuccesso. I bandi pubblici non sono alla portata di tutti e i giovani imprenditori non riescono a districarsi fra le maglie della burocrazia. Anche noi abbiamo avuto bisogno di «un supertecnico» dei bandi, ma è un costo in più. Finora, sulle start up, i nostri politici hanno fatto solo chiacchiere d è evidente che i bandi pubblici sono costruiti per favorire qualcuno. Anche le srl semplificate, o srls, sono un'altra beffa: non ci sono differenze nel calcolo delle imposte della srls rispetto a quella tradizionale: stessa regolamentazione fiscale, stesse dichiarazioni dei redditi, stesso tipo di bilancio annuale. I costi fissi, fra cui l'apertura della srls e la tenuta della contabilità, si aggirano poco sotto i 10.000 euro all'anno: troppo elevati per una giovane azienda. Ma il peggio è che la srls non attira investimenti, pur essendo una formula societaria pensata, in teoria, per favorire l'apertura di start up e i giovani imprenditori. La srls è una menzogna e molti imprenditori di start up che conosco si sono visti costretti a ricorrere al notaio e trasformare la loro srls in una srl tradizionale».Cosa promettete a chi crederà nella vostra idea?«Con il lancio della campagna di fundraising in Gran Bretagna e successivamente Oltreoceano, chi sosterrà economicamente il nostro progetto tecnologico potrebbe veder decuplicato il suo investimento iniziale entro 5-10 anni. Ma questo tipo di investitori si trova solo all'estero. Gli investitori italiani non accettano il rischio, a differenza di quelli statunitensi, britannici o svedesi. Dove, però, grazie agli investimenti nelle idee digitali dei giovani, sono state create app e fortune colossali: Spotify, Tesla, Snapchat sono un esempio».Cosa significa che l'investitore italiano non accetta il rischio? «Trattandosi di nuove tecnologie, settore in continua evoluzione, l'investitore italiano raramente accetta il rischio che vi è insito, ricercando più un piccolo profitto a breve termine che un potenziale grande profitto a lungo termine: ciò accade poiché sono consapevoli del fatto che, in Italia, è comunque difficile fare impresa. Tuttavia, se il ragionamento è questo e nessuno ci crede, perdiamo l'opportunità di finanziare adeguatamente idee davvero buone, prodotte dalle nostre fragili start up. Per fortuna qualche ancora di salvezza c'è, come il nostro incubatore privato Nana bianca: hanno subito creduto nella nostra idea imprenditoriale e ora ci stanno guidando alla ricerca di investitori internazionali».
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





