
Stephane Klecha, fondatore della banca Klecha & Co. specializzata nella consulenza in questo settore: «È un errore pensare solo in termini nazionali».L'Italia è ancora indietro nel mondo finetch, ma ci sono alcune nicchie di mercato dove stiamo crescendo molto e ci sono buone opportunità di investimento. A parlarne con La Verità è Stephane Klecha, fondatore di Klecha & Co., banca d'investimento internazionale specializzata nella consulenza finanziaria per aziende in ambito fintech, tutto quello che, in pratica, unisce finanza e tecnologia. Lei è un esperto di fintech. Perché in Italia siamo indietro in questo settore?«I risultati di quello che stiamo raccogliendo oggi in Italia dipendono da quello che abbiamo investito in passato. Purtroppo l'Italia non brilla per gli investimenti chiamati “early stage" (quando cioè si deve finanziare una start up che ha iniziato da poco le sue attività, ndr) e quindi non deve sorprendere nessuno se, senza finanziamenti, non ci sono società che riescono a emergere in questo mondo. In Italia non si sta investendo abbastanza». L'Italia, all'interno dell'Ue, è più indietro o ci sono altri Paesi che si trovano in una situazione simile?«Non siamo sicuramente quelli messi peggio, però ci sono tanti Paesi che hanno deciso di investire molto e non soltanto nel fintech, ma in diversi campi della tecnologia. Basti pensare alla Spagna che, dall'ultima crisi, ha scelto di dirigere molti investimenti nel mondo della tecnologia. È una situazione che noi stiamo notando da tempo. Ci sono molte più aziende sul mercato locale, c'è un fermento che in Italia non c'è». L'attuale governo sta cercando di portare avanti alcune iniziative nella speranza di sanare questa arretratezza. Stiamo andando nella direzione giusta?«Nel caso, ad esempio, della norma sul Sandbox (uno strumento che permette alle imprese fintech di godere di deroghe normative transitorie, ndr), parliamo di un regolamento che sarà da approvare entro 90 giorni che darà via a una sperimentazione di 18 mesi che, a sua volta, sarà figlia di emendamenti che porteranno Consob, Banca d'Italia e Ivass a produrre dei report di analisi del settore fintech. È chiaro che tutto questo non potrà bastare a spingere il mercato fintech in Italia». Che benefici porterà la Psd2 ai risparmiatori?«Questa norma cambierà moltissimo l'esperienza della clientela. Gli utenti dovranno abituarsi a ricevere servizi aggiuntivi grazie all'open banking (la norma prevede che i dati bancari possano essere utilizzati anche da società terze e non solo dagli istituti di credito, ndr). Ci sarà una maggiore offerta in termini di pagamenti, di trasparenza o di gestione del conto. È una fetta di mercato che è destinata a crescere enormemente e che creerà grande valore per la clientela». Come Klecha & Co. state notando molto fermento in Italia in questo settore?«Stiamo vedendo diverse iniziative mirate a come applicare al meglio questa normativa. Questo ha portato a operazioni di fusione e acquisizione che sono già state realizzate un paio di anni fa. Non è oggi che si può decidere di implementare una strategia sulla Psd2. La norma esiste dal 2017 ed è stata implementata in Italia nel 2018. Da tempo, dunque, gli operatori stanno studiando come muoversi».Quindi le banche italiane non sono indietro nel mondo digital?«Direi di no. Si stanno adeguando anche in maniera significativa. Quello che stiamo vedendo è che il consumo di innovazione in Italia è molto rilevante. Certamente, questa transizione verso piattaforme bancarie aperte richiede molto tempo. Alla fine, però, l'esperienza del cliente sarà completamente nuova».A livello di investimenti nel mondo fintech, dove ci sono le migliori opportunità?«Io punterei su tutti gli effetti indiretti di queste rivoluzioni. Ad esempio, all'interno della Psd2, per poter dare accesso ai dati uno degli elementi chiave è quello dell'autenticazione degli utenti, la cosiddetta “strong authentication", tutto ciò che in pratica riguarda l'identificazione digitale della clientela finale. In questo, ad esempio, l'Italia è stata pioniera, ben prima che ci fosse una regolamentazione europea in questo ambito. Questo Paese ha creato uno standard che è diventato prima europeo e poi mondiale: si tratta dell'identità digitale. È qui che c'è un bacino di crescita gigantesco». Dove vedremo le maggiori operazioni in termini di settori? Ad esempio in quello bancario, in quello assicurativo o in altri?«In questo momento ci sono varie tipologie di operazioni, tutte su scala internazionale. Il problema è infatti che in Italia si vuole dare al fintech un'accezione nazionale, ma gli operatori che stanno facendo le grosse operazioni oggi spesso operano in molti Paesi. Noi in Italia stiamo vedendo due tipi di operazioni: quelle di rafforzamento industriale, cioè operazioni di aggregazione all'interno del medesimo settore, e progetti di accelerazione per andare sul mercato. Operatori tecnologici e non che comprano certe realtà con lo scopo di essere subito operativi in una specifica nicchia di mercato».
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