2018-11-14
L’Istituto sanità ciancia di morbillo. Ma a fare strage sono le infezioni
L'Istituto superiore di sanità lancia l'allarme per i contagi di Bari quando l'Italia conta 10.000 morti ogni anno causate dalla resistenza agli antibiotici. Da noi un terzo dei decessi dell'Ue. E 7 su 10 avvengono negli ospedali.Negli ultimi giorni sui media italiani ha tenuto banco la vicenda legata ai casi di morbillo verificatisi in Puglia. Otto pazienti dell'ospedale pediatrico Giovanni XXIII di Bari (in realtà solo sette risultano associabili), di cui quattro minori legati da un rapporto di parentela, hanno contratto l'infezione nel giro dell'ultimo mese. Nonostante gli ispettori siano ancora al lavoro per ricostruire la catena dei contagi (e le eventuali responsabilità della struttura) e non risulti ancora del tutto chiaro l'orientamento in materia vaccinale delle famiglie degli ammalati, i giornali nostrani non hanno resistito a costruire intorno alla vicenda un alone di terrorismo, arrivando a definire «untori no-Vax» i poveri bambini coinvolti. A margine della vicenda, come raccontato ieri dalla Verità, abbiamo assistito all'ennesima picconata del presidente dell'Istituto superiore di sanità (Iss), Walter Ricciardi, che ha definito la situazione del morbillo «allarmante». La posizione del capo dell'Iss è stata prontamente smentita dal ministero della Salute, che per tutta risposta ha parlato di «focolaio sotto controllo». L'allarme mediatico, giova ricordarlo, riguarda una patologia che pur trovandosi giustamente sotto osservazione (negli ultimi anni il numero dei casi nel nostro Paese è in vertiginoso aumento), ha causato nell'ultimo biennio 16 decessi accertati (4 nel 2017 e 12 nel 2018).C'è un killer in giro per l'Italia che, lungi dal godere della stessa popolarità del tema dell'obbligo vaccinale, fa il triplo dei morti degli incidenti stradali. Diecimila vittime all'anno, 30 al giorno, più di una all'ora. Stiamo parlando della resistenza agli antibiotici (sarebbe più corretto chiamarla resistenza antimicrobica o Amr, ndr), vale a dire quella particolare proprietà dei microrganismi di resistere all'azione dei farmaci destinati al loro annientamento. Ciò accade perché l'enorme diffusione degli antibiotici fa sì che i batteri riescano a sviluppare i meccanismi di resistenza a un ritmo più veloce dello sviluppo di nuove molecole. È un dramma del quale si parla ancora troppo poco, nonostante il tentativo da parte delle istituzioni sanitarie di sensibilizzare la popolazione sull'uso consapevole degli antibiotici. Un tema scottante e di grande attualità, anche in virtù del fatto che la settimana in corso (12-18 novembre) è dedicata dall'Organizzazione mondiale della sanità alla settimana mondiale al corretto uso degli antibiotici. Considerate le cifre infauste, è un argomento che non può essere relegato ai soli addetti ai lavori. Come scrivono gli esperti dell'Istituto superiore di sanità (Iss) sulla pagina dedicata alla tematica, quella della resistenza agli antimicrobici è «una vera e propria priorità di sanità pubblica a livello mondiale, non soltanto per le importanti implicazioni cliniche (aumento della morbilità, letalità, durata della malattia, possibilità di sviluppo di complicanze, possibilità di epidemie), ma anche per la ricaduta economica delle infezioni da batteri antibiotico-resistenti, dovuta al costo aggiuntivo richiesto per l'impiego di farmaci e di procedure più costose, per l'allungamento delle degenze in ospedale e per eventuali invalidità». Gli effetti sui costi sanitari, infatti, sono stimati a livello globale tra i 20 e i 35 miliardi di dollari.Definire tragica la situazione è un eufemismo. Lo studio Attributable deaths and disability-adjusted life-years caused by infections with antibiotic-resistant bacteria in the Eu and the European economic area in 2015: a population-level modelling analysis, pubblicato su The Lancet infectious diseases il 5 novembre scorso, è riuscito tramite innovativi modelli statistici a stimare il numero delle infezioni occorse in Unione europea e nello Spazio economico europeo nel 2015. Secondo i calcoli degli studiosi del Centro europeo di controllo delle malattie (Ecdc), si sono verificati in quell'anno 671.689 casi totali, cui sono attribuibili 33.110 decessi. Dei quali ben un terzo sono riferibili al nostro Paese. Dati che di per sé si commentano da soli, ma che sono addirittura destinati a peggiorare. Secondo le previsioni dell'Ocse, infatti, in Italia i decessi causati da questo tipo di infezioni toccheranno quota 450.000 tra il 2015 e il 2050. Secondo Matteo Stronati, direttore del dipartimento della Salute della donna e del bambino della Fondazione Irccs Policlinico San Matteo di Pavia, «nel 2050 il fenomeno dell'antibiotico resistenza sarà la prima causa di morte». Le cause di questa silenziosa quanto terribile strage sono molteplici. Di sicuro un peso determinante è dato da un uso scorretto degli antibiotici, una pratica che, come ammettono gli studiosi dell'Iss «aumenta la pressione selettiva favorendo l'emergere, la moltiplicazione e la diffusione dei ceppi resistenti». Questi farmaci sono fondamentali per la cura delle infezioni, ma se la loro efficacia cessa, curarle può diventare molto difficile, se non addirittura impossibile. Un altro aspetto cruciale è legato alle strutture mediche. Secondo lo studio dell'Ecdc, il 63,5% dei casi e il 72,4% dei decessi è associato all'assistenza sanitaria. «È quindi importante», evidenziano dall'Iss, «contrastare le infezioni correlate all'assistenza per garantire la sicurezza dei pazienti e, allo stesso tempo, cercare trattamenti alternativi per le situazioni di comorbidità o vulnerabilità (per esempio le immunodepressioni)». Tradotto in altri termini, utilizzare meno antibiotici. È quanto stabilisce, nero su bianco, il Piano nazionale di contrasto dell'antimicrobico resistenza (Pnacr), diffuso dal Ministero della salute nell'ottobre del 2017. Tra gli obiettivi della strategia, infatti, si ritrova la riduzione del 10% di antibiotici in ambito territoriale e del 5% a livello ospedaliero entro il 2020. Nel Piano nazionale della prevenzione 2014-2018 diffuso dal ministero della Salute, il tema dell'Amr gode della stessa dignità della campagna vaccinale. Rimane da capire perché, mentre le polemiche sui vaccini stuzzicano la fantasia dei media e dei politici italiani, i 10.000 morti provocati dall'antimicrobico resistenza continuano a non fare notizia.
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