2025-09-10
Il problema di Serra è Atreju, non i machete
Mentre tra i progressisti cala il silenzio sulla rissa tra africani alla festa del Pd a Lodi, la penna di «Repubblica» ironizza sui nomi delle kermesse di Fdi. Fedele alle tradizioni, la sinistra spiega alla destra come stare al mondo, perdendo nel frattempo le elezioni.Per carità, l’imbarazzo è persino comprensibile. Dopo aver passato anni a sostenere l’accoglienza indiscriminata e la cittadinanza facile, è difficile giustificare agli occhi dei propri elettori e della nazione il fatto che un bel gruppetto di stranieri abbia allestito una rissa a colpi di machete alla festa dell’Unità. È accaduto sabato a Lodi, e lo abbiamo raccontato ieri, mentre i media di sinistra hanno sostanzialmente ignorato l’evento, e lo stesso hanno fatto i vertici del Partito democratico. Nemmeno mezza parola da parte di Pier Luigi Bersani, presente sul posto poco prima dell’esplosione di violenza, né da altri, fatto salvo il povero segretario provinciale che ha dovuto convincere i militanti dell’inesistenza di un problema di sicurezza. In fondo, dicevamo, il silenzio imbarazzato (e imbarazzante) non è giustificabile ma comprensibile. A Lodi si è plasticamente manifestato il fallimento del sistema dell’immigrazione di massa, si è avuta la riprova - casomai ce ne fosse ancora bisogno - della pericolosità del multiculturalismo divenuto ideologia e pratica politica. Spiegarlo alle masse significherebbe, da parte dei progressisti, ammettere di avere raccontato favole per decenni. Tacendo si prova almeno a salvare la faccia. Qualcuno che parla, tuttavia, c’è. Ma lo fa a sproposito, contribuendo a rendere il tutto ancora più patetico. Trattasi di Michele Serra che ieri su Repubblica non ha certo nominato la festa di Lodi e la sua simpatica conclusione all’arma bianca, ma si è dedicato piuttosto a deridere le feste altrui, in particolare Fenix, la kermesse giovanile di Fratelli d’Italia. «La destra meloniana», scrive Serra, «sarà anche patriottica ma per le sue manifestazioni sceglie nomi da fumetto fantasy, come quelli che chiamare un figlio Giuseppe è banale, meglio Maverick: è da un bel pezzo che nell’onomastica pop i film e le serie tivù americane hanno rimpiazzato i santi del calendario e i nomi della tradizione nazionale. Libero ognuno, come è ovvio, di scegliersi il nome che gli pare, ma ci si aspetterebbe dalla destra tradizionalista quello che la destra tradizionalista può e forse deve dare: un’indicazione di solidità e una rivendicazione di radici, contro i guasti e i vizi del mondialismo. Contro il logorio della vita moderna, come diceva la pubblicità del Cynar ai tempi di Almirante». Certo uno è libero di farsi piacere o meno un nome, leggermente più fastidioso è il piglio di chi deve sempre spiegare agli altri come comportarsi. A sinistra in questo sono maestri: da anni spiegano alla destra come deve fare la destra, e intanto perdono le elezioni. Tanto meglio così. Il noto umorista (oggi involontario) Serra, non pago, se la prende anche con Atreju, la più nota rassegna di Fdi: «Atreju è un nome da saga nordica ricicciata, come si dice a Roma, in un romanzetto per adolescenti poi diventato un film sempre per adolescenti, e non si capisce come possa essere il nome di un raduno di adulti», afferma. «È un po’ come se ai miei tempi qualcuno avesse chiamato Mago Zurlì una festa politica». E se prima l’ironia della firma di Repubblica poteva anche risultare sommaria ma accettabile, qui diventa offensiva dell’intelligenza. Soprattutto dell’intelligenza di chi la propone, che pur di disprezzare l’universo meloniano riesce a insultare uno dei più grandi capolavori della letteratura occidentale, ovvero La storia infinita di Michael Ende. Un «romanzetto» che forse Serra non ha letto, preferendogli il film come fanno gli alunni svogliati delle medie, senza sapere per altro che Ende quel lungometraggio non lo gradiva affatto. La storia infinita è in realtà un potente romanzo di formazione che offre una profonda stratificazione di significati, anche spirituali. La lotta di Atreju è per la difesa di un mondo che viene divorato dal Nulla, cioè una forza malvagia che rende tutto uniforme, levigato, privo di significato e di concretezza. È la stessa lotta che va condotta oggi, proprio contro i fautori della globalizzazione annichilente che domina in Europa e in Occidente, e di cui con tutta evidenza i popoli si sono stancati. Ed è al servizio di quel Nulla che si è messo anche Serra, per altro inconsapevolmente: anch’egli si è uniformato e appiattito, e deride non un gruppo di militanti politici, ma un grande libro. Lungi da noi, però, la volontà di dargli lezioni di letteratura o di politica. A quello ci pensa già la realtà. Il nulla che avanza ha già travolto lui, la cultura di cui si fa portavoce e persino quelle che un tempo erano le vivaci feste dell’Unità. Un nulla così denso che si taglia con il machete.
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